“Si dice che quando una persona guarda le stelle è come se volesse
ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo”.
Salvador Dalì
Vincent van Gogh, La notte stellata sul Rodano, olio su tela, 1888 - Musée d'Orsasy, Paris
Questa sembra una fiaba, invece è
una storia vera. Bellissima. È la storia di una cacciatrice di stelle. È la storia della prima donna al mondo che scopre una cometa. Anzi sette.
Inizia nel marzo 1750 a Hannover, nella Bassa Sassonia, quando nasce Caroline Lucretia da Anna Ilsen Moritzen e Isaac Herschel, una coppia dalle finanze magre ma dove non manca l'attenzione alla formazione dei sei figli, quattro maschi e due ragazze. Per la verità il personaggio chiave, sotto il profilo culturale, è il padre Isaac, ottimo e stimato musicista, dapprima suonatore d’oboe e quindi direttore nella Banda delle Guardie della Fanteria di Hannover.
Inizia nel marzo 1750 a Hannover, nella Bassa Sassonia, quando nasce Caroline Lucretia da Anna Ilsen Moritzen e Isaac Herschel, una coppia dalle finanze magre ma dove non manca l'attenzione alla formazione dei sei figli, quattro maschi e due ragazze. Per la verità il personaggio chiave, sotto il profilo culturale, è il padre Isaac, ottimo e stimato musicista, dapprima suonatore d’oboe e quindi direttore nella Banda delle Guardie della Fanteria di Hannover.
Isaac non fa distinzioni di genere
fra i figli e anche alle bambine vuole impartire un buon livello d’istruzione.
Non così la moglie che, al contrario, ritiene inutile e improprio che le figlie
s’interessino ad altro che non sia l’economia domestica. Ma la sua linea
castrante nei confronti delle ragazze risulterà perdente. Caroline ha molti
ricordi degli insegnamenti, degli stimoli derivanti dal suo papà, fin da
quand’era bambina. In particolare,
nel suo diario scrive di una sera senza luna quando lui la porta a passeggiare per
osservare le stelle, “per familiarizzare con alcune delle più belle
costellazioni e per ammirare anche una cometa allora visibile”.
Lei ancora non lo sapeva ma quelle escursioni notturne avrebbero determinato e cambiato la sua vita.
Un’annotazione
storica che spiega molte scelte del “dopo”. All’inizio del 1700 al trono d’Inghilterra, Scozia e Irlanda
era salita Anne del casato Stuart. Il 1° maggio 1707 dall’unione del regno
d’Inghilterra e del regno di Scozia nasce un unico Stato, la Gran Bretagna, e
Anne ne diventa la prima sovrana. Alla sua morte, nel 1714, il trono – tra
grandi manovre e molti tentennamenti – passa a Georg Ludwig von Hannover, il
quale, malgrado sia solo un
lontano cugino di Anne per ascendenza materna e non possa vantare sangue britannico, ha un requisito all’epoca determinante: era Protestante
e non Papalino. È incoronato come George I. E la storia, nei secoli, non dimenticherà che questo Sovrano arrivato, a sorpresa, dalla Bassa Sassonia, non era in grado di parlare inglese (che ovviamente
dovette imparare). A George I, nel 1727, succede, con il nome di George II, il figlio Georg Augustus von Hannover che regnerà fino al 1760, data della sua morte, portando ai suoi sudditi pace e prosperità. Il nuovo erede è il figlio Georg Wilhelm Frederick von Hannover che prende il nome di George III, re di Gran Bretagna e Irlanda.
Questa "conquista" del trono inglese da parte di una dinastia tedesca spiega, almeno in parte, perché la storia della famiglia Herschel si sposti da Hannover all'Inghilterra.
Il “dopo”, infatti, vede i
quattro fratelli diventare, tutti, musicisti ma per uno di loro –Wilhelm – sarà il distacco dalla casa paterna e con questo la
fama, che arriverà percorrendo ben altri sentieri. In seguito altrettanto sarà per la sorellina Caroline, minore di dodici anni.
Siamo nel 1757,
è in corso la grande guerra detta “dei sette anni”. La Francia invade
l’Hannover e Isaac deve abbandonare l’oboe per imbracciare il fucile. Il
secondo figlio, Wilhelm, diciannove anni, invece, si trasferisce in Inghilterra
per coltivare il suo sogno di musicista e compositore: suona violino e organo.
È molto bravo. Approda prima a Durham, poi a Halifax dove rimane alcuni
anni perfezionando le sue
competenze musicali, dando lezioni di musica, impiegandosi come organista e
studiando lingue. Il suo nome originale è abbandonato in favore di “William”,
decisamente più britannico. Nel 1766 lo si ritrova a Bath, organista presso
l’Octagon Chapel. E proprio qui, a Bath, prende il via la sua inarrestabile
passione che determinerà un folgorante successo, una fama al di là del tempo:
l’osservazione del cielo.
Octagon Chapel, Bath
Torniamo al
1757. Caroline è confinata a casa con quel che resta della famiglia, attendendo
il ritorno del papà. Che, quando avviene, vede approdare a casa un uomo stanco e malato,
bisognoso di cure. La strada della
bambina sembra tracciata. Anche perché, verso i dieci anni, una grave malattia –
forse il tifo – ferma per sempre la sua crescita: da adulta non supererà i 130
centimetri di altezza. Una ragazza mignon che non può neppure contare sulla
bellezza: chi mai potrebbe sposarla? Secondo le aspettative della madre,
Caroline resta dunque in casa come infermiera, cameriera e governante. E però
il destino ha per lei ben altro in serbo: quando Caroline ha circa 22 anni,
William la cerca e le propone di trasferirsi da lui, a Bath, dove avrebbe potuto sfruttare almeno un dono
importante che la natura le aveva concesso: una bellissima voce. Fatta per cantare
e incantare. E infatti lei s’impone. Incoraggiata e guidata del fratello, ormai
stimato insegnante e noto organizzatore di festival musicali, si presenta al
pubblico ottenendo applausi e riconoscimenti. Un futuro appagante l’attende.
Eppure, ancora
una volta, la sua vita avrebbe imboccato una strada diversa. Caroline, rifiuta
offerte di lavoro stabile, anche prestigiose come quella del Festival stabile
di Birmingham, per affiancare il fratello nelle sue scorribande celesti e nella
costruzione di telescopi con elevate capacità ottiche: la giovane donna mette subito in evidenza una grande abilità nella molatura degli specchi e nell’assemblaggio
delle varie parti degli strumenti, abilità che manca a William.
Con sofisticati
strumenti e non comune capacità di osservazione, arrivano i risultati:
una certa notte del Marzo 1781 – per le cronache dell’epoca tra il 13 e il 17
– l’astronomo individua un nuovo
corpo celeste che ritiene essere una cometa. E così la presenta alla Royal
Society. Ma alcuni dubbi sulla conformazione e molti calcoli sull’orbita, che
coinvolgono anche altri astronomi, rivelano la vera natura del corpo celeste: è
un pianeta, il primo “sfuggito” agli antichi. William avrebbe voluto chiamarlo
“Georgium Sidus”, in onore del re – all’epoca George III – ma dai varî dibattiti
che si aprono sull’argomento si fa strada ”Uro”, nome del genitore di Saturno.
Urano, il gigante di ghiaccio, 13-17 marzo 1781
Settimo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal sole, terzo per diametro, è pari a quattro volte la massa terrestre.
Per William è immediatamente la Fama (con la “F” maiuscola). Tanto che il Sovrano vuole dare lustro al suo regno nominando Herschel "Astronomo personale del Re", con un appannaggio di 400 sterline all’anno e l’onore di essere “Sir”. William trasferisce quindi la sua residenza a Slough, nei pressi di Windsor.
Il successo di
William poggia largamente sul contributo intelligente e costante di Caroline, che
però resta nell'ombra e si schermisce: “Non ho fatto nulla per mio fratello, se non ciò che un
cucciolo di cane ben addestrato avrebbe fatto, vale a dire, ho fatto quello che
mi ha comandato”.
Ma il destino non vuole che Caroline sia sempre e solo una gregaria come pretenderebbero le convenzioni dell'epoca. E neppure lo vuole William che la conosce molto bene, che ne apprezza le capacità, l'intelligenza, l'abilità, la curiosità, l'acume. E pensa che la "sorellina" possa regalare al mondo sorprese che lasciano il segno: così
progetta e costruisce un telescopio solo per lei, pressandola affinché proceda
in autonomia allo studio del cielo. E lei non lo delude.
Il 1° agosto 1786 Caroline Lucretia scopre la sua cometa. È la prima donna al mondo a ottenere un risultato di tale portata. La cometa sarà battezzata "First lady's comet".
Un successo che continuerà con altre sei comete: 21 dicembre 1788, 9 gennaio 1790, 15 dicembre 1791, 7 ottobre 1793, 7 novembre 1795, 6 agosto 1797: di queste, per almeno cinque è stata riconosciuta senza ombra di dubbio la “primogenitura”. In più, oltre alle comete nel suo percorso c’è un incredibile volume di calcoli numerici necessari per rendere utilizzabili dalla scienza le rilevazioni degli astronomi.
C’è anche un attento, complesso lavoro di catalogazione d’importanti nebulose e ammassi stellari, segnalati anche dal fratello William. In particolare per questo contributo Caroline riceve la medaglia d’oro dall’Astronomical Society of London nella quale è ammessa quale Membro onorario: una donna per la prima volta…
Altrettanto
inusuale è il salario” – seppure modesto – che le viene elargito da Sua Maestà
George III, ancora una volta
per la sua collaborazione alle ricerche del fratello. Eppure lei è già la Signora delle comete. La prima Signora
delle comete.
William muore nel 1822 e Caroline, che pure aveva seguito e sostenuto e aiutato in una folgorante carriera anche il nipote John Frederick William – un genio: matematico, fisico e astronomo - decide di tornare a Hannover dove vive ancora a lungo continuando a elaborare calcoli e a compilare cataloghi di fondamentale importanza per la conoscenza del cielo e lo sviluppo dell’astronomia. E sovente ricevendo visite, testimonianze di ammirazione e di ricordo anche dai nuovi sovrani di stirpe tedesca che hanno attraversato la sua vita.
La prima donna al
mondo che abbia scoperto una cometa, la schiva cacciatrice di stelle chiude gli
occhi a 98 anni, la mente ancora lucida.
Il mondo le rende omaggio: si sarebbe accontentata di essere gregaria,
invece Caroline Lucretia Herschel era lei stessa una stella.
William aveva scritto: "Non puoi aspettarti di vedere al primo sguardo. Osservare è per certi versi un'arte che bisogna apprendere".
Nelle cronache
dell’epoca che raccontano di Caroline Lucretia, William e il nipote John non
c’è alcuna traccia di anche un solo pasto che i grandi astronomi abbiano
gustato (o detestato). Così questo
blog compie una scelta arbitraria, apparecchiando la tavola. All’inglese,
naturalmente.
Ricette
Il Roast beef con la sua salsina
patate arrosto e Yorkshire puddings
Togliere la carne dal
frigorifero almeno due ore prima di avviarne la preparazione, per portarla a
temperatura ambiente. Preriscaldare il forno a 190°C.
Mescolare la polvere di
senape con acqua, con la pasta ottenuta frizionare l’intero pezzo, salare e pepare
accuratamente.
In una larga padella
scaldare l’olio o il grasso d’anatra e a calore raggiunto aggiungere la lombata
e rigirarla su tutti i lati (anche le due estremità!) fin quando sarà
uniformemente brunita.
Posare la carne sulla
gratella di una rostiera e mettere in forno per il tempo corrispondente alla
cottura desiderata. Vale la pena di ricordare che l’eccessiva cottura rovinerà
inevitabilmente il risultato rendendo l’arrosto asciutto e stopposo poiché le
parti adatte a questo tipo di arrosto sono povere di grassi e di nervature.
A cottura ultimata togliere
la carne dalla rostiera, metterla su un tagliere con la scanalatura affinché
non si perdano succhi e coprirla con un foglio di alluminio. Dovrà riposare per
circa 30 minuti, tempo necessario affinché i succhi interni all’arrosto si
redistribuiscano mantenendo l’arrosto rosato e morbido.
Le patate
16 patate di taglia media, varietà Maris Piper o King Edward
2/3 spicchi d’aglio – timo – sale marino – grasso d'anatra
Preriscaldare il forno a
200°C. Pelare e tagliare le patate a pezzi di grandezza uniforme, indicativamente
4 per ogni unità.
Intanto portare a bollore e salare l’acqua necessaria per
scottare le patate: basteranno dai 5 ai 7 minuti perché dovranno essere scolate
quando sono ancora ben sode.
Mettere il grasso d’anatra
in una teglia che possa contenere di misura le patate e farlo sciogliere in
forno. Quando ben caldo, recuperare la teglia e aggiungervi le patate, gli
spicchi d’aglio, i rametti di timo e una spolverata (senza esagerare) di sale
marino; rigirare con grande cura affinché il tutto risulti ben.. ingrassato.
Serviranno 30/35 minuti di cottura per ottenerle dorate e croccanti
Gli Yorkshire Puddings
140 g farina di
tipo 0 – 4 uova - 200 ml latte – sale e pepe q.b.
olio di semi
d’arachide
In
una terrina, con una frusta, battere le uova intere con il latte fino a
ottenere un preparato fluido; aggiungere la farina setacciandola e continuando
a battere per evitare o eliminare eventuali grumi: la pastella dovrà essere
liscia e filante. A questo punto è opportuno travasarla in una caraffa per facilitarne
il versamento nei pozzetti della teglia. Coprire con una pellicola tenendo al
fresco.
Per la cottura serve una
teglia da 12 muffins i cui pozzetti dovranno essere ben oliati e, anzi, sul
fondo deve restare un po’ di olio.
Pre-riscaldare il forno a 190°C e
infornare per 15 minuti Quando
l’olio appare bollente, togliere dal forno facendo molta attenzione ad evitare
scottature; rimescolare la pastella e suddividerla nelle forme riempiendole
fino a metà. E’ utile usare un cucchiaio per raccogliere le gocce di pastella
nel passaggio da un pozzetto all’altro. Infornare nuovamente per 20/25 minuti.
È rigorosamente vietato aprire lo sportello prima di fine
cottura.
Salsina
350 ml vino rosso, Bordeaux o Cabernet Sauvignon
4 cucchiai di farina o 3 cucchiaini da the di
Maizena* – sale e pepe
Mentre le patate sono in
cottura, procedere con la salsina. Recuperare in un tegame di misura media
tutto il sugo rilasciato dalla carne nella rostiera, grattando bene anche il
fondo, e aggiungere anche quello che eventualmente il roast beef avrà rilasciato sul avrà rilasciato sul
tagliere. Mescolare con la farina (io scelgo la Maizena) e il vino rosso.
Mettere su fiamma debole, lasciar sobbollire per una decina di minuti quindi
aggiustare di sale e pepe.
* Personalmente
scelgo la Maizena perché non lascia retrogusto. Se si usa questa, scioglierla
in una tazzina di liquido freddo (acqua o anche vino) e aggiungerla verso fine cottura
mescolando bene quando la si versa nel tegame perché a contatto del calore può
formare grumi.
Come servire
Note utili
Il più tradizionale dei piatti inglesi usa
il grasso d’anatra per la cottura perché rende i cibi croccanti mantenendone la
morbidezza.
Per un ottimo roast beef si deve scegliere carne di bovino
adulto e, in particolare, una delle seguenti parti (in ordine di “eccellenza”):
lombata, scamone, noce, fesa.
Per il dressing, la ricetta originale
prevede che la carne sia massaggiata con una “pasta” preparata con polvere di senape lavorata con acqua. E però anche aromi come rosmarino, salvia, alloro
sono sostituti sovente graditi.
La cottura è il passaggio più difficile. Per
avere un roast beef all’altezza
delle nostre aspettative – al sangue, medium, ben cotto – dovremmo farci
assistere dalla sonda, cioè quel termometro che si infila fino al centro del
”pezzo” da cuocere e che ci indica
il momento in cui dobbiamo togliere la teglia dal forno. In mancanza, mettiamo
in funzione il sistema empirico, con forno preriscaldato a 190°C: al sangue, 11 minuti ogni 450 g; medium,
14 minuti sempre per 450 g; cottura
completa, 16 minuti e 450 g.
Barchette di patate al Cheddar*
8 patate di taglia media a pasta gialla (2 kg
abbondanti)
170 g Cheddar inglese grattugiato grosso
(praticamente sfilacciato) 3/4 di tazza di panna acida – 8 fette di bacon fresco
olio extravergine d’oliva – Sale marino in
cristalli tipo Maldon
pepe macinato fresco – erba cipollina (o cipollotto)
Preriscaldare il forno a
200°C. Lavare e spazzolare
accuratamente le patate; asciugarle; bucarle su tutta la superficie con i rebbi
di una forchettina; frizionarle con l’olio e poi dare una leggera spolverata di
sale e pepe macinato al momento.
Sistemare le patate su una
griglia appoggiata su un foglio di cottura da forno, infornare e lasciar
cuocere per circa un’ora: le patate, al tocco, devono risultare croccanti
all’esterno e morbide all’interno.
Passare al bacon. In una
larga padella cuocere il bacon su fiamma medio-bassa per circa 10 minuti fin
quando non sarà dorato e croccante. Eliminare l’olio in eccesso e tagliuzzare a
pezzetti piccoli. Mettere da parte.
A cottura avvenuta, togliere
le patate dal forno, lasciarle intiepidire per poterle maneggiare. Con un coltello lungo (ben affilato)
tagliarle a metà orizzontalmente, poi con un cucchiaio togliere circa ¾ della
polpa: la buccia delle patate deve restare ben protetta da quella restante.
Rimetterle sulla gratella.
Alzare la temperatura del
forno a 220°C, spennellare l’olio su tutta la “barchetta” (interno ed esterno),
distribuire un pizzico di sale dopo aver controllato se necessario assaggiando
un pezzettino di polpa; rimettere in forno. Dopo circa 10 minuti girare le
patate e lasciar cuocere per altri dieci minuti. Togliere dal forno e lasciar
raffreddare.
Unire e mescolare il bacon
con il Cheddar e imbottire le “barchette” con questo ripieno.
Rimettere al forno fin
quando il formaggio appare sciolto e inizia a sfrigolare.
Per servire, aggiungere
l’erba cipollina tagliata fine e un cucchiaio di panna acida.
* Il Cheddar,
che nasce nell’omonimo villaggio del Somerset inglese, è un presidio Slow Food
e però solo tre varietà possono fregiarsi della certificazione DOP. Il colore
che ormai lo caratterizza – il
giallo – in realtà è determinato dall’aggiunto di annato un colorante
estratto dalla Bixa Orellana, pianta
amazzonica. All’origine il Cheddar ha una colorazione simile a
quella del Parmigiano, più o meno intensa a seconda della maturazione che non
deve superare i 24 mesi e avvenire rigorosamente dentro a un panno di stoffa.
Somerset Apple Cake
400 g mele * – 220 g farina 00 o 0 – 150 g
burro
200 g zucchero di canna grezzo
2 uova – 1/2 cucchiaino di cannella Bourbon
in polvere
1 bustina lievito vanigliato per dolci –1
cucchiaio di latte
Preriscaldare il forno a
180°C. Imburrare e infarinare una teglia rotonda, diametro 20 cm.
Sbucciare e togliere il
torsolo alle mele, tagliarle a cubetti e metterle in una terrina, spolverandole
con un paio di cucchiai di zucchero e la cannella. A parte unire il burro (a
temperatura ambiente e tagliato a pezzetti) alla farina e al lievito. Mescolare vigorosamente e ne risulterà
un composto granuloso; aggiungere le mele e lo zucchero, conservandone
tre/quattro cucchiai per la copertura finale. Mescolare ancora. Aggiungere le
uova leggermente battute con il latte lavorando vigorosamente e velocemente;
versare l’impasto nella teglia, cospargere con il restante zucchero e mettere
in forno per circa 90 minuti; passata un’ora verificare la cottura infilando
uno stuzzicadenti nella torta: se uscirà asciutto si potrà spegnere la fiamma,
se, al contrario fosse umido e appiccicoso, abbassare la temperatura a 160°C e
proseguire la cottura per un altro quarto d’ora. Una volta pronta, lasciar
intiepidire la torta nella teglia, quindi trasferirla su una gratella.
Vincent van Gogh, Il cielo stellato, olio su tela, 1889 – Museum of Modern Art, New York
Fonti
www.astronomitaly.com – www.radioglobo.it
– www.bbc.co.uk – www.nationalpost.com – www.greenme.it – www.potatoes.ahdb.org.uk – www.beef.balada.site – www.wikipedia.org www.englishcountrycooking.co.uk
– www.letteralmente.net