Ricette

martedì 26 gennaio 2016

Trippa: è come l'amore. Non si serve mai fredda.







“…Sette città si sono disputate l’onore di aver dato i natali a Omero; la Francia e l’Italia si disputano quello di aver trovato la preparazione della trippa di manzo. Non abbandoneremo da parte nostra, se ne abbiamo il diritto, la parte che la Francia può avere in questa preparazione, ma ci sono imposti dei doveri e non cediamo la nostra parte ai milanesi se non con tutte le riserve”
Alexandre Dumas padre, “Grande dizionario di cucina”. (1873)



Trippa. Cibo povero. Cibo grasso. Cibo “volgare”, nel senso di consumato dal “volgo”. Non è così. Ecco perché.


Trippa?
Si deve parlare, piuttosto, di trippe visto che si tratta di diverse parti - quattro strati - dello stomaco del bovino,  ciascuna delle quali ha un nome proprio che però muta a seconda della zona geografica. 

 


Rumine (Ciapa, Croce, Larga, Panzone): è la parte più spessa e più grassa.
Reticolo (Beretta, Cuffia, Nido d’ape): ha un aspetto spugnoso e la sua forma ricorda quella di una cuffia.
Omàso - (Centupezzi, Foiolo, Libretto, Millefogli, Centopelli).
Abomàso - (Caglio, Francese, Frezza, Lampredotto, Quaglietto, Riccia, Ricciolotta)

Nella consuetudine ormai si parla genericamente di “trippa” al singolare. E' comunque sempre più difficile utilizzare il plurale perché è praticamente impossibile trovarle tutte e quattro (quanto meno in base alle leggi sanitarie italiane).

Cibo grasso?


Contrariamente all’idea comune, la trippa non è un piatto grasso ma gelatinoso”. E’ la parola - incontestabile - del Gran Maestro della Confraternita di gastronomia normanna La Tripière d’Or.

Cibo povero?



“Ma chi mangia trippa qui?” chiese il signor Filer guardandosi attorno. “La trippa è indiscutibilmente il meno economico e il più dispendioso genere di consumo che ci sia sul mercato del nostro paese. Si è stabilito che, nella cottura, il calo di un chilo di trippa è di sette quarantesimi superiore a quello riscontrabile in qualunque altra sostanza animale. A conti fatti, la trippa viene a costare assai più dell’ananas. Tenendo conto del neo di animali macellati annualmente, secondo le tavole della mortalità, e rifacendoci a un minimo della qualità di trippa che questi animali potrebbero fornire, ritengo che lo spreco, in seguito alla cottura, sarebbe sufficiente a nutrire una guarnigione di cinquecento uomini per cinque mesi di trentun giorni, escludendo febbraio. Che spreco, che spreco!”.
             “Trotty aveva un’aria stupefatta e gli tremavano le gambe. Si sentiva quasi colpevole di aver fatto morire di fame una guarnigione di cinquecento uomini”.
Charles Dickens, “The chimes“ da “The Christmas Carol” (“Le Campane” da “Racconti di Natale”).

Cibo “volgare”?



Grandi scrittori, poeti, pittori, disegnatori, fumettisti… il mondo intellettuale del passato lontano e recente ha celebrato la trippa. Da Dumas a Dickens a Shakespeare a Pessoa. Da Vasco Pratolini a Stefano Benni. Da  Lucien Boucher - disegnatore, incisore e illustratore francese -  al celebrato fumettista Andrea Pazienza.
La trippa è una moda. Le città mettono il sigillo al loro modo di cucinarla. Caen, Milano, Firenze, Roma, Porto…..
E alcuni autori usano la trippa come metafora…


“Un giorno, in un ristorante, fuori dallo spazio e dal tempo,
Mi servirono l’amore come trippa fredda.
Dissi con delicatezza all’inviato dalla cucina,
che la preferivo calda,
poiché la trippa (ed era alla maniera di Porto) non si mangia mai fredda.

Si spazientirono con me.
Non si riesce mai ad aver ragione, nemmeno in un ristorante.
Non mangiai, non ordinai nient'altro, pagai il conto,
e andai a passeggiare lungo tutta la strada.

Chissà cosa significa tutto ciò?
Non so, ed è successo a me...

(So molto bene che nell'infanzia di tutti c'è stato un giardino,
privato o pubblico, o del vicino.
So molto bene che il gioco era il suo padrone,
e che la tristezza è quello dell’oggi).

Lo so bene questo,
ma, se ho chiesto amore, perché mi hanno portato
trippa alla maniera di Porto fredda?

Non è un piatto che si possa mangiare freddo,
ma me l'han portato freddo.
Non mi sono lamentato, ma era freddo,
non si può mangiare freddo, ma arrivò freddo.
Álvaro de Campos (Eteronimo di Fernando Pessoa)


E ora le trippe. Fumanti.

Ricette


Premessa.  Nei tempi andati le trippe venivano vendute allo stato "naturale": dovevano essere pulite accuratamente, lavate più volte con sale e aceto, bollite a lungo in più acque prima di essere cucinate per ottenere il piatto finale. Ora i macellai - e ancor prima i trippai dove esistono e resistono - presentano le trippe sostanzialmente pronte per la cottura che le trasformerà in prelibatezza. Il consiglio è comunque di sciacquarle molto bene, poi di  metterle in una pentola con un dito d’acqua, di porle quindi sul fuoco, portarle a bollore e lasciarle sobbollire  per una decina di minuti per purificarle. Infine sciacquare nuovamente sotto acqua corrente fredda.
Nelle ricette che seguono, dunque, queste operazioni si danno per fatte.





Tripes à la mode de Caen




La storia. La ricetta originale risale al XVI secolo ed è attribuita a Sidoine Benoît, monaco nell’Abbazia Aux Hommes di Caen, capitale della Normandia del Sud, nota come la città dai cento campanili.  E’ un fiore all’occhiello della cucina francese e ad essa è dedicato, dal 1951, un concorso che si tiene annualmente a cura della Confraternita della gastronomia normanna “La tripière d’or”.
Osserva il Gran Maestro della Confraternita: “E’ un piatto composto dai quattro stomaci di bue, ai quali si aggiunge un piede di vitello. Il piatto è semplice, realizzato con condimenti semplici. E’ tutta questione di equilibrio.  L’importante è saper dosare”.

Delle Tripes à la mode de Caen ha scritto anche Alexandre Dumas. E al grande scrittore non si può non dare il posto d'onore. Con un avvertimento. Il suo “Grande dizionario di cucina” è un affascinante monologo sul cibo, lungo 800 pagine e ricco di quasi 2500 ricette. E’ un racconto e, come tale, non prevede l’indicazione delle quantità.



Foderate una stufaiola con cipolle, carote a fette, lardo, chiodi di garofano, un mazzetto guarnito, aglio, una foglia d’alloro, pepe grosso, un pezzo di zampetto di manzo; scolate le trippe, mettete sale e noce moscata grattugiata; sistemate le trippe in una terrina con garretto di prosciutto; bagnate con vino bianco annacquato, coprite con strisce di lardo.
Posate il coperchio e chiudetelo ermeticamente lutato  (sigillato, ndr) con della pasta, fate cuocere sette ore in forno molto dolce e servite caldo, con il sugo di cottura sgrassato e legato”.

E dalla
Confrérie de Gastronomie Normande La Tripière d’Or
(per 4 persone)

1 kg di trippe miste - 1 piede di bue - 1 piede di vitello
3 carote -  3 cipolle - 1 porro
1 spicchio d’aglio  -  2 chiodi di garofano - prezzemolo - timo - alloro
sidro di Normandia -1 bicchiere di Calvados
farina - acqua



Farsi preparare dal macellaio le trippe tagliate a quadrotti regolari di circa 5/6 cm di lato e le zampe di vitello e di bue divise in due. Pulire le carote, affettarle a rondelle sottili, disporle sul fondo della tripière (tegame basso in terracotta, ndr). Affettare due cipolle, schiacciare l’aglio. Steccare la terza cipolla con i chiodi di garofano. Preparare un bouquet garni con prezzemolo, timo, alloro e porro. Mettere il tutto nella tripière , aggiungere le trippe e i due piedi. Irrorare con un bicchiere di Calvados e quindi con il sidro fino a far affiorare il liquido al di sopra delle carni. Coprire e sigillare ermeticamente il coperchio con un rotolino di pasta preparata con acqua e farina.
Mettere le trippe in forno preriscaldato a 100 °C e lasciarle cuocere da 10 a 12 ore. Al termine della cottura, scoperchiare, togliere il bouquet garni e la cipolla steccata; recuperare i piedi, togliere gli ossicini, tagliarli a pezzetti e unirli alle trippe. Sgrassare il sugo.
Servire le trippe calde in piatti pre-riscaldati, accompagnandole con patate cotte al vapore. E, naturalmente, con una buona bottiglia di Sidro di Normandia.
Nota: Le trippe da sempre vengono cotte in un tegame apposito, la già citata tripière che è ancora prodotta in Francia e più precisamente a Noron-la-Poterie, nei pressi di Bayeux.


Busecca alla milanese del 1815
                                             da “Il ghiottone lombardo”



  


La trippa, a Milano, si chiama “busecca” e i milanesi – ghiotti di questa prelibatezza - erano soprannominati “busecconi”. Un termine che non è offensivo, anzi, quasi affettuoso.
L’origine del vocabolo “busecca” è riconducibile al tedesco butze (viscere) divenuto poi, in italiano, “buzzo” e in dialetto  “busa” (pancia) ; da qui  “busecch” e infine “busecca”. In dialetto si ha infine “büséca”.
Le ricette milanesi e lombarde per cucinare la trippa sono numerose: asciutta, con le verdure essenziali tipiche da soffritto; in minestra, da assaporare con grosse fette di pane rustico; con patate e/o verze; con fagioli borlotti oppure con i “bianchi di Spagna”…
Noi scegliamo il ritorno al passato, tornando all’Ottocento. E’ la busecca di Carlo Porta.

Si sceglie trippa di vitello detta francese, che sia bianca e tenera e la si taglia a pezzetti, dopo averla ben sgrassata e ben lavata in più acque. Si prepara un trito di lardo e pancetta, due spicchi di aglio, qualche foglia di sedano, una di salvia e poco prezzemolo e la grascia levata alla trippa. Si frigge il trito con un poco di burro, ma poco, e una cipolla affettata.
Quando il condimento è ben cotto vi si mettono a rosolare carote sedano, quindi la trippa. La si rivolge più volte spolverandola di farina bianca; vi siaggiungono i fagioli (preferibilmente quelli bianchi detti spagnoli) e vi si mette acqua bollente e salata fino a coprire il tutto, aggiungendovi pepe e sale e, se occorre, poche spezie epoca salsa di pomodoro. Si lascia cuocere per un paio d’ore e si serve con formaggio di grana grattugiato.”


Nota: Anche in questa ricetta non ci sono le dosi. Come ha ben precisato Mr. File, il personaggio di Dickens, "economista" per formazione e lavoro, la trippa “rende” pochissimo. Se la si consuma come piatto principale o unico, per quattro persone bisogna pensare almeno a un chilo e mezzo con circa 200/250 g. di fagioli secchi che (Porta non lo dice ma è obbligatorio…) andranno messi a bagno il giorno prima, aggiungendo all’acqua (abbondante) un cucchiaino di bicarbonato che ne renderà più morbida la buccia. E andranno scottati separatamente per una ventina di minuti, quindi sciacquati (acqua tiepida) e aggiunti alla trippa.





Lampredotto
ovvero il cibo di strada a Firenze



Trippa, un amore lungo secoli. Già nel 1400 i trippai fiorentini erano popolarissimi e riuniti in una Corporazione, importante, con regole severe e leggi che consentivano solo a loro di “trattare” la trippa. Ma “quale” trippa?



Il Lampredotto è la trippa che corrisponde all’abomaso, in sostanza lo stomaco vero e proprio. È formato dalla spannocchia - la parte più grassa, bianca e gelatinosa - e dalla  gala, la parte più buona e saporita, molto increspata e di colore violaceo.  Opportunamente cotto, il lampredotto finisce nel semelle, panino tipico dell'area fiorentina, accompagnato da sale e pepe o da condimenti quali la salsa verde o l’olio piccante. L’origine dei due nomi, non proprio comuni: lampredotto pare che derivi da una qualche somiglianza dell’abomaso con la lampreda, un pesce parassita, ma assai gustoso, che nei bei tempi andati si accasava in Arno. Quanto a semelle, deformazione dialettale di sèmel, deriva dal tedesco semmel, che sta a indicare un panino leggero e soffice. Il semelle, contrariamente al classico pane fiorentino, è confezionato con impasto salato.


La ricetta per cucinare il Lampredotto è di semplicità disarmante e sorprende che tanta semplicità produca un sapore unico, indescrivibile.




Ecco cosa serve e come fare
(per 4 persone)

1 lampredotto intero (varia da 700 g a 1 kg) - 2 pomodori - 6 carote
 3 grosse cipolle - 4 coste di sedano - 1 ciuffo di prezzemolo
 2 chiodi di garofano - pepe in grani - sale grosso -  4 l di acqua fredda


Steccare una delle cipolle con i chiodi di garofano, mettere in una pentola tutte le verdure, i grani di pepe, un buon pizzico di sale grosso e il lampredotto - già “trattato” dal trippaio - che avrete opportunamente sciacquato ancora molto bene sotto acqua corrente. Portare a bollore, incoperchiare, lasciar sobbollire a fuoco dolce per almeno tre ore. Terminata la cottura, tagliare a pezzetti il lampredotto e servirlo bollente accompagnato dai condimenti preferiti. Il grande classico è la salsa verde. Ovviamente l’alternativa è il semelle. Il panino diventerà sublime se la parte superiore sarà bagnata con il brodo.



La trippa alla moda di Roma  
ovvero
Non c’è trippa per i gatti



La storia. C’è un detto, romano ma popolare in tutt’Italia: “Non c’è trippa per i gatti”. Molto efficace. La sua origine viene fatta risalire agli inizi del ‘900 quando l’allora sindaco della capitale - Ernesto Nathan -  propose di eliminare dal bilancio comunale una voce di spesa relativa al mantenimento di una colonia di gatti randagi.

1,5 kg di trippa - 70/80 g di grasso di prosciutto - 2 cipolle - 2 coste di sedano  2 spicchi d’aglio - salsa di pomodoro - parmigiano grattugiato – brodo
 30 g burro - sale e pepe

In una casseruola alta fondere il burro con il grasso di prosciutto battuto,  unire cipolla, sedano e carote tritati fine e lasciar insaporire per un quarto d’ora. Unire la trippa tagliata a striscioline e, dopo una decina di minuti, aggiungere tre cucchiai di salsa di pomodoro sciolta in acqua calda. Far cuocere per mezz’ora, poi aggiungere altro brodo fino a coprire la trippa e lasciare sul fuoco per almeno altre due ore, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo, se necessario, altro brodo. Al termine della cottura spolverizzare di parmigiano grattugiato e  servire bollente.



Dobrada à moda do Porto




1 kg di trippe di vitello - 1 zampa di vitello - 1 osso di prosciutto crudo
150 g di salsiccia - 150 g salame - 1 pollo o mezza gallina
500 g di fagioli borlotti o bianchi di Spagna (800 g se freschi)
2 carote - 2 cipolle grandi - 1 cucchiaino di salsa concentrata
1 cucchiaio di paprika dolce - 2 foglie di alloro - prezzemolo
1 bicchiere di Porto - sale e pepe

Procurarsi trippe già ben pulite e parzialmente cotte.  Comunque lavarle accuratamente quindi metterle in una pentola con un dito d’acqua leggermente salata, portare a bollore e lasciar spurgare ulteriormente per qualche minuto. Sciacquare.
In altro tegame, con acqua, cipolla, 1 costola di sedano e 1 carota, cuocere lo zampetto diviso in due. Poi disossarlo e tagliarlo a pezzetti. In un recipiente possibilmente di cotto mettere un cucchiaio di olio extravergine di oliva e rosolarvi leggermente l’osso di prosciutto: nel caso non lo aveste trovato, andrà bene il prosciutto tagliato a cubetti. Insieme rosolare anche salame e salsiccia a rondelle spesse. Aggiungere le verdure tritate, lasciar stufare controllando che non brucino poi unire il pollo o la gallina, tagliati a pezzetti piccoli e la salsa concentrata. Irrorare con un bicchiere di Porto e qualche mestolo di brodo di pollo (…alla peggio fatto con i dadi…), insaporire con una spolverata di paprika e l’alloro. Coprire e lasciar cuocere per una mezz’ora. Aggiungere la trippa tagliata a listarelle sottili, lo zampetto disossato e i fagioli che intanto saranno stati sbollentati per una ventina di minuti in acqua, rigorosamente non salata. Cuocere a lungo (la cottura dei fagioli sarà un buon indicatore), a fuoco molto dolce e tegame coperto. Assaggiare e regolare di sale e pepe. Servire le trippe bollenti, spolverate di prezzemolo fresco tritato finissimo.
Avvertenza. In caso di fagioli secchi, la sera precedente metterli in acqua fredda con un cucchiaino di bicarbonato per ammorbidirli.


Grazie alle fonti


www.troppatrippa.com
www.accademiadellatrippa.com - www.cibodistrada.it www.lampredotto.net - www.nuovatripperiafiorentina.it 
it-wikipedia.org - www.ilgiornaledelcibo.it
www.normandie-heritage.com - www.treccani.it www.portugal.gastronomias.com - www.guidaportogallo.net

Il dipinto di apertura “I mangiatori di trippa” è del Maestro 
Giovanni Ricchi
Il Grande Dizionario di cucina di Alexandre Dumas è edito da 
IBIS- Como (2002)
Il Ghiottone Lombardo di Carlo Steiner è edito da 
Bramante Editrice – Milano (1964)
"Rosso Micione" di Eric Battut è edito da 
Bohem Press Italia