Ricette

giovedì 23 aprile 2020

La Signora delle Comete: una storia bellissima. Con pranzo inglese.


“Si dice che quando una persona guarda le stelle è come se volesse ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo”.
Salvador Dalì


 Vincent van Gogh, La notte stellata sul Rodano, olio su tela, 1888 - Musée d'Orsasy, Paris
 
Questa sembra una fiaba, invece è una storia vera. Bellissima. È la storia di una cacciatrice di stelle. È la storia della prima donna al mondo che scopre una cometa. Anzi sette.

Inizia nel marzo 1750 a Hannover, nella Bassa Sassonia, quando nasce Caroline Lucretia da  Anna Ilsen Moritzen e Isaac Herschel, una coppia dalle finanze magre ma dove non manca l'attenzione alla formazione dei sei figli, quattro maschi e due ragazze. Per la verità il personaggio chiave, sotto il profilo culturale, è il padre Isaac, ottimo e stimato musicista, dapprima suonatore d’oboe e quindi direttore nella Banda delle Guardie della Fanteria di Hannover.
Isaac non fa distinzioni di genere fra i figli e anche alle bambine vuole impartire un buon livello d’istruzione. Non così la moglie che, al contrario, ritiene inutile e improprio che le figlie s’interessino ad altro che non sia l’economia domestica. Ma la sua linea castrante nei confronti delle ragazze risulterà perdente. Caroline ha molti ricordi degli insegnamenti, degli stimoli derivanti dal suo papà, fin da quand’era bambina.  In particolare, nel suo diario scrive di una sera senza luna quando lui la porta a passeggiare per osservare le stelle, “per familiarizzare con alcune delle più belle costellazioni e per ammirare anche una cometa allora visibile”.
Lei ancora non lo sapeva ma quelle escursioni notturne avrebbero determinato e cambiato la sua vita.


Un’annotazione storica che spiega molte scelte del “dopo”.  All’inizio del 1700 al trono d’Inghilterra, Scozia e Irlanda era salita Anne del casato Stuart. Il 1° maggio 1707 dall’unione del regno d’Inghilterra e del regno di Scozia nasce un unico Stato, la Gran Bretagna, e Anne ne diventa la prima sovrana. Alla sua morte, nel 1714, il trono – tra grandi manovre e molti tentennamenti – passa a Georg Ludwig von Hannover, il quale,  malgrado sia solo un lontano cugino di Anne per ascendenza materna e non possa vantare sangue britannico,  ha un requisito  all’epoca determinante: era Protestante e non Papalino. È incoronato come George I.  E la storia, nei secoli, non dimenticherà che questo Sovrano arrivato, a sorpresa, dalla Bassa Sassonia, non era in grado di parlare inglese (che ovviamente dovette imparare). A George I, nel 1727, succede, con il nome di George II, il figlio Georg Augustus von Hannover che regnerà fino al 1760, data della sua morte, portando ai suoi sudditi  pace e prosperità. Il nuovo erede è il figlio Georg Wilhelm Frederick von Hannover che prende il nome di George III, re di Gran Bretagna e Irlanda.



Georg Ludwig von Hannover,  George I re di Gran Bretagna dal 1714 al 1727


Questa "conquista" del trono inglese da parte di una dinastia tedesca spiega, almeno in parte, perché la storia della famiglia Herschel si sposti da Hannover all'Inghilterra.
Il “dopo”, infatti, vede i quattro fratelli diventare, tutti, musicisti ma per uno di loro –Wilhelm – sarà il distacco dalla casa paterna e con questo la fama, che arriverà percorrendo ben altri sentieri. In seguito altrettanto sarà per la sorellina Caroline, minore di dodici anni.


Siamo nel 1757, è in corso la grande guerra detta “dei sette anni”. La Francia invade l’Hannover e Isaac deve abbandonare l’oboe per imbracciare il fucile. Il secondo figlio, Wilhelm, diciannove anni, invece, si trasferisce in Inghilterra per coltivare il suo sogno di musicista e compositore: suona violino e organo. È molto bravo. Approda prima a Durham, poi a Halifax dove rimane alcuni anni  perfezionando le sue competenze musicali, dando lezioni di musica, impiegandosi come organista e studiando lingue. Il suo nome originale è abbandonato in favore di “William”, decisamente più britannico. Nel 1766 lo si ritrova a Bath, organista presso l’Octagon Chapel. E proprio qui, a Bath, prende il via la sua inarrestabile passione che determinerà un folgorante successo, una fama al di là del tempo: l’osservazione del cielo.


 Octagon Chapel, Bath



Torniamo al 1757. Caroline è confinata a casa con quel che resta della famiglia, attendendo il ritorno del papà. Che, quando avviene, vede approdare a casa un uomo stanco e malato, bisognoso di cure.  La strada della bambina sembra tracciata. Anche perché, verso i dieci anni, una grave malattia – forse il tifo – ferma per sempre la sua crescita: da adulta non supererà i 130 centimetri di altezza. Una ragazza mignon che non può neppure contare sulla bellezza: chi mai potrebbe sposarla? Secondo le aspettative della madre, Caroline resta dunque in casa come infermiera, cameriera e governante. E però il destino ha per lei ben altro in serbo: quando Caroline ha circa 22 anni, William la cerca e le propone di trasferirsi da lui, a Bath, dove  avrebbe potuto sfruttare almeno un dono importante che la natura le aveva concesso: una bellissima voce. Fatta per cantare e incantare. E infatti lei s’impone. Incoraggiata e guidata del fratello, ormai stimato insegnante e noto organizzatore di festival musicali, si presenta al pubblico ottenendo applausi e riconoscimenti. Un futuro appagante l’attende.
Eppure, ancora una volta, la sua vita avrebbe imboccato una strada diversa. Caroline, rifiuta offerte di lavoro stabile, anche prestigiose come quella del Festival stabile di Birmingham, per affiancare il fratello nelle sue scorribande celesti e nella costruzione di telescopi con elevate capacità ottiche: la giovane donna mette subito in evidenza una grande abilità nella molatura degli specchi e nell’assemblaggio delle varie parti degli strumenti, abilità che manca a William.




Con sofisticati strumenti  e non comune capacità di osservazione, arrivano i risultati: una certa notte del Marzo 1781 – per le cronache dell’epoca tra il 13 e il 17 –  l’astronomo individua un nuovo corpo celeste che ritiene essere una cometa. E così la presenta alla Royal Society. Ma alcuni dubbi sulla conformazione e molti calcoli sull’orbita, che coinvolgono anche altri astronomi, rivelano la vera natura del corpo celeste: è un pianeta, il primo “sfuggito” agli antichi. William avrebbe voluto chiamarlo “Georgium Sidus”, in onore del re – all’epoca George III – ma dai varî dibattiti che si aprono sull’argomento si fa strada ”Uro”, nome del genitore di Saturno.



Urano, il gigante di ghiaccio, 13-17 marzo 1781
Settimo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal sole, terzo per diametro, è pari a quattro volte la massa terrestre. 

Per William è immediatamente la Fama (con la “F” maiuscola).  Tanto che il  Sovrano vuole dare lustro al  suo regno nominando Herschel "Astronomo personale del Re", con un appannaggio di 400 sterline all’anno e l’onore di essere “Sir”. William trasferisce quindi la sua residenza a Slough, nei pressi di Windsor.
Il successo di William poggia largamente sul contributo intelligente e costante di Caroline, che però resta nell'ombra e si schermisce: “Non ho fatto nulla per mio fratello, se non ciò che un cucciolo di cane ben addestrato avrebbe fatto, vale a dire, ho fatto quello che mi ha comandato”. 





Ma il destino non vuole che Caroline sia sempre e solo una gregaria come pretenderebbero le convenzioni dell'epoca. E neppure lo vuole William che la conosce molto bene, che ne apprezza le capacità, l'intelligenza, l'abilità, la curiosità, l'acume. E pensa che la "sorellina" possa regalare al mondo sorprese che lasciano il segno: così progetta e costruisce un telescopio solo per lei, pressandola affinché proceda in autonomia allo studio del cielo. E lei non lo delude.





Il 1° agosto 1786 Caroline Lucretia scopre la sua cometa. È la prima donna al mondo a ottenere un risultato di tale portata. La cometa sarà battezzata "First lady's comet".

Un successo che continuerà con altre sei comete:  21 dicembre 1788, 9 gennaio 1790, 15 dicembre 1791, 7 ottobre 1793, 7 novembre 1795, 6 agosto 1797:  di queste, per almeno cinque è stata riconosciuta senza ombra di dubbio la “primogenitura”. In più, oltre alle comete nel suo percorso c’è un incredibile volume di calcoli numerici necessari per rendere utilizzabili dalla scienza le rilevazioni degli astronomi.
C’è anche un attento, complesso lavoro di catalogazione d’importanti nebulose e ammassi stellari, segnalati anche dal fratello William. In particolare per questo contributo Caroline riceve la medaglia d’oro dall’Astronomical  Society of London  nella quale è ammessa quale Membro onorario: una donna per la prima volta…
Altrettanto inusuale è il salario” – seppure modesto – che le viene elargito da Sua Maestà George III,   ancora una volta per la sua collaborazione alle ricerche del fratello.  Eppure lei è già la Signora delle comete. La prima Signora delle comete.


Caroline Lucretia Herschel


William muore nel 1822 e Caroline, che pure aveva seguito e sostenuto e aiutato in una folgorante carriera  anche il nipote John Frederick William – un genio: matematico, fisico e astronomo - decide di tornare  a Hannover dove vive ancora a lungo continuando a elaborare calcoli e a compilare cataloghi di fondamentale importanza per la conoscenza del cielo e  lo sviluppo dell’astronomia. E sovente ricevendo visite, testimonianze di ammirazione e di ricordo anche dai nuovi sovrani di stirpe tedesca che hanno attraversato la sua vita.
La prima donna al mondo che abbia scoperto una cometa, la schiva cacciatrice di stelle chiude gli occhi a 98 anni, la mente ancora lucida.  Il mondo le rende omaggio: si sarebbe accontentata di essere gregaria, invece Caroline Lucretia Herschel era lei stessa una stella.

William aveva scritto: "Non puoi aspettarti di vedere al primo sguardo. Osservare è per certi versi un'arte che bisogna apprendere".





Nelle cronache dell’epoca che raccontano di Caroline Lucretia, William e il nipote John non c’è alcuna traccia di anche un solo pasto che i grandi astronomi abbiano gustato (o detestato).  Così questo blog compie una scelta arbitraria, apparecchiando la tavola. All’inglese, naturalmente.





Ricette

Il Roast beef con la sua salsina

patate arrosto e Yorkshire puddings


Per 6/8 persone







Togliere la carne dal frigorifero almeno due ore prima di avviarne la preparazione, per portarla a temperatura ambiente. Preriscaldare il forno a 190°C.
Mescolare la polvere di senape con acqua, con la pasta ottenuta frizionare l’intero pezzo, salare e pepare accuratamente.
In una larga padella scaldare l’olio o il grasso d’anatra e a calore raggiunto aggiungere la lombata e rigirarla su tutti i lati (anche le due estremità!) fin quando sarà uniformemente brunita.
Posare la carne sulla gratella di una rostiera e mettere in forno per il tempo corrispondente alla cottura desiderata. Vale la pena di ricordare che l’eccessiva cottura rovinerà inevitabilmente il risultato rendendo l’arrosto asciutto e stopposo poiché le parti adatte a questo tipo di arrosto sono povere di grassi e di nervature.
A cottura ultimata togliere la carne dalla rostiera, metterla su un tagliere con la scanalatura affinché non si perdano succhi e coprirla con un foglio di alluminio. Dovrà riposare per circa 30 minuti, tempo necessario affinché i succhi interni all’arrosto si redistribuiscano mantenendo l’arrosto rosato e morbido.




Le patate



16 patate di taglia media, varietà Maris Piper o King Edward
2/3 spicchi d’aglio – timo – sale marino – grasso d'anatra

 
Preriscaldare il forno a 200°C. Pelare e tagliare le patate a pezzi di grandezza uniforme, indicativamente 4 per ogni unità.
 Intanto portare a bollore e salare l’acqua necessaria per scottare le patate: basteranno dai 5 ai 7 minuti perché dovranno essere scolate quando sono ancora ben sode.
Mettere il grasso d’anatra in una teglia che possa contenere di misura le patate e farlo sciogliere in forno. Quando ben caldo, recuperare la teglia e aggiungervi le patate, gli spicchi d’aglio, i rametti di timo e una spolverata (senza esagerare) di sale marino; rigirare con grande cura affinché il tutto risulti ben.. ingrassato. Serviranno 30/35 minuti di cottura per ottenerle dorate e croccanti


 
Gli Yorkshire Puddings
 

140 g farina di tipo 0 – 4 uova - 200 ml latte – sale e pepe q.b.
olio di semi d’arachide

In una terrina, con una frusta, battere le uova intere con il latte fino a ottenere un preparato fluido; aggiungere la farina setacciandola e continuando a battere per evitare o eliminare eventuali grumi: la pastella dovrà essere liscia e filante. A questo punto è opportuno travasarla in una caraffa per facilitarne il versamento nei pozzetti della teglia. Coprire con una pellicola tenendo al fresco.

Per la cottura serve una teglia da 12 muffins i cui pozzetti dovranno essere ben oliati e, anzi, sul fondo deve restare un po’  di olio. Pre-riscaldare il forno a 190°C  e infornare per 15 minuti  Quando l’olio appare bollente, togliere dal forno facendo molta attenzione ad evitare scottature; rimescolare la pastella e suddividerla nelle forme riempiendole fino a metà. E’ utile usare un cucchiaio per raccogliere le gocce di pastella nel passaggio da un pozzetto all’altro. Infornare nuovamente per 20/25 minuti.
 È rigorosamente vietato aprire lo sportello prima di fine cottura. 



Salsina


350 ml vino rosso, Bordeaux o Cabernet Sauvignon
4 cucchiai di farina o 3 cucchiaini da the di Maizena* – sale e pepe


Mentre le patate sono in cottura, procedere con la salsina. Recuperare in un tegame di misura media tutto il sugo rilasciato dalla carne nella rostiera, grattando bene anche il fondo, e aggiungere anche quello che eventualmente il roast beef  avrà rilasciato sul avrà rilasciato sul tagliere. Mescolare con la farina (io scelgo la Maizena) e il vino rosso. Mettere su fiamma debole, lasciar sobbollire per una decina di minuti quindi aggiustare di sale e pepe.

* Personalmente scelgo la Maizena perché non lascia retrogusto. Se si usa questa, scioglierla in una tazzina di liquido freddo (acqua o anche vino) e aggiungerla verso fine cottura mescolando bene quando la si versa nel tegame perché a contatto del calore può formare grumi.


Come servire
Se si ritiene di servire il roast beef caldo, inserirlo nuovamente per qualche minuto nel forno a 220/230 °C.  quindi tagliarlo a fette spesse, che saranno disposte sia in un grande piatto di portata (preriscaldato leggermente), affiancato dalle patate,  dagli Yorkshire Puddings  e irrorato con il sughetto. Se, invece, sarà consumato freddo (anche il giorno dopo) le fette saranno tagliate sottili.




Note utili
Il più tradizionale dei piatti inglesi usa il grasso d’anatra per la cottura perché rende i cibi croccanti mantenendone la morbidezza.

Per un ottimo roast beef  si deve scegliere carne di bovino adulto e, in particolare, una delle seguenti parti (in ordine di “eccellenza”): lombata, scamone, noce, fesa.
Per il dressing, la ricetta originale prevede che la carne sia massaggiata con una “pasta” preparata con polvere di senape lavorata con acqua. E però anche aromi come rosmarino, salvia, alloro sono sostituti sovente graditi.




La cottura è il passaggio più difficile. Per avere un roast beef  all’altezza delle nostre aspettative – al sangue, medium, ben cotto – dovremmo farci assistere dalla sonda, cioè quel termometro che si infila fino al centro del ”pezzo” da cuocere  e che ci indica il momento in cui dobbiamo togliere la teglia dal forno. In mancanza, mettiamo in funzione il sistema empirico, con forno preriscaldato a 190°C:  al sangue, 11 minuti ogni 450 g; medium, 14 minuti sempre per 450 g; cottura  completa, 16 minuti  e 450 g.




Barchette di patate al Cheddar*




8 patate di taglia media a pasta gialla (2 kg abbondanti)
170 g Cheddar inglese grattugiato grosso (praticamente sfilacciato) 3/4 di tazza di  panna acida – 8 fette di bacon fresco
olio extravergine d’oliva – Sale marino in cristalli tipo Maldon
pepe macinato fresco – erba cipollina  (o cipollotto)


Preriscaldare il forno a 200°C.  Lavare e spazzolare accuratamente le patate; asciugarle; bucarle su tutta la superficie con i rebbi di una forchettina; frizionarle con l’olio e poi dare una leggera spolverata di sale e pepe macinato al momento.
Sistemare le patate su una griglia appoggiata su un foglio di cottura da forno, infornare e lasciar cuocere per circa un’ora: le patate, al tocco, devono risultare croccanti all’esterno e morbide all’interno.
Passare al bacon. In una larga padella cuocere il bacon su fiamma medio-bassa per circa 10 minuti fin quando non sarà dorato e croccante. Eliminare l’olio in eccesso e tagliuzzare a pezzetti piccoli. Mettere da parte.
A cottura avvenuta, togliere le patate dal forno, lasciarle intiepidire  per poterle maneggiare. Con un coltello lungo (ben affilato) tagliarle a metà orizzontalmente, poi con un cucchiaio togliere circa ¾ della polpa: la buccia delle patate deve restare ben protetta da quella restante. Rimetterle sulla gratella.
Alzare la temperatura del forno a 220°C, spennellare l’olio su tutta la “barchetta” (interno ed esterno), distribuire un pizzico di sale dopo aver controllato se necessario assaggiando un pezzettino di polpa; rimettere in forno. Dopo circa 10 minuti girare le patate e lasciar cuocere per altri dieci minuti. Togliere dal forno e lasciar raffreddare.
Unire e mescolare il bacon con il  Cheddar e imbottire le “barchette” con questo ripieno.
Rimettere al forno fin quando il formaggio appare sciolto e inizia a sfrigolare.
Per servire, aggiungere l’erba cipollina tagliata fine e un cucchiaio di panna acida.





* Il Cheddar, che nasce nell’omonimo villaggio del Somerset inglese, è un presidio Slow Food e però solo tre varietà possono fregiarsi della certificazione DOP. Il colore che ormai  lo caratterizza – il giallo – in realtà è determinato dall’aggiunto di annato un colorante estratto dalla Bixa Orellana, pianta amazzonica.  All’origine il Cheddar ha una colorazione simile a quella del Parmigiano, più o meno intensa a seconda della maturazione che non deve superare i 24 mesi e avvenire rigorosamente dentro a un panno di stoffa.



Somerset Apple Cake




400 g mele * – 220 g farina 00 o 0 – 150 g burro
200 g zucchero di canna grezzo
2 uova – 1/2 cucchiaino di cannella Bourbon in polvere
1 bustina lievito vanigliato per dolci –1 cucchiaio di latte


Preriscaldare il forno a 180°C. Imburrare e infarinare una teglia rotonda, diametro 20 cm.
Sbucciare e togliere il torsolo alle mele, tagliarle a cubetti e metterle in una terrina, spolverandole con un paio di cucchiai di zucchero e la cannella. A parte unire il burro (a temperatura ambiente e tagliato a pezzetti) alla farina e al lievito.  Mescolare vigorosamente e ne risulterà un composto granuloso; aggiungere le mele e lo zucchero, conservandone tre/quattro cucchiai per la copertura finale. Mescolare ancora. Aggiungere le uova leggermente battute con il latte lavorando vigorosamente e velocemente; versare l’impasto nella teglia, cospargere con il restante zucchero e mettere in forno per circa 90 minuti; passata un’ora verificare la cottura infilando uno stuzzicadenti nella torta: se uscirà asciutto si potrà spegnere la fiamma, se, al contrario fosse umido e appiccicoso, abbassare la temperatura a 160°C e proseguire la cottura per un altro quarto d’ora. Una volta pronta, lasciar intiepidire la torta nella teglia, quindi trasferirla su una gratella.



Vincent van Gogh, Il cielo stellato, olio su tela, 1889 – Museum of Modern Art, New York


Fonti

e dalla libreria

J.H. Fabre , Il Cielo, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1924

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