Ricette

giovedì 12 dicembre 2019

Brrrr, che freddo! Proposta: una zuppa. Anzi, tante zuppe.



 
Ci sarà la luna.
Ce ne sta già un po’.
Eccola che pende piena nell’aria.
Ė Dio, probabilmente,
che con un meraviglioso
cucchiaio d’argento
rimesta la zuppa di pesce delle stelle.
Vladimir Majakovskij (1893 – 1930), “Notte di Luna




Ronald Companoca, "El viaje de la luna", 1981 



La zuppa conforta chi è stanco, infreddolito e ha solo voglia di qualcosa di caldo, alla fine di una giornata vissuta a ritmo serrato.  La zuppa rasserena chi ha la fronte aggrottata e regala tranquillità a chi vuole beffare le tensioni. La zuppa è l’incontro di tanti piccoli e grandi “bocconi” che nessuno immaginava potessero stare tanto bene insieme. In pentola: cavolo verza (riccio e sodo!), fagioli, ceci (neri o bianchi), mais (si può conservare anche fresco), lenticchie, porri (ortaggio che può sorprendere anche un gourmet), cipolle, aglio, carote, sedano, patate, zucca... La zuppa, è buona perché è l’esaltazione delle singole bontà. Non avrebbe bisogno di essere arricchita se non con pane rustico tostato e formaggio: dal parmigiano al grana padano, a quello trentino, alla fontina. E però alcune tradizioni locali vedono l’aggiunta di prosciutto crudo (l’osso soprattutto…), costine di maiale, cotenne, trippe. Oppure si punta direttamente al pesce. Ed ecco che la scelta diventa personale e nessuno si sentirà tradito o escluso. Ai vegetariani i puri vegetali, agli onnivori una succulenta opzione che contempla anche le carni mentre agli intolleranti al glutine basterà sostituire il pane comune con quello idoneo per loro. La zuppa è in tavola. E anche fra le stelle, secondo il grande poeta georgiano.










Ricette*





Seupa à la  Vapelenentse
Valle d’Aosta





Questa zuppa di pane ha preso il nome da una piccola valle situata a nord-est di Aosta, che corre lungo il confine svizzero. È la Valpelline, incontaminata, anche perché la sua orografia non ha consentito l’installazione di alcuna stazione sciistica. È tutta  pace e silenzi.
Come per molte altre zuppe, le varianti sono tante, si potrebbe dire infinite, perché nate talvolta dalla creatività e talaltra dalla necessità, come dire dalla mancanza o dall’abbondanza di questo o quell’ingrediente. Per la versione considerata “povera” si usa pane nero o di segale, per quella “ricca” pane bianco. La verza fa parte della ricetta originale eppure altre “derivate” la ignorano. C’è inoltre la cipolla, che dovrebbe essere fatta appassire lentamente in padella ma che, di tanto in tanto, sparisce. Ancora, il burro, sul quale si confrontano quanto meno due scuole di pensiero: versarlo fuso sulla Seupa a termine cottura oppure usarlo per tostare le fette di pane?
Infine, le spezie. Un paio di chiodi di garofano, un pizzico di cannella, una grattatina di noce moscata, a scelta: saranno il tocco magico.

* Le ricette sono tutte per 4/6 persone, se non diversamente specificato





1 litro di brodo di carne - 200 g di fontina d’alpeggio
 500 g di cavolo verza
200 g (circa) di pane raffermo - 50 g di burro – sale e pepe - spezie


Preparare il brodo con un pezzo di carne bovina con l’osso (ottimo il biancostato) accompagnata dalle classiche verdure: carota, sedano, cipolla steccata con due chiodi di garofano e, volendo, anche salvia e porro. Lasciar cuocere per non meno di due ore. Intanto pulire la verza togliendo torsolo e coste dure; lavare accuratamente le foglie, sgocciolarle bene e farle stufare in un tegame, coperto, con parte del burro, fin quando non saranno tenere e leggermente colorite; aggiungere un pizzico di sale. Tagliare il pane a fette alte circa 1 centimetro e  tostarle in forno; affettare la fontina sottile. Esaurite queste operazioni, prendere, a scelta, una teglia oppure cocottes singole e procedere all’assemblaggio: uno strato di pane, uno di verza, uno di fontina, e procedere alternando altri strati fino a esaurimento degli ingredienti, concludendo con la fontina. Versare il brodo ben caldo arrivando a tre quarti del recipiente (non deve coprire la fontina) e passare in forno preriscaldato a 160°C, per circa un’ora. Quando si sarà formata una bella crosticina dorata, servite distribuite sulla zuppa un velo di burro fuso. Servite bollente.



Nota: Per questa zuppa si può anche usare il brodo di verdura. Eventualmente si può sostituire il pane comune con uno rustico senza glutine.






Cisrà – Zuppa di ceci della tradizione piemontese



 Dogliani - Chiesa della Confraternita dei Battuti

Come molte altre zuppe, anche quella “della tradizione piemontese” conta un abbondante numero di ricette dove gli ingredienti di base aumentano o diminuiscono o cambiano a seconda della zona. Quella qui è proposta è la versione di Dogliani, considerata la capitale delle Langhe sud-occidentali e ponte fra la Langa del Barolo e l'Alta Langa. Questa cittadina, in provincia di Cuneo, è ricca di storia, e nota a livello internazionale per ben più di un motivo: il vino Dolcetto, il nome di Luigi Einaudi, la Confraternita dei Battuti con la loro Chiesa, importante esempio del Barocco piemontese e dichiarata monumento nazionale. Luigi Einaudi - che nel 1948 sarebbe diventato il primo Presidente della Repubblica italiana democraticamente eletto - nel 1897, appena ventitreenne, acquistò nel comune di Dogliani la cascina ‘San Giacomo’, un nobile fabbricato settecentesco con una cappella sconsacrata ormai in rovina e quaranta giornate piemontesi di vigna: da questo acquisto nacquero e prosperarono i Poderi Luigi Einaudi che cominciarono a imbottigliare il Dolcetto e a farlo uscire dai confini regionali, dove era relegato.
La Confraternita, invece, è strettamente collegata alla Zuppa: fin dal 1600 a Dogliani confluivano, all’inizio di novembre, molti pellegrini per partecipare alle celebrazioni per il giorno dei morti e, anche, all’ultimo mercato prima del periodo invernale dove avrebbero potuto trovare le provviste che avrebbero traghettato le famiglie fino all’arrivo della primavera. Il freddo, spesso il gelo, che incameravano percorrendo le strade delle Langhe trovava sollievo in quella scodella di zuppa di trippe e ceci, bollente e nutriente, che veniva servita loro proprio dai Confratelli dei Battuti. Il nome “Battuti” deriva inizialmente dalla penitenza della flagellazione che alcuni gruppi fra essi s’imponevano come regola, ma rimane poi anche quando tale usanza cade in disuso.

 Nota: Elemento importante per la buona riuscita della Zuppa è la cottura prolungata a fuoco dolce in una pentola di coccio, che trattiene il calore e lo diffonde uniformemente.




250 g di ceci secchi* – 400 g trippe –1 patata media – 2 carote
2 coste di sedano – 1 cipolla 3 porri * – 2 foglie di salvia
1 spicchio d’aglio – 2 cucchiaini di concentrato di pomodoro
olio extravergine di oliva – pane casereccio per accompagnare




Mettere i ceci in ammollo in abbondante acqua per 24 ore. Mondare e lavare tutte le verdure sotto acqua corrente. Affettare il porro a rondelle sottili, eliminando la parte verde più legnosa; tagliare il sedano e la carota a quadratini piccoli. Scicquare bene le trippe e farle "spurgare" per 10/15 minuti in un tegame, senza alcuna aggiunta di grassi, quindi sciacquare ancora sotto acqua corrente. In una pentola di coccio scaldare un giro d’olio e soffriggervi dolcemente le verdure preparate per circa 10- 15 minuti, mescolando spesso. Unire quindi le trippe e poi la patata, i ceci scolati ed il cavolo a striscioline e lasciare insaporire. Legare le erbe aromatiche con un giro di spago da cucina ed aggiungere alle verdure il bouquet garni. Coprire con abbondante acqua, aggiungere il concentrato di pomodoro e lasciar cuocere a fuoco lento tre ore o più, mescolando di tanto in tanto.
Al termine della cottura i ceci dovranno essere morbidi. Regolare di sale e pepe e servire la zuppa molto calda, accompagnata con fette di pane casereccio leggermente abbrustolite.





* Note: Se volete preparare un piatto speciale, cercate i ceci di Merella, coltivati da oltre un secolo in una zona pianeggiante a breve distanza dal fiume Scrivia, nel territorio comunale di Novi Ligure, in provincia di Alessandria.  Oppure i ceci di Nucetto, in Val Tanaro. Entrambi si autoproclamano "i migliori".....

E, se possibile, non rinunciate ai porri di Cervére, provincia di Cuneo, i migliori al mondo (e non è tanto per dire….). 

Infine, se non gradite le trippe, potete sostituirle con costine di maiale che potranno essere agggiunte a metà cottura degli altri ingredienti.





Zuppa alla pavese
Lombardia


 Arazzo fiammingo su cartoni di Bernard van Orley, "Museo di Capodimonte", Napoli



Torniamo al passato remoto, indietro di quasi 500 anni. Sulla scena europea, due protagonisti-antagonisti, entrambi con grandi mire espansionistiche: Carlo V d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero germanico, re di Spagna, Principe dei Paesi Bassi e Francesco I di Valois, re di Francia.  Carlo V possedeva, fra l’altro l’Italia meridionale mentre Francesco I, per discendenza, aveva ottenuto il Ducato di Milano, strategico per la connessione con i passi alpini e i porti della Liguria. Carlo, l’Imperatore, sognava di creare un impero cristiano universale e, con questo obiettivo, ottenuta l’alleanza di Papa Leone X,  affronta e si scontra con il Re di Francia, sceso in campo in prima persona. È il 1521 quando le truppe di Carlo V hanno la meglio occupando Milano e Genova. Ed è il 24 febbraio 1525 quando Francesco I, con le sue truppe già pesantemente provate da anni di guerra, subisce  a Pavia un’altra pesante sconfitta: a sua madre, Luisa di Savoia, scriverà “Tutto è perduto fuorché l’onore”. Il Re fugge e si rifugia in una cascina a Borgarello – la cascina Repentita - dove chiede di poter mangiare qualcosa di caldo. La povera contadina mette insieme tutto quello che ha: brodo, uova, burro, formaggio e pane raffermo. Ne fa una zuppa che entusiasma e conforta il re di Francia, tanto che una volta tornato in patria ordina ai suoi cuochi di prepararne una simile: la soupe à la pavoise. Era nata una stella, che brilla tuttora, nella gastronomia internazionale.



Il passaggio del monarca è ricordato con una targa applicata su uno dei muri dell’ancora esistente cascina mentre il piatto, osannato all’estero, era caduto nel dimenticatoio proprio nel pavese e solo nel 2018 è tornato alla ribalta come “piatto storico”.
Sotto il profilo culinario, è da notare che alcune fonti raccontano dell’utilizzo di brodo di borragine mentre altre indicano brodo di carne, presumibilmente di gallina, e altre ancora indicano e ritengono il crescione insaporitore indispensabile.




Brodo di borragine o gallina – 2 uova – pane rustico tagliato a fette spesse
 grana padano o parmigiano reggiano grattugiato
  burro q.b. – crescione –  sale e pepe
(per ogni commensale)


La preparazione della zuppa è relativamente semplice: si friggono nel burro due fette di pane (è più probabile che, all’epoca, siano state rosolate nel lardo…) si mettono in una terrina da forno, si coprono con formaggio grattugiato e vi si rompono sopra due uova (uno per fetta), facendo ben attenzione a mantenere il tuorlo intatto. Si aggiunge un pizzico di sale e di pepe. Al momento di servire si aggiunge il brodo
bollente, distribuendolo anche sugli albumi (ma non sul rosso), per farli rapprendere leggermente.
Dopo aver bagnato con il brodo, distribuire sulle uova ancora un poco di formaggio grattugiato e mettere la terrina in forno preriscaldato a 150°C per 5/7 minuti.  Servire bollente.


la Borragine

Nota - Preparare il brodo. Per la borragine, scegliere le foglie più tenere – la pianta, annuale, dà il meglio da settembre a febbraio - sciacquarle in acqua fresca e bollire in acqua leggermente salata. Se si sceglie la carne procedere come d’uso, lessandola unitamente alle verdure classiche, cioè sedano, cipolla, carota, poi, a cottura ultimata, filtrare e mantenere il brodo molto caldo.


Suppa de leituga – Zuppa di lattuga
Liguria



6 lattughe – 4 uova – 4 fette di pane  – 1 cipolla – 1 ciuffo di prezzemolo
15 g di funghi secchi – 2 cucchiai di parmigiano grattugiato –
 2 cucchiai d’olio extra vergine d’oliva – sale q.b.



Pulire accuratamente le lattughe e lessarle, scolarle e tritarle. Tritare la maggiorana. Sciacquare sotto l’acqua corrente i funghi secchi e poi metterli a bagno in acqua tiepida per almeno 15 minuti quindi strizzarli e tritarli assieme al prezzemolo, lavato e asciugato. Rosolare la lattuga in olio e cipolla affettata finemente. Aggiungere i funghi tritati con il prezzemolo e far insaporire. Unire quindi un litro d’acqua e far cuocere per una ventina di minuti.  Sbattere le uova con il parmigiano, la maggiorana e aggiungere un pizzico di sale. Versare nel brodo, mescolando, e far cuocere qualche minuto. Regolare di sale l’intera zuppa. Tostare le fette di pane, disporle nelle fondine o nelle ciotole e versarvi sopra la zuppa ben calda.




Buzzega – Zuppa di legumi del Montefeltro



50 g fagioli borlotti – 50 g fagioli cannellini – 50 g fagioli rossi
 50 g lenticchie –50 g fagioli dell’occhio – 50 g ceci – 1 finocchio – 1 carota  1 cipolla – 2 patate – 200 g pomodorini –
1 spicchio d’aglio – 2,5 l di brodo vegetale o acqua – – 2 foglie alloro
sale e pepe q.b. – olio extravergine d’oliva q.b.


Mettere a bagno in acqua fredda i legumi – escluse le lenticchie – per 24 ore. Terminato l’ammollo, scolare tutti i legumi e sciacquare le lenticchie quindi mettere il tutto in una pentola alta con una foglia d’alloro, coprire con acqua fresca e lessare per un’ora a fuoco dolce. Scolare.  Intanto avrete tagliato a dadini le carote, la cipolla, le patate, il finocchio e avrete sbollentato i pomodorini per togliere la buccia. A questo punto scaldare nella pentola 2 cucchiai d’olio, versarvi le verdure e lasciarle insaporire per una decina di minuti. Aggiungere i legumi, l’altra foglia d‘alloro e coprire con acqua o brodo vegetale, in ogni caso bollente. Si può calcolare che il liquido dovrà essere di circa 2 litri e mezzo. Portare a bollore e lasciar cuocere a fuoco dolce per un tempo valutabile in un’ora e mezza: comunque assaggiare dopo un’oretta per valutare la consistenza dei vari legumi e regolarsi di conseguenza per spegnere quando saranno tutti morbidi. Salare solo verso fine cottura. Il pepe verrà portato in tavola con la zuppa bollente.

  

Annibale Carracci, "Il mangiatore di fagioli"  (1580-1590), Galleria Colonna , Roma





Zuppa di porri
Antica ricetta fiorentina





1 kg di porri – 1/2 litro di brodo vegetale  – 100 g parmigiano reggiano
1 cucchiaio di pinoli – 3 cucchiai di olio extravergine di oliva 
2 cucchiai di  farina bianca – pane abbrustolito q.b.


Pulire e affettare a rondelle sottili i porri dopo aver eliminato la parte verde; accomodare le fettine in un tegame possibilmente di coccio irrorandole con un filo d’olio; avviare la cottura a fuoco moderato. I porri devono appassire lentamente e, se necessario, aggiungere un cucchiaino di acqua. Quando saranno morbidi e leggermente dorati, aggiungere la farina bianca, mescolando per evitare grumi, fino ad assorbimento completo. Versare mezzo litro di brodo caldo e lasciate bollire fin quando i porri non si saranno disfatti naturalmente.
Abbrustolite le fette di pane toscano, metterle in una teglia da forno, distribuirvi sopra i pinoli e la zuppa. Spolverare con parmigiano e gratinare in forno preriscaldato a 180°C per circa 10 minuti.

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La minestra maritata detta Pignatto grasso

Dalla cucina napoletana, la zuppa regina del Natale


Origine spagnola, probabilmente sbarcata a Napoli con l’avvento della dinastia aragonese (presumibilmente nella seconda metà del ‘400) si ritrova anche nei testi sacri dei grandi cuochi a partire dal ‘500: la descrivono il marchese Giovanni Battista Del Tufo, Giovan Battista Crisci, Vincenzo Corrado, il cavalier Ippolito Cavalcanti Duca di Buonvicino… “A’ menesta ‘mmaretata” nella versione del marchese Del Tufo è quella che più si avvicina alla ricetta moderna mentre la proposta del  cavalier Cavalcanti punta sulla semplificazione. Certo è che per prepararla serve tempo in abbondanza sia per la ricerca di carni e verdure sia per la confezione e la cottura. Al tempo del Regno di Napoli il “pignatto” era piatto nazionale, poi fu soppiantato dai maccheroni, arrivati dalla Sicilia. E ora soffre l’abbandono anche per via di quella ricchezza di grassi che i tempi moderni hanno messo al bando. Noi proponiamo la ricetta “tradizionale”*  tratta da un caposaldo della letteratura culinaria napoletana, il manuale di Jeanne Caròla Francesconi.




Verdure

400 g broccoli di foglia – 300 g broccoletti – 800g cicoria e scarolella
450 g cappuccia – 400 g  torzelle

Carni e aromi

1 osso di prosciutto – 200g cotiche salate – 200 g salamino
200 g pezzentelle – 200 g tracchiolelle – 300 g maiale fresco
3 salsicce fresche – 50 g lardo – 100 g caciocavallo secco
 1 pezzetto di peperoncino forte  
1 mazzetto (rosmarino, salvia, alloro, maggiorana, piperna)


Lavare le varie qualità di carne e salame, cotenne comprese, metterle in una pentola con il mazzetto, ricoprire con 4 dita d’acqua non salata e metterle a cuocere a fuoco moderato. Quando il tutto sarà cotto, dopo circa due ore e mezza, togliere dal brodo, tagliare la carne a pezzetti di circa 3-4 centimetri,  salami e cotenne un po’ più grossi, spolpare l’osso di prosciutto (se non fosse ben cotto rimetterlo al fuoco  fino a completa cottura). Riunire in una casseruola quanto tagliato e aggiungere un paio di mestoli di brodo. Coprire e mettere da parte.
Lasciar raffreddare il brodo e quando il grasso sarà affiorato e si sarà compattato, toglierlo con un mestolo forato; rimettere la pentola sul fuoco.
Tuffare tutte le verdure lavate, in acqua a bollore con pochissimo sale, coprire il recipiente e, non appena il bollore avrà ripreso, toglierle dal fuoco, versarle in uno scolapasta per farle sgocciolare, eventualmente schiacciandole leggermente con un mestolo. Finire di cuocerle nel brodo bollente insieme al formaggio a pezzetti e al peperoncino, per una mezzora a calore moderato. Verso fine cottura verificare il sale, aggiungendone se necessario. Riscaldare la carne nel suo brodo e mischiarla alla verdura o mandarla in tavola a parte, lasciando ai commensali di unirne poca o tanta, secondo il proprio gusto.

Note
Verdure  – Il peso indicato è al netto degli scarti.
La Torzella è uno dei più antichi tipi di cavolo al mondo, nato 4000 anni fa nell'area del Mediterraneo e per questa origine è detta anche cavolo greco o torza riccia. Oggi, recuperata dall’agricoltura campana dopo un lungo periodio di abbandono, è una pianta presente soprattutto nella zona dell'Acerrano Nolano, in provincia di Napoli.


Carni
La Pezzentella è una salsiccia forte, povera perché ricavata da secondi e terzi tagli del maiale nonché residui della manifattura di altri salumi, conditi con pepe, peperoncino e vino rosso. È anche detta salsiccia di polmone.
Le Tracchiolelle sono le costine di maiale.
Per il salame, qualunque tipo va bene, anche il cotechino o il salame da pentola.

*A conclusione non può mancare la citazione di una ricetta del Seicento, proposta dall’attore della commedia dell’arte Bartolomeo Zito, detto “lo Tardacino” che spiega chiaramente cosa fosse una ricetta “tradizionale”.
 “Si piglia una pignatta grande, e dentro si mette un buon pezzo di carne di giovenca grassa, indi un cappone imbottito e una gallina casereccia, poi un salsiccione della Costa, quattro capi di salsicce cervellate, un pezzo di cacio nostrano, ossa mastre, spezie quanto bastano, e poi, cotte che siano tutte queste cose, si aggiunga una bella affettata di torsoli e foglie scelte nelle più tenere cime e si lascino bollire soave soave; poi si faccia riposare un pò il tutto, indi si mangi!”




Macco di fave secche
Sicilia

 

500 grammi di fave secche decorticate* – 1 cipolla bianca piccola
 1 carota – 1 costa di sedano – finocchietto selvatico – rosmarino
olio extravergine di oliva – uno spicchio d’aglio in camicia
 sale e pepe q.b.

Sciacquare accuratamente le fave secche e metterle a bagno per 2 ore in acqua fredda. Tagliare a dadini la carota e il sedano e a fettine sottili la cipolla. In una casseruola, soffriggere nell’olio le verdure e l’aglio in camicia poi rimuovere l’aglio e unire le fave secche ben scolate. Rosolare il tutto e coprire con acqua calda. Quando il liquido inizierà a bollire, schiumare, aggiungere finocchietto e rosmarino tritati finemente, mettere un coperchio e fare cuocere a fuoco dolce finché le fave non inizieranno a disfarsi: mescolare spesso, per evitare che le fave si attacchino al fondo, e aggiungere di tanto in tanto acqua bollente affinché il macco non si addensi troppo prima di aver raggiunto la cottura ideale. Controllare è semplice: basta mescolare con un cucchiaio di legno e se le fave si disfano sotto la leggera pressione significa che è arrivata l’ora di mettere a tavola.  Prima di servire, aggiustare di sale, mentre il pepe sarà messo a disposizione dei commensali unitamente ad altro olio d’oliva e a pane rustico tostato.  Sovente in Sicilia si accompagna il macco con ricotta freschissima.




Nota: * Se vi è possibile cercate le fave Cottoia di Modica, che, tra l’altro, sono un presidio Slow Food.  Il termine “cottoia” letteralmente significa “cottura”: per quanto riguarda le fave, la denominazione sta a indicare che il legume è di agevole cottura. Questo vuol anche dire che queste fave non hanno bisogno di ammollo o, se proprio si vuole essere tranquilli, è sufficiente metterle in acqua fresca per un paio d’ore con un ciuffetto di finocchietto selvatico. 
Ricordiamo che normalmente altre varietà di fave hanno invece bisogno di stare nell’acqua per almeno una notte.
Già che ci siamo con le precisazioni lessicali: la parola “macco” è di etimo incerto, forse connesso con il latino volgare “ammaccare”.



Omaggio a Vladimir Majakovskij

 

Antica zuppa di pesce 

dalla Russia




 
1 kg  di Salmone – 4 cucchiai di caviale rosso – 4 patate – 1 cipolla
2 carote – 5 cetrioli in salamoia – 200 gr di salamoia – ½ limone
4 foglie di alloro –1 pizzico di dragoncello – 1 bustina di zafferano
1 litro e mezzo di acqua – sale e pepe q.b.



In una casseruola capiente versare acqua fredda e mettere a bollire. Tagliare le patate, la cipolla e le carote a cubetti e unirle all’acqua  bollente; cuocere per una decina di minuti.
Tagliare a cubetti anche i cetrioli, aggiungere una tazza della loro salamoia al brodo e lasciar bollire per un’altra decina di minuti.
Aggiungere il salmone tagliato a pezzi, compresa la coda; cuocere a fuoco dolce per 7 minuti.
Assaggiare la zuppa per regolare di sale, sciogliere lo zafferano in una tazzina di acqua tiepida e versarlo, insaporire con il dragoncello, le foglie d’alloro e il succo del limone.
Spegnere il fuoco e lasciar riposare la zuppa per circa 30 minuti.
Al momento di servire, arricchire i singoli piatti con un bel cucchiaino di caviale rosso, appoggiato sui tranci di salmone.







Fonti

www.dossier.netwww.slowfood.it

 


... e dalla libreria


Carlo Steiner, “Il ghiottone lombardo”, Bramante Editrice, 1964

Emanuela Gentile e Federica Isoppo, “ Cucina ligure
Ed. Alpicella Cooperativa


Jeanne Caròla Francesconi, “La cucina napoletana
Grimaldi & C. Editori, 2010

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Vladimir Majakovskij, “Poesie”, Newton Compton, 1996