Ricette

martedì 30 gennaio 2018

Cioccolato: una tentazione che fa bene alla vita





Joseph Caraud , "La soubrette à la tasse de chocolat", (1865?)



…”Orsù, tutti coloro che hanno bevuto qualche sorsata di troppo alla coppa della voluttà, coloro che hanno passato lavorando buona parte del tempo che si dovrebbe dedicare al riposo, gli uomini di ingegno che si sentono temporaneamente diventati stupidi, coloro che trovano l’aria troppo umida, il tempo troppo lungo e l’atmosfera difficile da sopportare, coloro che si sentono tormentati da un’idea fissa che toglie loro la libertà di pensare, tutti costoro, dicevo, provino un buon mezzolitro di cioccolato ambrato nelle proporzioni di settanta - settantadue grammi di ambra ogni mezzo litro, e vedranno miracoli.”…
Anthelme Brillat-Savarin, “Fisiologia del gusto”, 1825



 L'albero del cacao


La cioccolata. Un dono della natura, trasformato dall’uomo in prelibatezza, in certezza di conforto, in vizio, in vezzo di moda…
Tutto nasce da un albero antichissimo, sempreverde, amante del calore e dell’umidità e che, non a caso, mette radici nel Centro-Sud America (esattamente dove, non si sa). È bello con quelle foglie che si orientano secondo l’intensità della luce e i frutti che ricordano un cedro allungato e la buccia che cambia più colori con il processo di maturazione e che custodisce fino a 40 semi, ricchi di promesse e potenzialità. 





Dapprima gli Olmechi, quindi i Maya e gli Aztechi, capiscono che un albero che ha sfidato il tempo deve essere speciale. E proprio i Maya ne iniziano la coltivazione sistematica nello Yucatán, Chiapas e Guatemala intorno all’anno 1000 a.C..  E poi seguono gli Aztechi, che  non solo trasformano i semi in bevanda ma anche li usano come moneta, ad esempio per comperare gli schiavi: 100 semi, uno schiavo. Poi arrivano, da altri mondi, arditi viaggiatori e conquistatori. Come Cristoforo Colombo, navigatore in pace, e lo spagnolo Hernán Cortés, anzi Cortés Monroy Pizarro Altamirano, che abbatte e sottomette l'Impero azteco al Regno di Spagna.  El Conquistador, però, fra una zampata e l’altra, fa arrivare in patria (fra l’altro) un carico di semi dell’albero magico.




Ma qual è il nome di quest’albero? Il primo in assoluto discende dai semi ed è molto significativo: Amygdalae pecuniaria, ovvero  Mandorla di denaro. Per gli aztechi è semplicemente Xocoatl  Cacauatl: e poiché in lingua Nahuatl la X si legge “sc” il risultato fonico è “sciocoatl”  e il passaggio a cioccolato è quasi scontato così come evidente appare il termine Cacao.

Il salto di qualità, lo status, arrivano secoli dopo, esattamente nel 1735, con  Carl Nilsson Linnaeus,  il naturalista, medico, botanico svedese che ha messo ordine, anzi rivoluzionato, il sistema di nomenclatura degli organismi viventi. Linnaeus  attribuisce all’albero un nome importante: Theobroma Cacao L. dove  Theobroma significa Cibo degli dei dal greco  Theos (= Dio) e broma ( = cibo).  E gli aggiunge un cognome importante, perché la lettera “L.” sta per Linnaeus.




Carl Nilsson Linnaeus, nato nel 1707 in Svezia, in una fattoria nella contea di Kronoberg,  sarebbe dovuto diventare un ecclesiastico e invece si dedica allo studio della medicina e, soprattutto, delle sostanze medicinali usate in quei tempi, quasi tutte di origine vegetale, viaggiando in tutto il mondo. Nel 1739 è tra i fondatori dell’Accademia reale svedese delle scienze e nel 1761 il re Adolfo Federico di Svezia gli conferisce un titolo nobiliare, a seguito del quale converte il suo nome in Carl von Linné.
La sua vita, che ha regalato al mondo la possibilità di conoscere e riconoscere migliaia di piante, si conclude nel gennaio del 1778.  E questo post è per ricordarlo, rendendogli omaggio.



Un passo indietro

È il 30 luglio 1502. Cristoforo Colombo nel diario del suo quarto viaggio annota, a proposito dello scalo a Guanaja, un’isola dei Caraibi: “Un grande vascelllo indigeno con venticinque rematori venne al nostro cospetto, il loro Capo riparato sotto una tettoia ci offrì tessuti, begli oggetti di rame e mandorle che fungono da moneta e con le quali preparano una bevanda”.
Ventisei anni dopo, nel 1528, Hernán Cortés, dopo aver conquistato il Messico, sorpreso dall’infaticabilità degli indigeni e riconducendola alla loro alimentazione, fa arrivare in Spagna i primi sacchi di cacao presentandoli a Carlo V e suscitando forte interesse nei botanici per quei semi esotici. La leggenda vuole che lo stesso Imperatore Azteco, Montezuma II, abbia fatto assaggiare a Cortés una bevanda ottenuta dai semi del frutto dell’albero del cacao, e che questa sia stata molto apprezzata dal Conquistador, che ne intuisce subito le potenzialità.







All’origine, infatti, è usata solo la polpa del frutto mentre i semi sono scartati. In un secondo tempo l’attenzione si sposta proprio su questi semi che però, per l’utilizzo, subiscono un trattamento a più stadi: prima la fermentazione, poi la tostatura, quindi la pestatura fino alla riduzione in polpa e l’aggiunta di spezie. Al termine di tutto ciò, la polpa è diluita con acqua e battuta con una frusta a mulinello fino a ottenere una miscela sufficientemente omogenea e perciò gradevole da bere.  Dettaglio: al sovrano questa bevanda acidula e piccante è servita in bicchieri d’oro durante tutto il giorno, a piacere, mentre il popolo deve limitarsi ad aggiungerla al “pastone” di granoturco che rappresenta il nutrimento quotidiano.
Ecco l’antenata della cioccolata in tazza. 

La cioccolata “vera” è diventata una prelibatezza nel corso dei secoli, con aggiustamenti avvenuti da una parte all’altra del mondo e dovuti a palati sensibili che sono riusciti a convertire gli amari semi di un frutto dalla polpa acidula in una bevanda dolce, profumata, corroborante. Con la rivoluzione industriale e la conseguente evoluzione della tecnica pasticciera, poi, si inaugura l’era delle tavolette da sgranocchiare: la prima è prodotta nel 1828. Da questa alle pralines e ai cioccolatini di forme e consistenze varie, il passo è breve. 


 Il Convento di Santo Domingo, Oaxaca, Messico


Interventi di palati raffinati, si diceva.  Qui entrano in scena i monasteri, luoghi da sempre reputati per l’eccellenza della cucina. Non si deve scordare, infatti, che i conventi ospitavano o davano ospitalità a dame e gentiluomini di alto lignaggio, abituati al benessere totale. Sono, certamente sotto il profilo culinario, “rifugi” a cinque stelle.
Si racconta che ad alcune suore missionarie del Convento di Oaxaca, in Messico, venga l’idea di zuccherare la ormai famosa bevanda, con aggiunta anche di latte,  rendendola così ben più gradevole.  D’altra parte, il tempo passa e questo cacao sotto forma liquida conquista sempre più adepti. Anche perché è ormai diffusa la voce che il “cibo degli dei” sia di grande aiuto all’attività sessuale. Si dice, ad esempio, che il potente Montezuma sorbisse sempre cioccolata prima di incontrare le sue mogli e "preferite". E però proprio la tanto declamata induzione alla lussuria, che appare contagiosa, rischia di fermare la marcia trionfale della cioccolata. Alcune alte sfere del Clero, infatti, non ne gradiscono l’aspetto pagano e libertino e ne vietano il consumo ai monaci.  Ma un autorevole esponente di queste alte sfere, il cardinal Francesco Maria Brancaccio, nobile per origine, membro della Congregazione del Santo Uffizio, contrasta pubblicamente la censura. Nel 1664 dà alle stampe un trattato “De Chocolatis Potu, diatribe” (La tazza di cioccolata, diatriba) nel quale difende il “brodo indiano” sostenendo che, essendo liquido e non solido, non sia suscettibile di rompere il digiuno. Ergo deve essere nutrimento universalmente accettato e consumato anche in periodo quaresimale.  E non si limita a queste tesi. 





Nel Trattato è anche descritto il metodo di preparazione della bevanda, con lodi finali. Il Cardinale, che (anche) con questa posizione qualche nemico se l’era fatto, candidato al soglio papale, al momento opportuno non riesce a ottenere i voti necessari per essere eletto.
Di tutto ciò si trovano conferme più avanti nel tempo. Lo scrittore inglese Isaac D’Israeli  nel suo “Introduction of tea, coffee and chocolate”, edito nel 1817,  ricorda che l’uso smodato di cioccolata  nel XVII secolo era in grado di suscitare insolite passioni e perciò i monaci dovevano astenersi dal consumarla.
Intanto in Francia, Italia, Spagna, Austria, grazie anche ai matrimoni reali “incrociati”, la cioccolata conquista i nobili salotti di tutt’Europa.  E non solo. A Venezia, nei primi anni del XVIII secolo, accanto ai Caffè nascono le Case della Cioccolata, dove aristocratici e intellettuali s’incontrano e dissertano sui massimi sistemi, sorseggiando la calda e promettente bevanda.  Carlo Goldoni, appassionato bevitore di cioccolata, la citerà più di una volta nelle sue commedie, segnatamente “La bottega del caffè” e “La locandiera”.

Con la rivoluzione industriale, a cavallo tra Settecento e Ottocento, ecco un importante salto di qualità: il passaggio dallo stato liquido a quello solido della cioccolata. In sostanza, dalla tazza alla tavoletta.
La nascita della tavoletta risale ai primi anni dell’Ottocento ed è attribuita a un ingegnere italiano che, per primo, inventa un macchinario in grado di rivoluzionare il mondo del cioccolato , moltiplicando all’infinito i consumatori del cibo degli dei. La messa a punto del macchinario è però dovuta agli inglesi nel 1822. E nel 1828 l’olandese Van Houten inventò una pressa idraulica in grado di separare dalla pasta di cacao gran parte del grasso (burro) riuscendo così ad ottenere un composto che macinato finemente diventava “polvere”.


Quanto cacao. Quale cacao


All’inizio del Terzo millennio, la raccolta mondiale di cacao raggiunge i quattro milioni di tonnellate l’anno, sostanzialmente su tre tipologie/qualità di fave di cacao.




Criollo: è la varietà più pregiata al mondo, nobile, con una produzione che si aggira sulle 40 tonnellate annue, ovvero lo 0,0001% del totale. Non è mai stata ibridata e quindi è quella che più si avvicina all’originale. L’albero necessita di grandi attenzioni e cure.
Il cacao Criollo è molto aromatico, evidenzia una dolcezza naturale e non richiede alcuna aggiunta di emulsionanti. È prodotto in Venezuela, Messico, Ecuador.

Forastero: fa la parte del leone con una forte produzione concentrata soprattutto in Brasile e nell’Africa Occidentale. È la varietà meno pregiata anche perché  generalmente poco aromatica, fatta eccezione per  la “Arriba” che è coltivata solo in Ecuador. 
Il cacao Forastero  è soprattutto utilizzato per la produzione industriale.

Trinitario: è un ibrido tra le due varietà precedenti e rappresenta circa l’8% della produzione globale. L’ibridazione consente il mantenimento delle proprietà aromatiche del Criollo, mentre del Forastero conserva l’alta produzione e l’adattabilità.  È molto ricercato dai cioccolatieri per ricchezza di aroma e particolarità del gusto. 





Un alleato di cuore e cervello
 
L’elenco delle sostanze benefiche è lungo e ne diamo le indicazioni principali. Il cacao contiene proteine, lipidi, glucidi, diversi sali minerali e vitamine del gruppo B. Inoltre, serotonina, tiramina, caffeina, teobromina e feniletilamina.
Gli antiossidanti del cacao aiutano a combattere l’azione dei radicali liberi, mentre teobromina e caffeina aiutano a mantenere la concentrazione. La serotonina è importante per la memoria, unitamente alla tiramina,  ed è utile per controllare  i disturbi d’ansia.
E, dulcis in fundo, la feniletilammina, neurotrasmettitore legato alle sensazioni di piacere che, come tale soddisfa stimoli quali pulsione erotica, sete e fame. È anche definito l’ormone dell’amore o dell’innamoramento. Forse non è un caso che Giacomo Casanova fosse un grande, costante estimatore della cioccolata.
Recenti studi, inoltre, mettono in evidenza che il cioccolato fondente, se consumato regolarmente e con parsimonia, è un valido aiuto al dimagrimento.  Chi l’avrebbe mai detto?
Una controindicazione comunque c’è: cioccolato e cacao sono controindicati in chi soffre di ernia iatale.


Jean-Honoré Fragonard, "The stolen kiss", 1780, Hermitage Museum


Gli Oscar 

Il Cru: Questo termine viene usato per indicare quei tipi di cacao monorigine selezionati direttamente nelle piantagioni e usati per un solo tipo di cioccolato, cioè quello finissimo (pregiato).  Il Cru è lavorato a una temperatura che non supera i 42°C, soglia al di sotto della quale  tutti i principî attivi  e i valori restano intatti. I Paesi di produzione più importanti sono Madagascar, Ghana e Trinidad ma il “top” proviene da Ecuador, Giamaica e Sumatra.
 Il cacao Cru è il più amato dagli intenditori.



Il cioccolato artigianale: una produzione d’eccellenza si trova in Italia, come in altri Paesi e Continenti. Tuttavia, secondo il New York  Times, il migliore cioccolato artigianale al mondo si chiama “Marou” e nasce in una piccola fabbrica situata alla periferia di Ho Chi Minh City, in Vietnam, con cacao Trinitario e fave raccolte singolarmente, a mano, nella piantagione dell’isola di Phu Tan Dong, sul Delta del Mekong. I “Maestri cioccolatieri” sono Samuel Maruta, franco-giapponese, sbarcato in Vietnam come insegnante e Vincent Marou, precedentemente “executive” pubblicitario.



I vanti italiani

Il gianduiotto – Primi al mondo.




Nel 1852, Michel Prochet, piemontese, artigiano del cioccolato, crea l’impasto gianduia dal quale, nel 1865,  nasce il primo gandujotto sotto l'insegna Caffarel-Prochet.
A distanza di più di 150 anni, l’azienda originariamente creata da Pier Paul Caffarel,  nato nelle valli Occitane Valdesi e entrata nel 1997 a far parte del gruppo Lindt&Sprüngli, nella fabbrica di Luserna San Giovanni registra una produzione annua di 40 milioni di gianduiotti.

La praline - Si chiama Ferrero Rocher la praline più nota e più venduta al mondo. 




Top best 25 - Domori, unico italiano tra i "Top Best 25" produttori di cioccolato mondiali.




È il verdetto emesso da The Chocolate Tester, la bibbia del cioccolato di Georg Bernardini.  La valutazione ha riguardato 550 marchi di 70 paesi per una degustazione di 4000 prodotti.



Le ricette


Che cioccolato scegliamo? Naturalmente un cioccolato di qualità, per pasticceria o coperture, senza lecitina e altri grassi, salvo il burro di cacao. Con queste percentuali:

Cioccolato nero al 70%  per dolci in generale (torte da forno, da frigo, dolcetti, etc. etc)
Cioccolato nero da 50% a 65% per le mousses
Cioccolato da  copertura per le ganaches





La cioccolata in tazza


Anonimo XVII secolo



Chocolat chaud
… in Francia, ricetta di Sébastien Bauer*



550 g latte  intero – 150 g cioccolato nero superiore al 70%
1/2 baccello di vaniglia - 200 g crema chantilly

Incidere in lunghezza la metà di un baccello di vaniglia e raschiarne delicatamente i semi. In un pentolino di misura adeguata mettere il latte, il baccello e i semi di vaniglia, portare a bollore e lasciar in infusione per qualche minuto, poi togliere il baccello.  Aggiungere il cioccolato grattugiato o in pezzettini, battendo con una frusta. Una volta prodotta una miscela perfettamente liscia, si può decidere se continuare o meno la cottura: tanto più lunga sarà, tanto più densa e vellutata diventerà la cioccolata.
Servire ben calda, accompagnandola con crema chantilly.
*Sébastien Bauer è chef patissier  da “Angelina”, storico salone da thé aperto nel 1903 al 226 di rue de Rivoli a Parigi dal maestro pasticcere austriaco Antoine Rumpelmayer.


Chocolate a la taza
… in Spagna*





500 ml acqua minerale naturale – 50 g zucchero
25 g cacao in polvere  - 150 g cioccolato fondente minimo 67% 

Mettere l’acqua in un pentolino, aggiungere subito lo zucchero e farlo sciogliere su fuoco basso: saranno sufficienti da uno a due minuti. Aggiungere il cacao battendo con una frusta fino a ottenere una miscela perfettamente liscia. In una grossa ciotola
mettere il cioccolato ridotto in pezzettini e versarvi sopra, in tre volte, il contenuto del pentolino, mescolando molto bene con la frusta fin quando il cioccolato non sia fuso e integrato nella miscela di cacao.  Versare il tutto nel pentolino, rimettere su fiamma dolce e portare a ebollizione senza smettere di mescolare.
Utilizzare una cioccolatiera per servire.

* In Spagna la tendenza è quella di preparare la cioccolata con acqua fresca, cioè usando l’antico metodo, l’unico accettato dai “puristi”.




La barbajada
… specialità milanese*





300 ml acqua – 60 g cacao amaro – 200 ml circa latte
 200 ml circa caffè  -  80 g zucchero

In un pentolino mettere il cacao e aggiungere l’acqua a filo, mescolando con cura per evitare la formazione di grumi. Porre su fiamma dolce e portare a bollore battendo la miscela con una frusta o mulinello. Quando il composto inizierà ad addensarsi, spegnere il fuoco e misurarne la quantità. Aggiungere la stessa dose di latte e di caffè e zuccherare. Rimettere sul fuoco mescolando con vigore sempre con la frusta fin quando si formerà  una bella schiuma.
Servire la preparazione ben calda d’inverno e fresca d’estate.


* Questa “cioccolata” in voga nella Milano ottocentesca, prende il nome da Domenico Barbaja, impresario  teatrale italiano, uno dei più grandi di tutti i tempi. A lui si deve la celebrità dei maggiori operisti dell’Ottocento fra i quali Gioacchino Rossini, Gaetano Donizatti, Vincezo Bellini. La sua carriera inizia come cameriere in un caffè milanese dove prende il via la sua fortuna, essendo il primo a servire (prendendosene la paternità) un particolare tipo di caffè con schiuma di latte, probabilmente il primo "cappuccino". Questa bevanda, che viene battezzata barbajada e ha una variante con cioccolato caldo, diventa così popolare a Milano che Domenico, da cameriere qual è, in breve tempo riesce ad aprire una serie di caffè che servono la nuova bevanda.  E, famoso, resta il Caffè dei virtuosi, a fianco del Teatro alla Scala.
Barbaja amplia la sua attività comprando e vendendo munizioni durante le guerre napoleoniche. In seguito riesce a ottenere l'appalto del gioco d'azzardo alla Scala e inizia  a divenire molto ricco. Da questa posizione parte la sua storia d’impresario.  Nel tempo gestisce alcuni dei teatri più importanti di allora e di oggi: la Scala di Milano, il San Carlo di Napoli (dal 1809 al 1840),  rendendo quest’ultimo uno dei teatri più importanti del mondo.


Bonet all’astigiana*
Per 4 persone




4 uova – 100 g amaretti – 125 g zucchero – 1 cucchiaino cacao amaro mezzo litro di latte – 1 tazzina di caffè espresso lungo
 mezzo bicchierino di rum

In una terrina sgusciare le uova e lavorarle bene con 100 grammi di zucchero, unire quindi gli amaretti pestati finemente, il cacao, il caffè e il latte. Amalgamare molto bene il tutto con un cucchiaio di legno.
In una casseruola far sciogliere 25 grammi di zucchero con un cucchiaio di acqua e, mescolando, lasciarlo cuocere per qualche minuto finché sarà caramellato. Versare il caramello in uno stampo da budino inumidito leggermente con acqua fredda. Versarvi il composto e cuocere la preparazione a bagno-maria per circa 30 minuti in forno caldo a 150 °C.
Lasciare raffreddare, quindi sformare il “bonet” su un piatto da portata.

* Dal libro “Le migliori ricette della scuola del Gritti” a cura di Massimo Alberini



Mousse al cioccolato





250 g cioccolato nero (da 50 a 65% di cacao) – 4 uova
1 pizzico di sale -  1 cucchiaino di caffè

Far fondere a bagno-maria il cioccolato tagliato a pezzetti e versarlo in una terrina. Separare il rosso dal bianco delle uova. Aggiungere i tuorli al cioccolato fuso, mescolando accuratamente; montare a neve ferma gli albumi*; preparare un caffè espresso, prelevarne un cucchiaino e unirlo alla miscela. Mescolare. Infine aggiungere poco per volta gli albumi a neve, amalgamandoli delicatamente con un movimento rotatorio dal basso verso l’alto. Porre in frigorifero per almeno tre ore in un contenitore che possa andare in tavola oppure ripartire la mousse tra diverse ciotoline.

* Per montare gli albumi a neve, è preferibile aggiungere un paio di cucchiaini di zucchero a velo piuttosto che il consueto pizzico di sale: la consistenza durerà più a lungo. Inoltre, se si usa un mini-pimer, è consigliabile partire da una velocità bassa e aumentarla man mano che gli albumi “crescono”.


Mousse …intrigante*



300 g cioccolato amaro – 2 tazze caffè molto forte – 70 g burro
2 cucchiai Cognac – 8 uova - 5 cucchiai zucchero
scorza di limone

Fondere a bagno-maria in una terrina il cioccolato amaro con due tazze di caffè molto forte – fare un caffè e poi rifarlo usando questo caffè al posto dell’acqua – il burro, il Cognac, la scorza di limone. Fuori dal fuoco aggiungere, un po’ alla volta, lo zucchero e otto tuorli d’uovo. A parte, montare a neve ferma gli albumi, con un paio di cucchiai di zucchero e un cucchiaino di cannella in polvere. Incorporarli delicatamente al cioccolato. Sistemare la mousse in coppette e farle raffreddare per un paio d’ore. Servire  accompagnate da un cucchiaino di chantilly e qualche biscottino (ideali le lingue di gatto).

* dal libro “La cucina impudica” di Anonimo


Torta Caprese





300 g cioccolato fondente (almeno 65% cacao) – 300 g mandorle pelate
200 g burro – 8 uova
250 g zucchero semolato – 75 g zucchero a velo – 1 pizzico sale
qualche goccia di estratto di vaniglia Bourbon
 buccia grattugiata di mezza arancia

Sciogliere a bagno-maria cioccolato e burro insieme.in modo da ridurle Tostare leggermente le mandorle in forno e ridurle in farina piuttosto granulosa. Mischiare mandorle tritate , zucchero, sale e rossi d’uovo. Aggiungere cioccolato e burro fusi, lasciati raffreddare. Montare le chiare a neve e aggiungerle delicatamente all’impasto, che sarà infine sistemato in una teglia rotonda svasata da 28/30 cm, rivestita di carta da forno leggermente imburrata. Quindi in forno preriscaldato per 35/40 minuti dei quali i primi dieci minuti a 200°C e i restanti a 175/180°C.

Note
1)Le mandorle devono essere tostate ma non devono assolutamente scurire perché diventerebbero amare. Bastano quindi pochi minuti in forno a 180°C, rivoltandole almeno una volta.
2) Prima di passare le mandorle nel mini-robot o frullatore è buona norma mettere in freezer per una mezz’ora le mandorle o (se possibile) le lame del robot. Questa operazione fa sì che non si verifichi un  surriscaldamento che causerebbe la produzione e fuoruscita dalle mandorle di olî suscettibili di alterarne il sapore.
3) La torta caprese deve essere piuttosto bassa.


Torta alle carote e cioccolato



100g  farina – 100g zucchero semolato – 4 uova – 130 g burro
100 g cioccolato fondente – 4/5 carote – 100 g mandorle tritate
1 cucchiaino lievito per dolci – zucchero a velo

Montare il burro con lo zucchero semolato finché diventa gonfio e spumoso; incorporare un uovo alla volta, aspettando che il primo sia ben amalgamato prima di aggiungere il secondo.
Setacciare la farina con il lievito e aggiungerla al composto poco per volta. A questo punto aggiungere le carote grattugiate, le mandorle tritate e il cioccolato fondente pure grattugiato.
Versare l’impasto in una teglia da torta, rivestita con carta da forno leggermente imburrata e infornare in forno pre-riscaldato a180°C per 45 minuti.  A termine cottura, lasciar raffreddare e servire cospargendo la torta con abbondante zucchero a velo.

Nota – In caso di  intolleranze al glutine è sufficiente sostituire la farina di grano tenero  con una farina  gluten-free speciale per dolci lievitati.






La forza è la capacità di spezzare in quattro pezzi una tavoletta di cioccolato a mani nude e…mangiarne uno solo”
 Judith Viorst, psicoanalista, scrittrice, giornalista








Grazie
www.nytimes.com - www.julienbinz.com
www.umbriatouring.it
e i libri

“Storia e storie di Cioccolato” a cura di Tommaso Lucchetti
edito nel 2011
da Confartigianato per il decennale di Choco Marche


“Le migliori ricette della scuola del Gritti”,
a cura di Massimo Alberini
Edizioni Acanthus, giugno 1987
 
François-Régis Gaudry & Ses Amis
“On va déguster la France”
 Hachette Livre (Département Marabout), 2017
   
Anonimo, “La cucina impudica”
prefazione di Luigi Veronelli
DeriveApprodi Editore, 2001