Ricette

sabato 13 dicembre 2014

Il salmone è re. Ma il suo regno è in pericolo



E’ fortemente simbolico. Rappresenta la forza e il sapere.  Secondo alcuni miti è l‘incarnazione del primo uomo, addirittura sarebbe l’essere vivente più antico.  E, come tale, si dice che nuotasse nel pozzo della conoscenza, alla sorgente della vita.



E’ il salmone. Un bellissimo pesce che nasce in acque dolci e poi inesorabilmente nuota e nuota per raggiungere le acque aperte, i mari freddi, gli oceani, dove s’installa fino alla maturità sessuale. In quel momento la natura fa emergere una priorità assoluta: la riproduzione. Così il Re dei pesci di fiume inizia il suo percorso a ritroso, risale faticosamente le correnti per tornare là dove era nato e dove ritroverà acque molto ossigenate e poco saline. In quel preciso luogo la femmina depositerà le uova, il maschio le feconderà. Entrambi difficilmente potranno sopravvivere allo sforzo e moriranno dove hanno avuto e ridato la vita.

Nessuna meraviglia se il salmone è protagonista di leggende e miti –soprattutto celtici – che parlano di saggezza e di forza.
Nella mitologia irlandese il pozzo della conoscenza è chiamato Pozzo di Conia o di Segais: è la sorgente del Boyne, il fiume sacro che scorre nell’omonima valle dove si trovano gli antichi templi druidici di Newgrange, Knowth e Dowth, dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
 Alla ricerca di questo pozzo, nel tempo dei tempi,  si era messo un giovane di nome Demne, intelligente, curioso e con tanta voglia di avventura. Egli arrivò al fiume, ne risalì il letto fino ad arrivare alla sorgente, cioè al pozzo. Questo pozzo era circondato da nove  alberi di nocciolo, da uno dei quali, ogni sette anni, cadeva una nocciola rossa, molto speciale. Infatti, se questa fosse stata intercettata e inghiottita al volo da un salmone e questo salmone, mentre si rituffava in acqua, fosse stato a sua volta catturato da un Druido, chiunque ne avesse mangiato o assaggiato le carni avrebbe posseduto sapere e saggezza. 
Arrivato nei pressi del pozzo, il giovane fu attratto da un profumo di pesce e di brace.  Addentratosi nel boschetto, al centro trovò un fuoco sul quale arrostiva un grosso pesce, infilzato in uno spiedo.  Egli gridò “C’è qualcuno?”. Poiché nessuno rispondeva, egli ripeté il richiamo più volte. Quindi  si avvicinò al salmone, allungò la mano per prenderne un piccolo pezzo e così facendo si scottò un dito con il grasso che colava sulla fiamma. Per alleviare il dolore, istintivamente si mise in bocca il dito, succhiandolo.  In quel momento arrivò un vecchio Druido– si trattava del grande poeta Finn Eces - che aveva atteso sette anni prima di riuscire a pescare il salmone della conoscenza.  Egli chiese al giovane se avesse assaggiato il pesce e questi confessò. Allora il poeta gli raccontò la storia del salmone che portava conoscenza, saggezza e forza, spiegando che le condizioni per la cattura si verificavano solo una volta ogni sette anni. E che lui per sette anni aveva atteso il momento. Ciò detto consegnò tutto il salmone al giovane, dicendo “Io ne aspetterò altri sette di anni”. E ribattezzò Demne con il nome di Fionn che, grazie al sapere e alla saggezza ricevute dal salmone, diventò leader e re dei Fianna, i mitici eroi irlandesi.
Se questa leggenda è patrimonio dell’Irlanda, molte altre se ne trovano un po’ ovunque, là dove ci sono i salmoni: in Scozia, naturalmente, fino alla lontana terra degli Indiani d’America.



Salmone: alla scoperta delle origini


Oceano Pacifico, Oceano Atlantico e Danubio: queste sono le tre aree in cui amano abitare  i salmoni.  Che, come tutte le famiglie che si rispettano, hanno diversi rami con differenti tipologie.

Oceano Pacifico: dove regna il ramo “nobile”

Red King  (Oncorhynchus Tschawytscha) - Detto anche Salmone reale o Chinook, è veramente il Re dei salmoni. Taglia maxi, mediamente dai 18 ai 25 kg, può arrivare fino a 45. Poco grasso, sapore morbido e dolce, è ideale per l’affumicatura.  Ha un parente prossimo, molto raro, che si chiama White King. E’ albino, con carni bianche e sapore molto delicato.
Sockeye (Oncorhynchus Nerka) - Pescato lungo le  coste occidentali del Canada,  di colore rosso vivo, è la seconda varietà più pregiata di salmone selvaggio, dopo il Red King. Ha carni sode, sapore deciso, è perfetto per affumicatura e raffinati piatti giapponesi.
Coho  (Oncorhynchus Kisutch) - Noto anche come salmone argentato, qualitativamente si avvicina al Red King,  ma, in termini di dimensioni, è molto più piccolo avendo un peso che si aggira intorno ai 7 kg.

… ma ci sono anche i cugini meno nobili
Pink  (Oncorhynchus Gorbuscha) – Detto salmone rosa, circa 2 kg di peso, piuttosto salato, è presente in quantità consistente nel Pacifico . E’ il classico pesce da inscatolamento.
Chum  (Oncorhynchus Keta) - Pesa da 4 a 8 kg, rimane poco nelle acque dolci, ha carni molli che si afflosciano, una volta affumicate. E’ il meno pregiato di tutti i salmoni selvaggi ed è piuttosto economico. Proprio per una questione di prezzo è molto diffuso.
Salmone giapponese (Oncorhynchus Gorbusha) - Stessa famiglia del salmone rosa,  conta quattro sottospecie,  è diffuso in Estremo Oriente, Corea, Taiwan e Giappone. Utilizzato largamente per sushi e sashimi.

Oceano Atlantico: qui domina il salmo salar



Vive un'unica varietà di salmone: il Salmo salar. Varietà  unica e qualità organolettiche ben differenti a seconda del Paese di pesca e del tipo di lavorazione.  E però il salmone che cresce allo stato libero è in via di estinzione, così come le specie più pregiate dell’Oceano Pacifico. Tutti grandi vittime della pesca indiscriminata e del proliferare degli allevamenti industriali e intensivi, fortemente inquinanti.
Il Salmo salar è ormai da anni  il salmone d’allevamento per eccellenza, sia in Europa sia in Cile. 2° produttore al mondo dopo la Norvegia, che detiene saldamente il 1° posto. Infatti, l’acquacoltura dell’era moderna, è nata proprio in Norvegia nel 1960, e si è quindi diffusa negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Però l’inarrestabile sviluppo ha fatto moltiplicare gli allevamenti iper-intensivi con pesci stipati nelle gabbie in modo tale da impedire praticamente il movimento in acqua, nutriti con mangimi impropri, carichi di PCB (composti chimici contenenti cloro), di coloranti artificiali, di farine animali, di antibiotici destinati a contrastare il rischio che  malattie e parassiti si trasformino in  epidemie (nel passato ne sono stati colpiti Cile, Svezia e Norvegia). E, infine, è arrivata la possibilità di imbattersi anche nel salmone transgenico, origine canadese, sviluppo americano.  

Ormai la pesca indiscriminata ha ridotto al lumicino la quantità di salmone pescato in mare aperto; per contro, l’allevamento è diventato il primo fornitore al mondo di salmoni. E qui si apre un capitolo complicato perché c’è allevamento e allevamento. Così come c’è lavorazione e lavorazione. Stiamo naturalmente parlando del salmone affumicato, che del consumo mondiale rappresenta larghissima parte.

I salmoni non sono tutti uguali…


Una cosa è certa: sempre più bisogna scegliere con attenzione il salmone da portare sulle nostre tavole.  All’origine dieteticamente strepitoso perché scarso di calorie e ricco di Omega 3, di grassi polinsaturi, di sali minerali, di vitamine,  a causa degli allevamenti intensivi ( in batteria come i polli… ), il salmone, anzi molti salmoni si sono trasformati in mine vaganti per la nostra salute.
Un esempio? In Norvegia, dove il mercato  del salmone d’allevamento vale tre miliardi di euro l’anno, nel 2013 il governo ha sollecitato le donne in stato di gravidanza a ridurne al minimo il consumo e ha anche invitato le famiglie a non servirlo ai bambini. Ovviamente è stata subito polemica feroce. Che però ha indotto alcuni allevamenti a imboccare una nuova strada. Virtuosa.
Nell’ottobre scorso, finalmente, 15 aziende di Norvegia, Cile, Scozia e Danimarca hanno annunciato la volontà di promuovere la sostenibilità nell’allevamento del salmone, certificando  entro il 2020 il 100% della loro produzione.
Una certificazione che in Scozia già esiste dal 1975 con l’allevamento sostenibile Loch Duart, che, preservando l’ambiente, immette sui mercati salmoni di altissima  qualità. Talmente alta da conquistare la tavola reale: il salmone Loch Duart è stato servito al matrimonio del Principe William con Kate Middleton.
Loch Duart è una società privata che fino a pochi anni fa  poteva vantare il merito di essere l’unica al mondo a certificare pesci e mangimi biologici. In un qualche modo ha fatto da apripista. Tanto da essere E merita di essere citata. 

 

Salmone fresco e salmone affumicato: ecco come scegliere il meglio

Posto d’onore al salmone selvaggio ovvero proveniente da pesca all’amo (sempre più rara) o con le reti, al largo delle coste dell’Alaska e del Canada o lungo le isole giapponesi, quindi, per larghissima parte, nell’Oceano Pacifico. Sia fresco sia affumicato il salmone “wild”, per via del costo, è ormai riservato a una fascia di mercato assai ristretta, quasi esigua. Sotto il profilo culinario, avendone la possibilità, sarebbe preferibile acquistare il salmone selvaggio fresco e goderselo perché il gusto è impagabile.
Comunque, gusto pregevole anche per larga parte del selvaggio affumicato: si dice larga parte perché questa produzione  non sempre mantiene le promesse, almeno secondo alcune indagini comparative. Capita che le carni non siano morbide come sarebbe desiderabile, al contrario talvolta sono po’ ”stoppose” mentre il sapore è decisamente più intenso di quello del cugino d’allevamento.
Come riconoscere alla vista il salmone selvaggio? Difficile farlo, perché l’intensità del colore – normalmente rosa pallido - dipende dall’alimentazione libera mentre la consistenza delle carni non è così evidente. Allora non resta che dare fiducia al proprio fornitore.

 Il vademecum

Per quanto riguarda il salmone d’allevamento, affumicato, praticamente tutto si dovrebbe poter apprendere dall’etichetta: varietà, provenienza, pezzatura, scadenza, tipo di affumicatura, percentuale di grassi, sigle di certificazione, eventuale indicazione di OGM. Da un’attenta lettura – se le etichette sono compilate correttamente - si potranno trarre le indicazioni utili per un acquisto… consapevole. Che verrà confermato dal prezzo: buona regola è non giocare al ribasso perché il salmone non lo merita. Meglio mangiarne di meno ma di buona qualità.
Varietà e provenienza – Nel settore dell’affumicato, sostanzialmente, si trova solo il Salmo Salar, la cui provenienza non sempre è  dichiarata. Infatti un salmone affumicato in Norvegia, può essere stato allevato in Cile, Paese che ha scelto una produzione di livello basso con prezzi bassi. Com’era avvenuto per la Grecia con le orate. Oppure un salmone norvegese potrebbe essere lavorato in Italia o in Francia….
Come regolarsi, allora. Se vogliamo stare in Europa (il che non è male visto i tempi) rivolgiamoci in primis a Scozia e Irlanda che hanno decisamente puntato sulla qualità. Piccoli allevamenti, mangimi controllati, “smoke houses” che lavorano il salmone solo a partire dal fresco con salagione a mano e affumicatura con truccioli di botti nelle quali era invecchiato il whisky. In più, sostengono gli esperti, mari aperti e molto ossigenati come quelli che circondano questi Paesi, offrono ai salmoni elevata qualità di vita e di alimentazione. I salmoni  scozzesi e irlandesi, dovendo affrontare correnti marine fortissime, sviluppano una notevole robustezza e muscolatura che si traduce in una carne molto consistente, facile da tagliare, saporita al palato e con un 8% di grassi in media, contro un 11% medio dei norvegesi.


Percentuale di grassi – Non sempre compare sull’etichetta mentre si tratta di parametro importante. Si tenga presente che un salmone selvaggio, che nuota libero nell’Oceano, contiene meno grassi di uno d’ allevamento: da 3 a 7 g per 100g il primo mentre oscilla tra 8 e 12 g il secondo. 
Attenzione: se viene superata la soglia dei 12 grammi di grasso, meglio starsene alla larga perché questo significa che  il salmone è di bassa qualità.
Pezzatura: La parte migliore del salmone è quella centrale dalla quale si tagliano belle fette lunghe e carnose. Bene, queste non possono certo stare nelle buste da 100 grammi nelle quali confluiranno piuttosto fettine che provengono dal taglio che parte dalla coda. E’ grave? No, però è da tener presente che quelle fettine possono essere più asciutte e filamentose di quanto non siano quelle ricavate dalla zona più “piena”.  

Colore -  Non è un indice affidabile perché il salmone nasce con carni bianche ed è l’alimentazione (in natura gamberetti, crostacei e alghe in quantità) che dona i toni del rosato, rosso, aranciato. Nell’allevamento, i mangimi sono addizionati con sostanze ad hoc, anche artificiali. E’ invece opportuno verificare che le fette non presentino sui bordi zone giallastre o di seccume.

Affumicatura– Ci sono tecniche diverse di salagione e di affumicatura. La salatura avviene sia con sale marino cosparso sulla superficie dei filetti sia con immersione o iniezione di salamoia. 



L’affumicatura può essere “cold smoked” oppure “hot smoked” cioè a freddo (22°C per 12 ore) o a caldo (120°C nei primi 20 minuti e max 80°c nelle 4 ore successive) con sistema orizzontale (su griglie) o verticale (detto per impiccagione) e utilizzo di legni pregiati dal faggio alla quercia (ma c’è anche il fumo liquido..).
Il meglio? Molti esperti ritengono ottimale la scelta che si rifà alla tradizione: salatura a mano con sale marino e affumicatura a freddo per impiccagione. Una delizia. 

Attenzione alla dicitura in etichetta. Un esempio: deve essere scritto “salmone scozzese affumicato” e non “salmone affumicato scozzese”.  Nel primo caso, infatti, il salmone sarà stato allevato e affumicato in Scozia, nel secondo sarà stato affumicato in Scozia da provenienza non certificata.

   
Scadenza - La scadenza deve essere breve, massimo 30 giorni: è il segno inequivocabile di qualità.  E però l’Italia, come normativa, si è allargata fino a 90 giorni, contrariamente a quanto in vigore in Francia, che prevede max 21 giorni. Consiglio: in presenza di scadenza lunga, consumare il salmone almeno 30 giorni prima della data indicata. Infine, in etichetta dovrebbe essere dichiarata anche la data di produzione perché fra questa e l’immissione sul mercato, potrebbero essere passati mesi, con congelamenti e scongelamenti.

 Sigle di certificazione        
 


 Per il salmone selvaggio è importante verificare che sia presente la sigla MSC: significa, questa, che il prodotto proviene da pesca sostenibile. Per salvare il salvabile e indurre la ripopolazione dei salmoni.





 


Naturalmente il marchio BIO, che dovrebbe certificare tutte le fasi di produzione, allevamento e commercializzazione del salmone.
 




LABEL ROUGE: prestigiosa “etichetta” francese  che certifica un prodotto di qualità molto elevata, secondo standard , soprattutto gustativi, stabiliti dal Ministero dell’Agricoltura francese. L’etichetta è andata all’estero per la prima volta nel 1992 quando è stata attribuita a un’acquacoltura scozzese. Con l’andare del tempo anche marchi irlandesi e norvegesi hanno conquistato il riconoscimento.






OGM: Organismo Geneticamente Modificato: Lo vogliono gli Stati Uniti ma è stato messo a punto in Canada, per quanto riguarda il salmone. Vecchia Europa resiste.






E ora spazio al piacere del palato!


Doveroso omaggio a un bel salmone selvaggio fresco. Dalla Scozia con amore. La ricetta è del sito celtico www.celtnet.org.uk

Tweed Kettle

Il Tweed è uno dei fiumi scozzesi più ricchi di salmoni e, nonostante la ricetta venga da Edinburgo, non è sorprendente che proprio al Tweed sia stata dedicata.  E’ una ricetta del 1800.
Per 4 persone
1 salmone intero di circa 1 kg – sale e pepe nero  da macinare al momento – 2 scalogni, affettati finemente – 1 pizzico di macis* macinato – 150 ml di vino bianco secco – 2 cucchiai  di burro – 100 g di funghi  porcini, boscaioli o champignons -  2 cucchiai di prezzemolo tritato.
* Il macis è la membrana che avvolge la noce moscata. Ha un colore aranciato e un aroma decisamente fruttato, simile a una miscela di cannella e noce moscata. Il sapore è più penetrante di quello della noce moscata perché contiene più oli essenziali. E ’molto delicato nel senso che, una volta macinato, perde facilmente l’aroma e, d’altra parte, è assai difficile da macinare. Teoricamente sarebbe meglio utilizzarlo in piccoli pezzi verso fine cottura, rimuovendoli prima che il piatto vada in tavola.

Eviscerare e squamare il salmone, lavarlo e metterlo in una pesciera idonea; aggiungere acqua fino a coprirlo appena; portare a bollore lentamente e quindi abbassare la fiamma in modo che l’acqua abbia solo qualche fremito; coprire e cuocere per non più di 3 minuti. Togliere delicatamente il salmone dalla pentola e lasciarlo intiepidire; togliere pelle e lische; tagliare la carne a piccoli cubi e metterla da parte.
Rimettere nell’acqua pelle, lische e tutti gli scarti, portare nuovamente a bollore, abbassare la fiamma e cuocere per 15 minuti. Spegnere, lasciar raffreddare e poi passare il liquido prelevandone 150 ml che saranno versati in una casseruola pulita.  A questi aggiungere il vino bianco, il macis, gli scalogni e il salmone a cubetti Aggiustare di sale portare a bollore dolcemente, abbassare nuovamente la fiamma e cuocere per 10 minuti. Nel frattempo scogliere il burro in una padella e insaporirvi i funghi fin quando diventino morbidi; scolarli dal grasso e aggiungerli al salmone continuando la cottura per 5 minuti.
Disporre in un piatto di servizio che sarà stato tenuto al caldo e guarnire con il prezzemolo.
Tradizionalmente il Tweed Kettle viene accostato a purée o patate bollite.


Salmone affumicato


Prima regola: togliere dal frigorifero e dalla busta almeno mezz’ora prima di servire. Le fette devono essere morbide e lucide, fresche, non fredde.
Seconda regola:  il sapore del salmone deve essere esaltato, non sopraffatto. Ecco perché gli chef di rango sconsigliano vivamente l’utilizzo del burro (il salmone ha carni morbide ed è già ricco di grassi) nonché del limone spruzzato direttamente sulle fette, per l’acidità troppo marcata.
Allora? Il salmone affumicato è normalmente il protagonista dei grandi antipasti e in questo senso si registra una sovrabbondanza di ricette. Non sempre condivisibili. Personalmente credo che la regola ferrea, inderogabile, sia quella di “lavorarlo” poco o niente e di accostarlo con discrezione ad altri sapori. 


In giro per il mondo, trionfa il salmone in sushi e sashimi. E però le tradizioni russe rimangono saldamente in sella proponendo il salmone con Blinis (un mix tra crêpes e pancakes, cottura in padella) e panna acida. Inutile dirlo, fatti in casa è meglio…

Blinis  secondo la tradizione russa

La ricetta è del sito www.russia-italia.com
Le dosi sono per una ventina di blinis
300 g farina - ½ litro latte intero – ½ bustina lievito di birra – 2 uova
1 cucchiaio di zucchero (circa 25 g) – 1 cucchiaino di sale
olio extravergine d’oliva o di semi di arachide per ungere la padella.



Mescolare il lievito con metà della farina, lo zucchero e il latte tiepido. Coprire il contenitore, lasciar riposare in luogo tiepido per 30/40 minuti: l’impasto lieviterà facendo delle bolle. Quindi aggiungere un uovo per volta, incorporando perfettamente; unire poi la farina a cucchiaiate, setacciandola e mescolando con cura per evitare grumi. Al termine, la pastella deve risultare abbastanza fluida (non liquida).  Coprire nuovamente e porre vicino a una fonte di calore o comunque in luogo tiepido, lontano da correnti d’aria, per altri 30/40 minuti, magari qualcosa di più, non di meno.
Con un pennello bagnato nell’olio ungere una padellina di 10-12 cm,   (preferibilmente, nell’ordine, ghisa, ferro o anti-aderente) e mettere sul fuoco, fiamma media. Quando l’olio è ben caldo, mescolare l’impasto, prelevarne un mestolino e metterlo nella padellina, ruotandola in modo che  l’impasto si distribuisca  bene. Cuocere da entrambe le parti per due o tre minuti complessivi. Il blini deve avere una consistenza di poco superiore a quella delle crêpes, ma non alto come una focaccina. In questo senso non vanno presi a modello i blinis di tipo industriale che assomigliano piuttosto a piccoli panini schiacciati.

Una volta freddi, guarnirli con  panna acida e salmone. Se divisi l’uno dall’altro con un foglietto di carta oleata e  protetti da un sacchetto da freezer, possono essere surgelati. Per qualche giorno resistono bene anche nel frigorifero.
Nota: Sebbene la ricetta tradizionale non lo preveda, alcuni suggeriscono di utilizzare sia farina 00 sia farina di grano saraceno, nella proporzione 50/50. I blinis risultano più rustici.

Panna acida

Ormai si trova facilmente anche quella confezionata, in particolare nei negozi o supermercati che tengono prodotti bio. Comunque è facilissimo prepararla in casa.

100 g di panna liquida fresca - 100 g di yogurt bianco compatto, tipo greco  
1 cucchiaio di succo di limone – 1 pizzico di sale

Mescolare bene la panna allo yogurt  e aggiungere il succo di limone e il sale. Sarebbe bene utilizzare una frusta per gonfiare leggermente la crema (che non deve essere montata). Se  fosse troppo fluida aggiungere altro yogurt, al contrario unire un po’ di panna.


Bocconcini di salmone alla crema di formaggio

Le quantità variano a secondo del numero di ospiti. Non scordare, comunque, che non è una portata ma un assaggio.


Per 3 involtini 
1 fetta lunga di salmone affumicato o fettine singole
1 cucchiaio di formaggio caprino - 2 cucchiai da dessert di mascarpone
erba cipollina– un pizzico di sale – pepe rosa
e per la decorazione
ciuffetti i di aneto, rucola,  chicchi di melagrana, fettine d’arancia

Tagliare il salmone a rettangoli di circa 7x9 cm. A parte mescolare bene i due formaggi, battendoli con una frusta per gonfiarli un poco, salare e pepare e aggiungere l’erba cipollina tagliata (con le forbici!) a pezzettini micro. Mettere la crema, senza stenderla, al centro delle fettine di salmone; ripiegarle a cannolo, fermandole, se necessario, con un piccolo stuzzicadenti. Accomodare gli involtini in un piatto da portata (o in più piattini singoli), cospargendoli ancora con una leggera machinata di pepe;  decorare  con ciuffetti di aneto o rucola e chicchi di melagrana o fettine d’arancia, a piacere. Conservare al fresco.

Bicchierini al salmone… spiritoso




1 cucchiaio da dessert di salmone affumicato -  1 cucchiaio di formaggio caprino 
 1 cucchiaio di mascarpone – 1 cucchiaio di yogurt compatto 
1 bicchierino di vodka ben fredda - sale – pepe rosa
Mescolare i due formaggi e lo yogurt, aggiungere la vodka, sale e pepe: battere un poco con la frusta per gonfiare la preparazione, che comunque non deve essere montata.  Mettere la crema nei bicchierini e cospargerla con i cubetti di salmone.



Grazie a

Fonti: www.wikipedia.it - www.wikimedia.it- www. celtic.org - www.celtnet.org - www.dirittiglobali.it - www.cibo360.it - www.slowfood.it - www. fao.org - www.famigliapastaldello.it -  www.identitagolosa.it - www.lochduart.com - www.ilgiornaledelcibo.it - www.edemar.it - www.papillevagabonde.com - www.dissapore.com



domenica 9 novembre 2014

Piatto unico? Un grande plateau di formaggi. Francesi.



Bassorilievo sumero - Fregio della Latteria - III millennio AC
E' la fonte più antica che testimonia le fasi di lavorazione del latte da parte dei sacerdoti


Arrivato oggi alle vette della raffinatezza, il formaggio viene da lontano nel tempo. Si parla di 18mila anni fa, quando i pastori della Mesopotamia ne avviarono la lavorazione. Rudimentale ovviamente.  Una vera e propria origine non è nota. E però una leggenda narra che un mercante arabo, dovendo attraversare il deserto, portò con sé del latte fresco contenuto in una bisaccia di stomaco di pecora. Complici il calore e il movimento, gli enzimi presenti nello stomaco della pecora acidificarono e coagularono il latte trasformandolo in cagliata. Da allora la base di un formaggio è sempre latte, caglio, calore. E sale.
Nel 5000 AC in Italia si diffuse l'allevamento di ovini e caprini e fonti archeologiche fanno risalire al 2800 AC l'inizio della produzione di un formaggio molle. Va ricordato che gli antichi consumavano soprattutto formaggio di latte di capra o, talvolta, misto capra e pecora. Il latte vaccino era infatti ritenuto nocivo.
Sotto il profilo etimologico, il vocabolo "formaggio" ha una derivazione latina. Per indicare la cagliata, infatti, era usato il termine "caseus" ma anche, fra i legionari, il termine "formaticum" con il quale si definiva una forma di questo prodotto "de caseus formatus"."  Da "formaticum " i latini trassero la parola "forma" che divenne "formage" nel francese antico e quindi si trasformò nei termini odierni. Parimenti, da caseus deriva "cacio" con ricaduta su quasi tutte le lingue europee: "cheese", "kase", "kaas", "queso". E in italiano troviamo anche "caseificio". Alcuni linguisti sostengono invece che la parola "formaggio" derivi dal greco "formos", che indicava il paniere di vimini nel quale veniva risposto il latte cagliato per dargli forma.


Se la Francia è il terzo produttore  al mondo di formaggio, dopo Stati Uniti e Germania, in termini di volumi, è certamente il primo per consumo con 26 kg a testa all'anno. Non a caso. La sua tradizione casearia è la più importante al mondo, insieme a quella italiana. Ed è anche la più "nutrita", contando più di 500 varietà di formaggi. Di alto livello. Da assaporare.

Proposta


 Un plateau di formaggi francesi per un aperitivo o una cena senza pari. E senza necessità di stare ai fornelli. L'idea è intrigante ma la sua realizzazione non è semplice come potrebbe apparire. Perché non si tratta di andare al supermercato e acquistare, un po’ a caso, quello che ci ispira. Servire un plateau di formaggi è una sfida. Di conoscenza. Anzi di conoscenze. I gastronomi, gli affineurs ci spiegano tutto ciò di cui si deve tener conto.  Breve elenco: la stagione; la composizione classica e le possibili varianti;  la presentazione; le quantità; quando e come servire; l’abbinamento con  i vini ma non solo; l’accompagnamento del pane e dintorni; la conservazione corretta.


Per questo post abbiamo consultato una apprezzabile quantità  di siti e di libri, tuttavia la nostra documentazione principale deriva da un nome noto non solo a Parigi, non solo in tutta la Francia ma, piuttosto, in tutto il mondo. E’ il nome che ha creato una varietà straordinaria di formaggi e li ha fatti conoscere di qua e di là dell’Oceano.  Questo nome è  Androuët. Dapprima il capostipite Henri con la sua Maison al 41 di rue D’Amsterdam, IX arrondissement, Paris,  punto di riferimento dei gourmet già negli anni Venti, anche grazie all’affiancamento della giovane moglie Ida.  Poi il figlio Pierre, che negli anni Trenta sacrifica gli studi di architettura per proseguire, con passione, la bella storia di famiglia. 




Alla cantina-degustazione aperta dal papà, Pierre fa seguire un ristorante, del quale egli stesso disegna la struttura e la ormai storica facciata. Ed è  subito successo con frequentazioni del calibro di Colette, Hemingway, Jean Gabin, Orson Wells, Maria Callas….  Pierre Androuët, al suo attivo ha vari libri sui formaggi e l'arte casearia, è critico gastronomico e Membro dell’Institut Francais du Goût. La Maison è intanto passata nelle mani – esperte – di Stéphan Blohorn originario del Midi francese, incoronato, nel 2008, Maître Fromager. Sul Mont d’Or, nel Jura.
Ecco tutti i segreti perché il prossimo successo sia il vostro. Con i formaggi.

La stagione

 

Ogni formaggio ha il suo momento magico. Bisogna scoprirlo.  Perché la struttura e le qualità gustative del latte sono strettamente legate all’alimentazione degli animali. Così il latte di una vacca nutrita con il fieno, in una stalla, in inverno, non avrà la complessità e i sapori del latte di una mucca che, in primavera, o sugli alpeggi estivi, può nutrirsi di erba fresca e tenera mischiata ai fiori selvaggi profumati.
Questa premessa  non significa che in inverno i formaggi non vanno gustati perché, di mezzo, c’è  il periodo di affinage, più o meno lungo: in sostanza alcuni formaggi prodotti con latte primaverile o estivo raggiungono la loro maturità proprio in inverno.

La composizione del plateau




Regola d’oro: i formaggi devono essere apprezzati in ordine crescente di sapore e perciò, nella scelta, è importante che ci sia equilibrio tra formaggi freschi, semi-stagionati, erborinati…; di latte vaccino, di capra, pecora… Per questo è opportuno  disporli a “chiocciola” partendo dal centro con i più teneri e freschi, o dolci, proseguendo in senso orario con i più fermentati o di gusto forte. In altre parole, tenendo conto dell’intensità del gusto.  
Una formula sicura consiste nel cominciare con formaggi caprini e ovini e proseguire con latte vaccino nelle varie declinazioni. 
Un plateau-piatto unico deve idealmente prevedere una pasta molle (brie, camembert, coulommiers...), una pasta pressata (cantal, comté, cheddar...), un'erborinata (roquefort, bleu de causses... gorgonzola!), un caprino (crottin de chavignol, banon, pouligny-saint-pierre.)
Fra l’uno e l’altro deve esserci spazio sufficiente per consentirne il taglio. E, a proposito del taglio, servono più coltelli in modo da non mescolare i vari sapori. Oppure bisogna tenere a portata una ciotola con acqua calda e pulire ogni volta il coltello.
Al plateau classico – dal  latte di capra  a quello di pecora arrivando al latte  vaccino – si può sostituire  un plateau “monotematico”, per varietà o territorio o consistenza, o stagionatura.... Ovvero: tutti formaggi “bleu” (la Francia ne è ricca!) oppure tutti formaggi del Jura o della Savoia, o, ancora, tutto latte di capra, tutto a pasta morbida. C’è di che esercitare conoscenza e fantasia.


La presentazione 

 



Il plateau può essere di vetro, di porcellana, di legno, d'ardesia, di vimini. Comunque in materiale naturale. Da evitare assolutamente argento e metalli varî, suscettibili di alterare i sapori.
E’ opportuno togliere a ogni formaggio qualsiasi tipo d’imballaggio, così come le etichette del produttore, mentre saranno salvate foglie o erbe che avvolgano il formaggio stesso. 
Sotto il profilo estetico, giocare con le forme (rotonde-quadrate-rettangolari, grande-piccolo) e con i colori delle croste che verranno esaltati se, fra un formaggio e l’altro, si interporrà qualche chicco d’uva o bacca di ribes, o mirtilli o gherigli di noce.

Il plateau può diventare anche una bella esperienza di conoscenza. Ecco come. Su ogni formaggio si può mettere una “bandierina” con l’indicazione di nome, origine, tipo di latte utilizzato (ad esempio: latte crudo),  stagionatura.


Quando servire il formaggio?


La domanda non è oziosa. Anzi. Se la cena è a base di formaggi, il problema non si pone. Si può partire con crudités e terminare con un buon dessert. Se, invece, i formaggi costituiscono la portata di un pranzo più complesso, andranno in tavola “dopo” il piatto principale e soprattutto dopo l’eventuale insalata: mai contemporaneamente come accade spesso in Italia. Motivo: l’insalata è (quasi sempre) condita con aceto o vinaigrette e l’acidità copre il gusto  di qualunque formaggio. Fra insalata e dessert, dunque. E' il momento ideale.

Attenzione! I formaggi devono essere tolti dal frigorifero un’oretta prima del servizio per consentire agli aromi di svilupparsi a temperatura costante.


Quanto formaggio per persona?


 Pranzo  complesso seduto: per 4 persone  almeno 400 g; per 6 , circa 500 g;
                                                          per 8, 600g.
                                                          Da 10 commensali in sù, calcolare dai 60 ai 70 g a testa.

Pranzo di soli formaggi: 250 g per persona

Pranzo salumi e formaggi: 200 g di formaggi e 150  di salumi

Plateau di formaggi per un buffet: 60-80 g per persona

Cocktail o buffet di soli formaggi: 150-250 g per persona

Fonduta: almeno 250 g per persona

Raclette: 200 g di formaggio da raclette e 120 g di salumi




Commento: Se siete indecisi, tenete presente questa massima dei nostri adorabili vecchi: “Quando non ce n’è d’avanzo, è segno che non ce n’è abbastanza”.


Gli abbinamenti





Solo vino rosso? Rosso è perfetto. Ma non sempre, contrariamente ad abitudini consolidate. Anche nell’ampia gamma di vini bianchi si può pescare per avere abbinamenti esaltanti. 
Il segreto per non sbagliare? Accostare ai formaggi di un territorio i vini prodotti nello stesso territorio, rossi o bianchi che siano. Certo, tenendo presente una regola-base: un vino rosso, tanninico, sarà scelto adeguatamente per un formaggio stagionato e un bianco per un formaggio fresco, segnatamente di latte di capra.


Ecco alcuni esempi
- Munster e bianco dell’Alto Adige Gewrtztraminer
- Mont D’Or o Vacherin du Haut-Doubts con vino giallo del Jura
- Crottin de Chavignol e Sancerre bianco o rosso
- Epoisses e vino di Borgogna rosso
- Saint-Nectaire e Côte d’Auvergnes rosso
- Chaorce e… champagne

Osare è creativo, è bello. Non c’è solo il vino.

Un buon sidro artigianale accompagnerà felicemente un formaggio di Normandia, tipo Camembert, Pont-l’Evêque, Livarot. Il gusto di questi formaggi, però, può essere esaltato anche da un buon Calvados.

Una birra strutturata  si armonizza con un formaggio d’Alsazia ma anche con formaggi di capra freschi e acidi.

Un’acquavite può esaltare un Roquefort mentre uno Stilton troverà nel Porto un grande compagno. Di gusto.

E, sorpresa finale, c’è anche il Tè, in tutte le declinazioni. Un “Assam” indiano, nero e forte ma non amaro, si sposa molto bene con un formaggio stagionato; un darjeeling o un tè nero della Cina – più equilibrati e “morbidi” – fanno meraviglie con formaggi ad affinage breve.


Morale: osare, osare, osare!

... e pane. Ma non solo...

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Un formaggio non può essere gustato senza pane. E ogni formaggio ha un suo pane ideale. Il consiglio: preparare una bella corbeille nella quale ci siano baguette,  pane rustico di campagna,  michettina (se la trovate),  pane di segale e ai cereali. Ma anche pane alle noci, all’uva, al cumino… Infine, per non sbagliare, aggiungete dei crackers e dei grissini.

C'è altro da aggiungere?

I formaggi di rango non hanno bisogno di “aggiunte” o “contaminazioni”: il loro sapore è meglio apprezzato da un palato “pulito”. Un cetriolo o un peperone sottaceto, così come una senape, potrebbero stroncare qualunque aroma.
Diverso è il discorso per quanto riguarda frutti freschi, confetture o composte e mostarde. Infatti, i formaggi amano l’associazione con i sapori dolci. Primo fra tutti il miele, strepitoso con le paste dure, ma non solo. Miele che si può trovare arricchito di tartufo: vedete voi…. Ci sono inoltre le mostarde nelle varie declinazioni.

Suggerimenti

Formaggi di capra e pecora: frutti rossi  e frutta in generale, sia estiva sia autunnale: dal melone alla pesca, alle mele, pere, fichi, uva. Naturalmente miele ma anche scorze di arancia candita e chutney di mango.
Formaggi erborinati (Roquefort, Bleu d’Auvergne, Fourme de Montbrison o d’Ambert…..): frutta secca (gherigli di noce, nocciole, mandorle affettate finemente)), frutta autunnale, fresca o in confettura o composta.  Di rigore, mele cotogne e fichi.



Formaggi a pasta morbida (Camembert, Brie, Neufchâtel…): abbinamento con frutta fresca o confettura, in particolare mele, pere e  cipolle rosse.



 Formaggi a pasta pressata (Comté, Beaufort, Gruyère…): gherigli di noce, uva bianca, marmellata d’arance, miele d’acacia o di castagno.


Per concludere: vietato sprecare

Per conservare i formaggi l’ideale in assoluto è il piatto con copertura a campana, che evita il contatto con l’aria mentre mantiene l’umidità. Non sempre è possibile, dunque bisogna rivolgersi ad altri metodi: vietato l'alluminio, in generale si può puntare sulla “pellicola” alimentare, avvolgendo singolarmente le varie porzioni rimaste. In caso di formaggi stagionati, un canovaccio funzionerà egregiamente. 


Attenzione! 
Seguirà un post con alcuni suggerimenti per comporre i vostri plateaux autunno-inverno

Grazie a

Fonti: www.wikipedia.it - www.taccuinistorici.it - www.androuet.com - www.monfromage.com - www.legrandmagasindemaville.fr - www.jefouinetufouines.fr


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