Ricette

giovedì 17 maggio 2018

La penna di Mary Shelley risveglia il Golfo dei Poeti. Festeggiamo. A tavola.



  

“La scena iniziale di questa storia ebbe luogo in un paesino nella costa meridionale della Cornovaglia. Treby (con questo nome si è scelto di indicare un luogo la cui reale denominazione, per diverse ragioni, non verrà fornita) era, a dire il vero, più un borgo che un paese. Ma poiché si trovava sul mare, vi erano due o tre case che, grazie alla vernice verde e alle tendine di chintz, avevano tutta l’aria di fornire una sistemazione in “Appartamenti Ammobiliati” ai pochi bagnanti che, avendo sentito quanto il posto fosse conveniente, bello e ritirato, di tanto in tanto vi si recavano in vacanza dalla città limitrofe.
“Questa parte della Cornovaglia ha in sé molta della caratteristica e raffinata bellezza che per ogni inglese adorna la dolce contea di Devon……” 
Mary Shelley, Il segreto di Falkner, incipit






Nel 1837 viene dato alle stampe, a Londra, quello che sarebbe stato l’ultimo romanzo di Mary Shelley: “Falkner”.  Un romanzo di segno nettamente opposto a quel “Frankenstein” che, seppure con ritardo, l’aveva portata alla ribalta mondiale. Anche qui c’è un’eroina – sempre di nome Elizabeth - che, però, non solo non è uccisa dal Mostro ma, anzi, “sconfigge i suoi antagonisti e salva gli uomini della sua vita”.*




Non tutta la critica fu favorevole alla nuova opera, per il capovolgimento dei valori: alcuni la ritennero “deprimente”, altri la contestarono sostenendo che “gli uomini hanno il dovere di salvare le donne…”, altri ancora vi hanno visto “il modello di eroina vittoriana e “il raggiungimento di una soluzione al dilemma dell’auto-affermazione femminile”.


Questo romanzo – il mio preferito aveva dichiarato la scrittrice - ha dovuto attendere 180 anni prima di poter giungere ai lettori italiani: finalmente, nel novembre scorso l’editore Stefano Giovinazzo  lo pubblica  nella collana “I grandi inediti” delle Edizioni della Sera, con il titolo “Il segreto di Falkner”.  E la presentazione nelle librerie è proprio di questi mesi e (anche) dei prossimi.


Insieme al romanzo, torna alla ribalta la vita di una donna cui la sorte ha donato intelligenza, cuore, coraggio, intuito, riconoscimenti, ma anche laceranti dolori, gli uni intrecciati agli altri. C’è il suo amore filiale che vive nel tempo, c’è il suo amore, infinito, per il poeta Percy Shelley, c’è lo strazio per la perdita di ben tre figli e del marito, c’è il suo successo letterario. Nato per caso.
Nel giugno del 1816, una giovanissima scrittrice – la diciannovenne Mary Wollstonecraft  Godwin – mette su carta le prime righe di quello che in pochi anni diventerà un romanzo di portata mondiale: una storia gotica, dell’orrore. Fin dall’inizio lei aveva ben chiara l’idea che non sarebbe dovuto essere uno scontato o banale racconto di fantasmi bensì “… una storia che parlasse delle paure misteriose insite nella nostra natura … che facesse temere al lettore di guardarsi attorno, che gli facesse raggelare il sangue e accelerare i battiti del cuore”.




La vegetazione è rigogliosa nel bellissimo giardino di Villa Diodati, a Cologny, sul lago di Ginevra. Ma quel mese del giugno è stranamente freddo e piovoso. Così Lord Byron - raffinato scrittore e poeta, in temporanea residenza svizzera -  e gli amici Percy Shelley, pure poeta, la sua compagna Mary, la sorellastra di questa, Jane Claire Clairmont, amante di Byron e John William Polidori, scrittore e medico personale del padrone di casa, sono alla ricerca di una qualche attività che sollevi il loro umore. E Lord Byron la trova, quest'idea: propone ai compagni di scrivere un racconto di fantasmi, uno per ciascuno, in una sorta di gara di fantasia e bravura. Il tema gli è balzato in mente sfogliando alcuni volumi, proprio con storie di fantasmi, trovati nella biblioteca di casa. Tutti aderiscono ma, alla fine, solo Mary porterà a termine la missione. Vede così la luce “Frankenstein, o il moderno Prometeo”, dove le paure si fanno Mostro, un mostro creato da un essere umano, che realmente avrebbe turbato - e continua a turbare – la mente e il sonno di molti lettori.  Frankenstein è pubblicato nel 1818, in tre volumi, sotto anonimato e solo nel 1831 la copertina rivelerà il nome dell’autrice.





Mary nasce a Londra il 3 agosto 1797, da una coppia di intellettuali molto noti all’epoca: il padre, William Godwin, è un filosofo-scrittore-politico “libertario”, uno dei primi teorizzatori anarchici moderni,  strenuo difensore dei diritti umani dei più deboli,  con gran seguito di discepoli illustri. Tra questi, Samuel Taylor Coleridge, William Wordswoth, Robert Southey, Percy Bysshe Shelley; la madre è Mary Wollstonecraft, influente scrittrice di orientamento femminista, anche lei con gran seguito, che purtroppo morirà subito dopo il parto lasciando alla figlia il suo imprinting e il cognome.  La piccola cresce nel culto della madre morta e in un ambiente aperto, colto, libero, con una formazione scolastica seguita attentamente dal padre; diventerà una giovane donna capace di leggere in cinque lingue, compresi latino e greco.



 William Godwin e Mary Wollstonecraft


Percy Shelly frequenta il “cenacolo” di Godwin e lì incontra Mary: lei ha 17 anni, lui 22.  E si innamorano perdutamente. E’ già sposato, Percy, con un’altra giovanissima – Harriett Westbrook - che abbandona per fuggire con Mary.



"The lover's seat: Shelley and Mary Gowdwin in old St Pancras Churchyard" 
William Powell Frith, olio su tela, 1877



La nuova coppia si sposta sul Continente, girovaga, sovente con ben pochi soldi, perché intanto l’aristocratica famiglia di Percy ha deciso di tagliare i viveri al “radicale”, allo “scapestrato”, blindando il patrimonio al quale il Poeta attingeva con grande disinvoltura, anche per aiutare il suo mentore Godwin a ripianare i molti debiti. Sposerà Mary nel 1816 alla scomparsa della moglie, morta suicida.
La vita non sarà tenera con Mary Shelley: i primi tre  bimbi che  partorisce  muoiono ancora in fasce o in tenere età, per cause diverse. Solo il quarto figlio, Percy Florence, nato a Firenze nel novembre del 1819, riuscirà a crescere e, con la moglie, sarà sempre molto vicino alla madre con sconfinato affetto. 

Lord Byron e Percy Shelley

Nel 1820 Percy, Mary e il piccolo Percy Florence si trasferiscono a Pisa, dove sono raggiunti da Lord Byron e, insieme, maturano l’idea di costituire una piccola comunità di “eletti”: approdano nel  già tanto decantato Golfo di La Spezia s’installano in una villa a San Terenzo – Casa Magni -  e vivono “liberamente” praticando il nudismo e nutrendosi soprattutto di erbe e di pesce. Uno “stile” osservato con grande sorpresa e non proprio condiviso dalla popolazione locale.

 Casa Magni a San Terenzo di Lerici


La bellezza del luogo pareva irreale per il suo stesso eccesso: la distanza da ogni traccia di civiltà, il mare ai nostri piedi, i suoi mormorii o il suo ruggire sempre nelle nostre orecchie – tutte queste cose inducevano la mente a meditare su strani pensieri e, sollevandola dalla vita di ogni giorno, la portavano a familiarizzare con l’irreale. Una sorta di incantesimo ci circondava…”
(Mary Shelley, Nota alle poesie del 1822)



San Terenzo di Lerici


Ma anche lì, in quell’angolo di paradiso terrestre, che sarebbe diventato noto come il Golfo dei poeti, un terribile evento li colpisce: è l’8 luglio 1822. Quando Percy e l’amico Edward Williams escono in barca, com’era ormai consuetudine, al ritorno sono travolti da una tempesta. Saranno ritrovati, i due corpi, solo undici giorni dopo a Viareggio.


“… le stelle si ridesteranno
anche se la luna dovesse dormire un’ora in più;
questa notte non tremerà foglia
mentre le tue rugiade melodiose diffondono delizia….”
 (Percy Bysshe Shelley, )




Per Mary è un altro calvario, in difficoltà economiche si trasferisce prima a Genova e poi fa rientro a Londra  dove si dedica alla scrittura: pubblica il romanzo “Valperga; ovvero vita e avventure di Castruccio, principe di Lucca (1823) e cura la sistemazione di tutta la produzione di Percy che sarà pubblicata, in sette volumi, nel 1839-1840.  E poi viaggia per tutta Europa, accompagnata dal figlio. La sua salute è incerta, la sua condizione economica pure: solo la morte del suocero Sir Timothy Shelley le darà respiro.
Dopo un viaggio attraverso la Francia, accompagnata dalla nuora e ormai amica, Jane Gibson St John, Mary Shelley ritorna definitivamente a Londra dove, a casa del figlio, si spegne il 1° febbraio 1851.






Il Golfo dei Poeti, non è così chiamato a caso: luogo magico, ha visto realmente il passaggio di numerosi immortali della letteratura mondiale. La testimonianza più antica risale agli inizi del 200 a.C  ed è dovuta a Quinto Ennio, ricordato come poeta-soldato  e acclamato come padre della poesia latina. All’epoca il Golfo è noto come Portus Lunae, Porto della Luna, e il poeta scrive nei suoi Annales: “Il porto della luna è straordinario, dovreste vederlo amici.”  Poi, se nel Trecento questo angolo di paradiso affascina Dante, Boccaccio, Petrarca,  nel XVIII secolo, quando visitare l’Italia è una moda imprescindibile, il Golfo di La Spezia attrae intellettuali e artisti provenienti da anche da lontano. E nell’Ottocento incanta i poeti inglesi.

e gli effluvi che ogni fiore alato disserra, e la freschezza delle ore di rugiada, e il tepore lasciato dal giorno: tutto difondevasi intorno quasi rifolgorasse su la baia splendente”.
 Percy Bysshe Shelly

Il Golfo della Spezia diventa universalmente noto come “Golfo dei Poeti” nel 1910 quando il drammaturgo fiorentino Sem Benelli, in un’orazione funebre per l’amico Paolo Mantegazza, recita: …« Beato te, poeta della scienza, che riposi in pace nel Golfo dei Poeti».


Paesaggi da sogno e una natura scontrosa, ricca però di profumi e sapori.
E la tavola si fa bella

…”Il nostro villaggio è Tellaro. Sorge a picco sulle rocce del mare, un covo di pirati di duecento anime. La chiesa è sull’acqua. C’è una leggenda che dice che una notte la campana della chiesa suonò e continuò a suonare. La gente si sveglio terrorizzata, la campana suonava misteriosamente. Si scoprì che la corda della campana era caduta sulla punta di uno scoglio e un polpo ne aveva afferrato la cima e la stava tirando. Mi sembra impossibile. Gli uomini vanno a pescare il polpo con esca bianca e una lunga fiocina. Ne prendono di grossi talvolta di sei o sette libbre, e tu non hai mai visto niente di così diabolicamente brutto. Ma sono buoni da mangiare…”


(David H. Lawrence, ottobre 1913)



Ricette
Polpo alla tellarese





1 polpo di scoglio *– 4 patate gialle – 1 spicchio d’aglio
 1 buon pizzico di origano – prezzemolo – olive verdi denocciolate
 olio extravergine di oliva di Tellaro – 1 limone non trattato

Pulire e lavare il polpo. Immergerlo in una pentola con abbondante acqua fredda e portare a bollore su fiamma moderata. Dall’ebollizione calcolare 10 minuti, quindi spegnere il fuoco e lasciar raffreddare il polpo a mollo, in pentola coperta. Il tempo di raffreddamento dell’acqua  sarà esattamente quello necessario per dare al polpo una cottura perfetta.
In pentola separata, cuocere le patate con buccia, mettendole in acqua fredda leggermente salata; sbucciarle ancora calde ma attendere che siano tiepide prima di tagliarle, per evitare che si rompano.
Per confezionare il piatto, tagliare il polpo a tocchetti, togliere eventualmente la parte di pelle nera fra i tentacoli, unire le patate, le olive verdi, l’origano, il trito di prezzemolo e aglio. Aggiustare di sale e irrorare con l’olio di oliva e il succo di limone. Mescolare delicatamente.



Nota – Se il polpo è acquistato fresco, accertarsi che sia stato sbattuto per ammorbidire le fibre. Altrimenti una o due notti in freezer renderà la carne più tenera.
Da tener presente che un polpo fresco deve avere colore intenso e consistenza soda. 




Zuppa di frutti di mare alla lericina* 





1 kg frutti di mare misti (vongole, muscoli, telline, tartufi….)
 500 g pomodori maturi – 1 cipolla piccola
½ bicchiere olio extravergine di oliva – 1 bicchiere vino bianco secco
sale e pepe - crostoni di pane

Lavare accuratamente (e spazzolare se necessario) i frutti di mare e lasciarli riposare una mezz’ora in acqua cui sia stata aggiunta una manciata di sale grosso, possibilmente grigio (integrale), per eliminare le ultime impurità. Pulire e affettare finemente la cipolla e farla imbiondire con l’olio in un tegame capace di contenere tutta la zuppa; aggiungere i pomodori a piccoli pezzi, dopo aver tolto buccia e semi; lasciar cuocere per una decina di minuti quindi unire i frutti di mare tolti dall’acqua di riposo e passati velocemente sotto l’acqua fresca; coprire e alzare la fiamma , scuotendo ogni tanto il tegame affinché il calore raggiunga tutti i molluschi; dopo qualche minuto aggiungere il vino e lasciar insaporire per un’altra decina di minuti, mescolando dolcemente. Servire con i crostoni.




* In origine la zuppa tipica di Lerici era fatta solo con i datteri di mare. Tuttavia l’intera Europa da anni ne ha vietato la pesca perché, per raccoglierli, è necessario distruggere grandi quantità di roccia (lì hanno la loro “casa”), danneggiando irrimediabilmente l’eco-sistema marino.


La Mescciüa o mesc-ciüa,

È una zuppa di legumi e cereali, tipica di La Spezia, che si consuma bollente nella stagione, fredda e tiepida in estate. Il nome, che può essere scritto almeno in tre modi – il terzo, rispetto ai due del titolino,  elimina una “c” e diventa  mes-ciüa – significa mescolanza. Nasce, questa minestra, dalla determinazione e fantasia delle donne spezzine che s’ingegnavano per mettere in tavola un piatto nutriente nonostante il portafoglio vuoto (o quasi). Così – si racconta -  andavano sulle banchine del porto, dove lavoravano capifamiglia, figli, fratelli, e raccoglievano con cura tutti i “chicchi” che cadevano dai sacchi di juta durante carico e scarico.




200 g di ceci – 200 g di fagioli cannellini – 200 g di farro (oppure orzo o grano) – olio extravergine d’oliva – sale e pepe*

Sciacquare accuratamente, mettere a bagno legumi e cereali, separatamente e in acqua a temperatura ambiente: i ceci necessitano di un ammollo di circa 24 ore, per i fagioli basta una notte, per il farro è sufficiente un’oretta e, se perlato, non necessita di alcun ammollo. È anche indispensabile cuocerli separatamente, ricordando che vanno messi sul fuoco con l’acqua di ammollo e che il sale va aggiunto solo a cottura quasi ultimata per evitare l’indurimento delle bucce. Per quanto riguarda la cottura: ceci, 2 ore abbondanti; fagioli, 1 ora o 1ora e mezza a seconda della varietà;   farro, intorno ai 40 minuti.
A cottura quasi ultimata scolare ceci e farro e unirli ai fagioli ancora sul fuoco e nel loro brodo, salare, lasciar cuocere e amalgamare il tutto per una decina di minuti: la zuppa dovrà risultare piuttosto consistente. Scodellare e servire mettendo a disposizione olio extra vergine di oliva e pepe da macinare al momento. Come detto, questa zuppa è deliziosa anche se servita tiepida.



Pasta co-i coi e co-e patatte*
Pasta con i cavoli e con le patate





200 g pasta corta –1 cavolo nero piccolo –200 g patate
100 g parmigiano reggiano grattugiato
1 bicchiere di olio extravergine di oliva - sale e pepe q.b.

Lavare il cavolo, togliere le coste e le foglie più dure, tagliare a strisce le rimanenti e lessarle in acqua salata. A metà cottura aggiungere le patate a pezzi e la pasta. Scolare il tutto e condire con olio crudo. Cospargere di parmigiano grattugiato.

*Questo piatto può essere consumato in zuppa con i crostini e come secondo in insalata, ben condito.



Preboggiòn
Prebuggiùn




Il preboggiòn  è una miscellanea di erbe spontanee la cui composizione varia a seconda del periodo in cui vengono raccolte. Il momento più ricco è la primavera, quando piogge abbondanti lasciano il posto al sole che riscalda e però anche le erbette d’autunno sono assai apprezzabili.

Il nome, secondo una scuola di pensiero, deriverebbe dal termine dialettale pre-boggi, che sta per “bollire prima”, indicando con ciò che le erbe devono essere bollite prima di essere utilizzate. L’immancabile leggenda, invece, fa risalire il nome addirittura alla Prima Crociata intorno al 1100 d.C., quando, per curare il condottiero Goffredo di Buglione, furono raccolte varie erbe selvatiche, evidentemente con proprietà curative: da qui pe-buggiùn , cioè “per Buglione”.

Indicativamente le varietà più comunemente raccolte per il preboggiòn: ratalégue (Reichardia picroides) ovvero grattalingua; dente de càn (Taraxacum officinalis), noto anche come dente di leone o piscialetto (per l'effetto diuretico); denti de cuniggio (Hyoseris radiata) ovvero denti di coniglio; scixerboa (Sonchus oleraceus); pimpinella (Sanguisorba minor), detta anche erba noxe per il sapore simile a quello della noce; boraxe (Borago officinalis), cioè borragine; ortiga (Dioica); papàvau (Papaver roeas); gê (bietole).


Preboggiòn e fugassette
Preboggiòn e focaccette*




1 kg di preboggiòn – 400 g di pasta da pane lievitata – 2 patate
1 spicchio d’aglio – 1 acciuga sotto sale
2 bicchieri d’olio extravergine di oliva - sale q.b.

Pulire, lavare e lessare il preboggiòn unendo le patate sbucciate e taglate a pezzetti. Scolare bene e insaporire in padella con l’aglio tritato e i filetti di acciuga (spinata e dissalata). Tagliare la pasta da pane a pezzi e stenderla con le dita. Lasciare lievitare una mezz’ora, quindi friggerla. Servire in unico piatto focaccette e verdura saltata.
 
Nota - *La pasta per le focaccette può essere acquistata pronta, sia nei panifici sia nei supermercati.


Bacaà àa manéa spezina

Baccalà alla spezzina




1kg di baccalà bagnato – 300 g di bietole – una cipolla bianca
250 g di pomodoro passato – un pomodoro intero
olio extravergine di oliva – sale q.b.

Scottare in poca acqua bollente e leggermente salata le bietole e cuocere a parte (circa10 minuti) il baccalà spellato e accuratamente privato delle lische.  Soffriggere in un tegame la cipolla affettata fine per una decina di minuti (senza farla scurire), aggiungere le bietole scolate e tagliate a pezzetti, poi il baccalà anch’esso a pezzi. Unire infine la passata di pomodoro e il pomodoro (ben maturo) ridotto a dadini; mescolare bene e cuocere a fuoco lento per 10-15 minuti.

Nota -Il baccalà richiede una cottura breve per restare morbido: è bene dunque assaggiarlo per determinare il tempo corretto, cioè per evitare che risulti stopposo. 


Bacallé friti
Frittelle di baccalà




400 g di baccalà bagnato – 200 g di farina bianca –  1 bicchiere di birra
1 cucchiaio d’olio extra vergine d’oliva per la pastella e q.b. per la frittura sale


Pulire e diliscare il baccalà, tagliarlo a pezzetti. Preparare la pastella con la farina, il cucchiaio d’olio, birra e sale; farla riposare almeno due ore. Intingere i pezzetti di baccalà nella pastella,  friggerli in olio caldo, scolarli bene e appoggiarli su carta assorbente.




Torta di riso dolce




400 g di riso* – 800 g di zucchero –11 uova
buccia grattugiata di un limone di giardino – un litro e mezzo di latte alchermes e anice    due pizzichi di sale  – burro per ungere la teglia
 sfoglia (solo sotto)

Riservare un bicchiere di latte e un uovo per la sfoglia; cuocere il riso nel restante latte con lo zucchero e un pizzico di sale; a cottura ultimata mettere il riso in una terrina e lasciar raffreddare; mentre il riso si raffredda, preparare la sfoglia lavorando rapidamente farina, uovo, latte e un pizzichino di sale; quando ha raggiunto la temperatura ambiente, aggiungere al riso le dieci uova ben battute con la scorza grattugiata del limone e mescolare accuratamente; profumare il composto con mezzo bicchierino di alchermes e mezzo di anice. Stendere la sfoglia in una teglia imburrata e farcirla con il composto di riso stendendolo bene; piegare l’orlo della sfoglia rigirandolo a pieghine con le dita. Infornare in forno preriscaldato a 180°C fin quando non si forma la classica crosticina dorata (grosso modo dai 30 ai 40 minuti).

*Nota: Il riso più adatto alla preparazione di dolci è la varietà S. Andrea






Qui sono io, seduta accanto ad una finestra aperta, su un balcone, (...), in una giornata infuocata che potrei anche descrivere - ma come descrivere le colline, le alte case, rosa, gialle, bianche, e un mare vero, e non immaginario, d’un color viola scuro, senza onde rollanti, diverso dal mio mare ma con increspature della superficie qua e là, come quelle che attraversano un campo di grano, o il dorso di un cavallo da corsa!...”

(Virgina Woolf, “To Ethel Smyth”, 18 maggio 1933)


Grazie

e i libri

Mary Shelley, Il segreto di Falkner
Traduzione e cura di Elena Tregnaghi
Collana I grandi inediti, diretta da Giorgio Leonardi
Edizioni della Sera, novembre 2017

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Cucina Ligure
a cura di
 Emanuela Gentile Martini e Federica Isoppo
Coordinamento editoriale di Claudia Martini
Alpicella Cooperativa