Questa
storia ha inizio con gli Arabi che, intorno all’anno Mille, conquistarono la
maggiore isola del Mediterraneo, bellissima, rigogliosa, pescosa. La Sicilia.
Lì, girando in giro, si resero conto che cresceva pure con grande abbondanza
una pianta erbacea i cui semi,
essiccati e macinati, avrebbero potuto rappresentare un’ottima fonte di
alimentazione. Esperti com’erano di farine, si diedero da fare per trarne un
“prodotto” gradevolmente commestibile. E ovviamente qui scatta la leggenda.
Perché, si narra, in realtà i primi tentativi di miscela acqua-farina di ceci sarebbero
risultati fallimentari. E però un bel giorno un povero diavolo, affamato, rubò un po’ di quell’impasto
immangiabile e se lo portò a casa dove, dopo un’aggiunta di qua e una di là
(forse sale marino ed erbe aromatiche), ne fece tante fettine sottili e le
immerse nell’olio bollente per cuocerle. Erano nate le panelle: saporite,
nutrienti, poco costose. Arrivò dapprima
la popolarità e, più recentemente, il successo gastronomico, sempre in
crescendo. Un successo nato e cresciuto a Palermo. Un successo che ha
conquistato il mondo, con interessanti evoluzioni o, se vogliamo,
arricchimenti.
Con
la scoperta delle Americhe, infatti, arrivò anche in Italia la patata: altro
alimento capace di riempire la pancia a poco prezzo ma con tanta soddisfazione.
Patata bollita, schiacciata, arrotolata e fritta. Ecco in tavola le crocchette,
dette crocchè anzi “cazzilli” per
via di quella loro forma… Il tutto, ovviamente, accompagnato dal pane. Anzi,
contenuto nel pane. E, con il passare del tempo, anzi dei secoli, si arrivò
alla pagnotta che divenne il classico dei classici: la Mafalda. L’involucro (se così si può chiamare..) è un tipico
e tradizionale pane siciliano, che venne chiamato “Mafalda”, probabilmente in onore della principessa di Savoia, morta
tragicamente nel 1944 in un campo di concentramento nazista.
Riassumendo: Pane di grano duro rimacinato – la citata Mafalda – con panelle e crocchè. Il pranzo è servito. Non proprio dietetico. E infatti in tempi recenti qualche penalizzazione c’è stata.
Ecco come ricorda il percorso delle panelle Daniele Billitteri,
giornalista e scrittore, palermitano doc. E’ una bella pagina di storia.
La panelleria si giudicava con il parametro della pulizia. Era “l’affaccio”(la bella disposizione dei prodotti) che contava. Sul piano inclinato forato, che funzionava come gocciolatoio dell’olio superfluo, il panellaro riversava le panelle ancora gonfie di vapore, segno di recentissima frittura, poi riempiva le pagnotte o i mezzi pani (preferibilmente mafalde – tipica forma di pane palermitano) e poi serviva. Per accompagnare la pietanza, in ghiacciaia c’erano le gassose Partanna (famosa, ma non più esistente, fabbrica di bevande) nelle due varianti: normale e al caffè.
Il lavoro
del panellaro cominciava il mattino presto e certe volte nel pomeriggio
precedente. Cuoceva la farina di ceci come la polenta, un continuo rimestare
con un paiolo da zattera, nel suo antro buio davanti alla pentola fumante,
magari su un fuoco a legna…. Poi metteva a raffreddare l’impasto coperto con
una mappina (strofinaccio) e solo quando diventava maneggiabile, per il calore
non eccessivo, cominciava a lavorare le panelle; ma non bisognava perdere
l’attimo fuggente, perché se si aspettava troppo, l’impasto induriva e
diventava buono, tuttalpiù, per una mesta produzione di rascature (è la
rimanenza della farina di ceci cotta indurita, non più spalmabile), roba da
morti di fame,l’articolo più infimo e il meno costoso di tutta la panelleria,
da chiedere sottovoce, giusto per perversione alimentare….”
Panellari casalinghi ci si può improvvisare? Sembra
di sì secondo Donna Albuccia che ci regala la sua ricetta.
Panelle
Suggerimento: per un primo
esperimento puntare su dose moderata, tanto per vedere l’effetto che fa…
400 g di farina di ceci – 1,25 l di acqua - sale e
pepe - prezzemolo tritato
olio di semi d’arachide per la frittura
In una casseruola di
dimensioni adeguate sciogliere la farina di ceci nell’acqua fredda,
moderatamente salata, facendo molta attenzione a che non si formino grumi;
porre la casseruola su fuoco dolce e portare a ebollizione continuando a
mescolare con la paletta di legno, sempre nello stesso senso, per ottenere una
pasta soffice e liscia. Verso fine cottura –saranno passati circa 10/15 minuti
- aggiungere il prezzemolo tritato
finemente e una macinata di pepe.. Quando la pasta si stacca dalla pentola,
versarla su una spianatoia precedentemente coperta con carta forno oleata ad
evitare che si appiccichi al
mattarello che sarà usato per spianarla a un’altezza uniforme, inferiore ai 5
mm. Appena la pasta raffredda, tagliarla a rombi di 3/4 cm di lato. Questi
vanno fritti in olio bollente fino a doratura.
Nota: per
formare le panelle si usa anche prendere la latta dell’olio di semi, togliendo
con un apriscatole base e “cappello” (in pratica di due cerchi). Riempire
questo cilindro, sulle cui pareti resiste un velo di olio di semi, con la pasta
delle panelle, pressando bene. Lasciar raffreddare e poi spingere la pasta
verso l’esterno, intera, oppure affettandola man mano.
Crocchè ovvero …cazzilli
1 kg patate vecchie a pasta bianca - Maizena q.b. –
sale e pepe
prezzemolo
tritato – olio di semi d’arachide per la frittura
Patate ben lavate e con buccia in acqua fredda salata. Portare a bollore e controllare la cottura con una forchetta o spiedino. Sbucciare le patate quando sono ancora ben calde e passarle immediatamente allo schiacciapatate. Assaggiare e, se necessario, aggiustare di sale, dare una macinata di pepe e unire il prezzemolo tritato finemente. Aggiungere infine la Maizena. Lavorare il tutto con cura fino a ottenere un impasto il più possibile amalgamato e quindi formare dei piccoli cilindri della larghezza e lunghezza di un dito medio.
Per
quanto riguarda la fase di frittura, in assenza di uovo c’è il rischio che le
crocchette si disintegrino nell’olio. Per evitare questo inconveniente, è utile
usare la classica padella di ferro con un’adeguata quantità di olio che verrà
portato a 180°C, quindi ben bollente, in modo che sfrigoli ma non abbia
raggiunto il punto di fumo. E’ inoltre importante che le crocchette vadano in
immersione, non siano toccate ma, se necessario, siano rivoltate delicatamente con l’aiuto di bacchette
di legno. Infine, non affastellarle
nel tegame ma limitarsi a friggerne tre o quattro per volta. Posare su carta
assorbente.
Nota - Se,
nonostante tutti gli accorgimenti, le prime crocchette andassero in briciole o diventassero troppo molli
avendo assorbito l’olio, si può adottare un altro metodo, di tradizione nella
Sicilia orientale: si passano nel bianco d’uovo battuto e poi nel pangrattato.
Questo risolverà tutti i problemi.
Conclusione
Se
i vostri tentativi di fare concorrenza ai panellari avesse successo, fate un
passo in più: cercate le Mafalde, magari con la giuggiulena (semi di sesamo!) e
riempitele con tutto il ben di dio che avete cucinato. Poi andatevene a passeggio
addentando il ricco panino. Farete invidia al mondo che vi osserva e vi circonda.