“Chi mai sì duro o sì invido non lodasse Pippo architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani, fatta senza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto?....”
(Leon
Battista Alberti, De Pictura)
“Pippo
architetto” è il magnifico Filippo Brunelleschi, orafo, architetto, inventore
della “prospettiva”, artefice della più grande cupola in muratura mai costruita
al mondo. Era il 1420 quando iniziarono i lavori di quella ardita struttura che
doveva coprire la crociera del Duomo di Firenze – Santa Maria del Fiore – che
da più di cent’anni attendeva il “cappello”. Ma l’attesa era valsa la pena.
Ecco come Giorgio Vasari – anch’egli pittore, architetto e autorevole storico dell’arte – descrive Brunelleschi.
“Molti sono creati dalla natura piccoli di persona
e di fattezze, che hanno l’animo pieno
di tanta grandezza et il cuore di sì smisurata terribilità, che se non
cominciano cose difficili e quasi impossibili e quelle non rendono finite con
meraviglia di chi le vede, mai non dànno requie alla vita loro. E tante cose,
quante l’occasione mette nelle mani di questi, per vili e basse che elle si
siano, le fanno essi divenire in pregio et altezza. Laonde mai non si doverebbe
torcere il muso, quando s’incontra in persone che in aspetto non hanno quella
prima grazia o venustà, che dovrebbe dare la natura nel venire al mondo a chi
opera in qualche virtù, perché non è dubbio che sotto le zolle della terra si
ascondono le vene dell’oro. E
molte volte nasce in questi che sono di sparutissime forme, tanta generosità d’animo
e tanta sincerità di cuore che, sendo mescolata la nobiltà con esse, non può
sperarsi da loro se non grandissime meraviglie; perciò che e’ si sforzano di
abbellire la bruttezza del corpo con la virtù dell’ingegno, come apertamente si
vide in Filippo di Ser Brunellesco, sparuto de la persona non meno che Messer
Forese da Rabatta e Giotto; ma di ingegno tanto elevato che ben si può dire che
e’ ci fu donato dal cielo per dar nuova forma alla architettura, già per
centinaia d’anni smarrita. …”
Perché parliamo di Brunelleschi e della sua cupola? Perché proprio durante i lavori è nato un piatto di carne molto gustoso. E a noi lo propone un amico, fiesolano-fiorentino per nascita ma milanese d’adozione, uomo di penna e di fornelli (penna per i lettori e fornelli per gli amici).
IL PEPOSO
Breve
storia: il Peposo nasce dalla poverta' e dalla fame dei fornacini, gli
operai che lavorano per il geniale
Filippo Brunelleschi. Siamo nella città dei Medici, all'inizio di quel
Rinascimento che culminerà nell'età d'oro di Lorenzo il Magnifico. Ma per
questi fornacini dell'Impruneta addetti alla cottura dei mattoni necessari per la
costruzione della cupola, la vita è dura. Per nutrirsi hanno solo del muscolo
poco costoso e un po' tiglioso. Lo mettono a cuocere a lungo negli angoli delle
fornaci insieme ai mattoni. Pagati poco, pochissimo, il lavoro duro. Alcuni di
loro imbastiscono una forma di astensione dal lavoro. Per qualche giorno.
Facendo infuriare Messer Pippo che non tollera contrarietà e insubordinazioni.
Fatto
sta che la carne messa da parte si guasta. Buttarla via non è pensabile per i
poveri fornacini che così s'industriano a trovare una soluzione: aggiungono
pepe, molto e in grani grossi, che nasconde il cattivo odore. Nasce cosi il Peposo
alla fornacina.
Ricetta e testimonianza storica di Lorenzo Fuccaro
1200 g
di sottofesa anteriore o reale scelto di bovino adulto
1 bouquet composto da rosmarino, salvia, foglie di alloro
4 spicchi d’aglio – 25 grani di pepe nero
1 bottiglia Chianti classico (0,75 l) – sale q.b.
1 cucchiaio di farina di riso (facoltativa)
(ingredienti per 6/8 persone)
(ingredienti per 6/8 persone)
Tagliare la carne in dadi delle dimensioni di circa 3 cm per lato.
In una casseruola (preferibilmente di coccio o di ghisa spessa) porre la carne, i chicchi di pepe, il mazzetto di aromi, l'aglio e aggiungere il vino.
Mettere su fuoco dolce e portare a ebollizione il liquido, in modo che evapori l'alcool. Abbassare la fiamma, coprire con un coperchio a perfetta tenuta e lasciar cuocere lentamente per almeno tre ore, controllando la consistenza del liquido.
Quasi a termine cottura, aggiustare di sale.
Qualora lo si ritenga necessario o si gradisca un sugo leggermente denso, si suggerisce di aggiungere un paio di cucchiai da minestra di farina di riso.
Nota: Questo piatto non prevede l’utilizzo di grassi, quindi è bene scegliere carne con venature affinché mantenga la morbidezza in cottura. In alcune ricette viene indicato anche il pomodoro. Cercando, per quanto possibile, di rispettare la storia dei "piatti" va forse ricordato che il pomodoro è arrivato i Italia solo nel XVI secolo e si è imposto in cucina ben più avanti.
Per servire, una buona polenta di farina di mais bramata oro (grana grossa) oppure puré di patate mantenuto cremoso ma non molle. Oppure... come al solito, libero arbitrio!
Grazie alle fonti