…”Orsù,
tutti coloro che hanno bevuto qualche sorsata di troppo alla coppa della voluttà,
coloro che hanno passato lavorando buona parte del tempo che si dovrebbe
dedicare al riposo, gli uomini di ingegno che si sentono temporaneamente
diventati stupidi, coloro che trovano l’aria troppo umida, il tempo troppo
lungo e l’atmosfera difficile da sopportare, coloro che si sentono tormentati
da un’idea fissa che toglie loro la libertà di pensare, tutti costoro, dicevo,
provino un buon mezzolitro di cioccolato ambrato nelle proporzioni di settanta -
settantadue grammi di ambra ogni mezzo litro, e vedranno miracoli.”…
La
cioccolata. Un dono della natura, trasformato dall’uomo in prelibatezza, in
certezza di conforto, in vizio, in vezzo di moda…
Tutto nasce da un albero antichissimo, sempreverde, amante del calore e dell’umidità e che, non a caso, mette radici nel Centro-Sud America (esattamente dove, non si sa). È bello con quelle foglie che si orientano secondo l’intensità della luce e i frutti che ricordano un cedro allungato e la buccia che cambia più colori con il processo di maturazione e che custodisce fino a 40 semi, ricchi di promesse e potenzialità.
Tutto nasce da un albero antichissimo, sempreverde, amante del calore e dell’umidità e che, non a caso, mette radici nel Centro-Sud America (esattamente dove, non si sa). È bello con quelle foglie che si orientano secondo l’intensità della luce e i frutti che ricordano un cedro allungato e la buccia che cambia più colori con il processo di maturazione e che custodisce fino a 40 semi, ricchi di promesse e potenzialità.
Dapprima gli
Olmechi, quindi i Maya e gli Aztechi, capiscono che un albero che ha sfidato il
tempo deve essere speciale. E proprio i Maya ne iniziano la coltivazione
sistematica nello Yucatán, Chiapas e Guatemala intorno all’anno 1000 a.C.. E poi seguono gli Aztechi, che non solo trasformano i semi in bevanda
ma anche li usano come moneta, ad esempio per comperare gli schiavi: 100 semi,
uno schiavo. Poi arrivano, da altri mondi, arditi viaggiatori e conquistatori.
Come Cristoforo Colombo, navigatore in pace, e lo spagnolo Hernán Cortés, anzi
Cortés Monroy Pizarro Altamirano, che abbatte e sottomette l'Impero azteco al
Regno di Spagna. El Conquistador,
però, fra una zampata e l’altra, fa arrivare in patria (fra
l’altro) un carico di semi dell’albero magico.
Ma qual è il
nome di quest’albero? Il primo in assoluto discende dai semi ed è molto
significativo: Amygdalae pecuniaria,
ovvero Mandorla di denaro. Per gli aztechi è semplicemente Xocoatl Cacauatl: e poiché
in lingua Nahuatl la X si legge “sc” il risultato fonico è “sciocoatl” e il
passaggio a cioccolato è quasi
scontato così come evidente appare il termine Cacao.
Il salto di
qualità, lo status, arrivano secoli dopo, esattamente nel 1735, con Carl Nilsson Linnaeus, il naturalista, medico, botanico svedese
che ha messo ordine, anzi rivoluzionato, il sistema di nomenclatura degli
organismi viventi. Linnaeus
attribuisce all’albero un nome importante: Theobroma Cacao L. dove
Theobroma significa Cibo degli dei dal greco Theos (= Dio) e broma ( = cibo). E gli aggiunge un cognome importante,
perché la lettera “L.” sta per Linnaeus.
Carl Nilsson Linnaeus, nato nel 1707 in Svezia, in una fattoria nella contea di Kronoberg, sarebbe dovuto diventare un ecclesiastico e invece si dedica allo studio della medicina e, soprattutto, delle sostanze medicinali usate in quei tempi, quasi tutte di origine vegetale, viaggiando in tutto il mondo. Nel 1739 è tra i fondatori dell’Accademia reale svedese delle scienze e nel 1761 il re Adolfo Federico di Svezia gli conferisce un titolo nobiliare, a seguito del quale converte il suo nome in Carl von Linné.
La sua vita, che ha
regalato al mondo la possibilità di conoscere e riconoscere migliaia di piante,
si conclude nel gennaio del 1778.
E questo post è per ricordarlo, rendendogli omaggio.
Un passo indietro
È il 30 luglio 1502. Cristoforo Colombo nel diario del suo quarto viaggio annota, a proposito dello scalo a Guanaja, un’isola dei Caraibi: “Un grande vascelllo indigeno con venticinque rematori venne al nostro cospetto, il loro Capo riparato sotto una tettoia ci offrì tessuti, begli oggetti di rame e mandorle che fungono da moneta e con le quali preparano una bevanda”.
Ventisei anni dopo, nel 1528, Hernán Cortés, dopo aver
conquistato il Messico, sorpreso dall’infaticabilità degli indigeni e
riconducendola alla loro alimentazione, fa arrivare in Spagna i primi sacchi di
cacao presentandoli a Carlo V e suscitando forte interesse nei botanici per
quei semi esotici. La leggenda vuole che lo stesso Imperatore Azteco, Montezuma
II, abbia fatto assaggiare a Cortés una bevanda ottenuta dai semi del frutto
dell’albero del cacao, e che questa sia stata molto apprezzata dal Conquistador, che ne intuisce subito le potenzialità.
All’origine, infatti, è usata solo la polpa del frutto mentre i semi sono scartati. In un secondo tempo l’attenzione si sposta proprio su questi semi che però, per l’utilizzo, subiscono un trattamento a più stadi: prima la fermentazione, poi la tostatura, quindi la pestatura fino alla riduzione in polpa e l’aggiunta di spezie. Al termine di tutto ciò, la polpa è diluita con acqua e battuta con una frusta a mulinello fino a ottenere una miscela sufficientemente omogenea e perciò gradevole da bere. Dettaglio: al sovrano questa bevanda acidula e piccante è servita in bicchieri d’oro durante tutto il giorno, a piacere, mentre il popolo deve limitarsi ad aggiungerla al “pastone” di granoturco che rappresenta il nutrimento quotidiano.
Ecco
l’antenata della cioccolata in tazza.
La
cioccolata “vera” è diventata una prelibatezza nel corso dei secoli, con
aggiustamenti avvenuti da una parte all’altra del mondo e dovuti a palati
sensibili che sono riusciti a convertire gli amari semi di un frutto dalla
polpa acidula in una bevanda dolce, profumata, corroborante. Con la rivoluzione
industriale e la conseguente evoluzione della tecnica pasticciera, poi, si
inaugura l’era delle tavolette da sgranocchiare: la prima è prodotta nel 1828.
Da questa alle pralines e ai
cioccolatini di forme e consistenze varie, il passo è breve.
Il Convento di Santo Domingo, Oaxaca, Messico
Interventi di palati raffinati, si diceva. Qui entrano in scena i monasteri, luoghi da sempre reputati per l’eccellenza della cucina. Non si deve scordare, infatti, che i conventi ospitavano o davano ospitalità a dame e gentiluomini di alto lignaggio, abituati al benessere totale. Sono, certamente sotto il profilo culinario, “rifugi” a cinque stelle.
Si
racconta che ad alcune suore missionarie del Convento di Oaxaca, in Messico,
venga l’idea di zuccherare la ormai famosa bevanda, con aggiunta anche di
latte, rendendola così ben più
gradevole. D’altra parte, il tempo
passa e questo cacao sotto forma liquida conquista sempre più adepti. Anche
perché è ormai diffusa la voce che il “cibo degli dei” sia di grande aiuto
all’attività sessuale. Si dice, ad esempio, che il potente Montezuma sorbisse sempre cioccolata prima di incontrare le sue mogli e "preferite". E però proprio
la tanto declamata induzione alla lussuria, che appare contagiosa, rischia di
fermare la marcia trionfale della cioccolata. Alcune alte sfere del Clero,
infatti, non ne gradiscono l’aspetto pagano e libertino e ne vietano il consumo
ai monaci. Ma un autorevole
esponente di queste alte sfere, il cardinal Francesco Maria Brancaccio, nobile
per origine, membro della Congregazione del Santo Uffizio, contrasta
pubblicamente la censura. Nel 1664 dà alle stampe un trattato “De Chocolatis Potu, diatribe” (La tazza di
cioccolata, diatriba) nel quale difende il “brodo indiano”
sostenendo che, essendo liquido e non solido, non sia suscettibile di rompere il digiuno. Ergo deve
essere nutrimento universalmente accettato e consumato anche in periodo
quaresimale. E non si limita a
queste tesi.
Nel Trattato è anche descritto il metodo di preparazione della bevanda, con lodi finali. Il Cardinale, che (anche) con questa posizione qualche nemico se l’era fatto, candidato al soglio papale, al momento opportuno non riesce a ottenere i voti necessari per essere eletto.
Nel Trattato è anche descritto il metodo di preparazione della bevanda, con lodi finali. Il Cardinale, che (anche) con questa posizione qualche nemico se l’era fatto, candidato al soglio papale, al momento opportuno non riesce a ottenere i voti necessari per essere eletto.
Di
tutto ciò si trovano conferme più avanti nel tempo. Lo scrittore inglese Isaac
D’Israeli nel suo “Introduction of tea, coffee and chocolate”,
edito nel 1817, ricorda che l’uso
smodato di cioccolata nel XVII
secolo era in grado di suscitare insolite passioni e perciò i monaci dovevano
astenersi dal consumarla.
Intanto in Francia, Italia, Spagna, Austria, grazie
anche ai matrimoni reali “incrociati”, la cioccolata conquista i nobili salotti
di tutt’Europa. E non solo. A
Venezia, nei primi anni del XVIII secolo, accanto ai Caffè nascono le Case
della Cioccolata, dove aristocratici e intellettuali s’incontrano e dissertano
sui massimi sistemi, sorseggiando la calda e promettente bevanda. Carlo Goldoni, appassionato bevitore di
cioccolata, la citerà più di una volta nelle sue commedie, segnatamente “La bottega del caffè” e “La locandiera”.
Con la rivoluzione industriale, a
cavallo tra Settecento e Ottocento, ecco un importante salto di qualità: il
passaggio dallo stato liquido a quello solido della cioccolata. In sostanza,
dalla tazza alla tavoletta.
La nascita della tavoletta risale ai
primi anni dell’Ottocento ed è attribuita a un ingegnere italiano che, per
primo, inventa un macchinario in grado di rivoluzionare il mondo del cioccolato
, moltiplicando all’infinito i consumatori del cibo degli dei. La messa a punto
del macchinario è però dovuta agli inglesi nel 1822. E nel 1828 l’olandese Van
Houten inventò una pressa idraulica in grado di separare dalla pasta di cacao
gran parte del grasso (burro) riuscendo così ad ottenere un composto che
macinato finemente diventava “polvere”.
Quanto cacao. Quale cacao
All’inizio
del Terzo millennio, la raccolta mondiale di cacao raggiunge i quattro milioni
di tonnellate l’anno, sostanzialmente su tre tipologie/qualità di fave di
cacao.
Criollo: è la varietà più pregiata al mondo, nobile, con una
produzione che si aggira sulle 40 tonnellate annue, ovvero lo 0,0001% del
totale. Non è mai stata ibridata e quindi è quella che più si avvicina
all’originale. L’albero necessita di grandi attenzioni e cure.
Il cacao Criollo è molto
aromatico, evidenzia una dolcezza naturale e non richiede alcuna aggiunta di
emulsionanti. È prodotto in Venezuela, Messico, Ecuador.
Forastero: fa la parte del leone con una forte produzione concentrata
soprattutto in Brasile e nell’Africa Occidentale. È la varietà meno pregiata
anche perché generalmente poco
aromatica, fatta eccezione per la
“Arriba” che è coltivata solo in
Ecuador.
Il cacao Forastero è soprattutto utilizzato per la
produzione industriale.
Trinitario: è un ibrido tra le due
varietà precedenti e rappresenta circa l’8% della produzione globale.
L’ibridazione consente il mantenimento delle proprietà aromatiche del Criollo,
mentre del Forastero conserva l’alta produzione e l’adattabilità. È molto ricercato dai cioccolatieri per
ricchezza di aroma e particolarità del gusto.
Un alleato di cuore e cervello
L’elenco delle sostanze benefiche è
lungo e ne diamo le indicazioni principali. Il cacao contiene proteine, lipidi, glucidi, diversi sali minerali e
vitamine del gruppo B. Inoltre, serotonina, tiramina, caffeina, teobromina e
feniletilamina.
Gli antiossidanti del cacao aiutano a combattere l’azione dei radicali liberi,
mentre teobromina e caffeina aiutano a mantenere la concentrazione. La
serotonina è importante per la memoria, unitamente alla tiramina, ed è utile per controllare i disturbi d’ansia.
E, dulcis in fundo, la feniletilammina, neurotrasmettitore legato alle
sensazioni di piacere che, come tale soddisfa stimoli quali pulsione erotica,
sete e fame. È anche definito l’ormone dell’amore o dell’innamoramento. Forse
non è un caso che Giacomo Casanova fosse un grande, costante estimatore della
cioccolata.
Recenti studi, inoltre, mettono in
evidenza che il cioccolato fondente, se consumato regolarmente e con
parsimonia, è un valido aiuto al dimagrimento. Chi l’avrebbe mai detto?
Una controindicazione comunque c’è: cioccolato
e cacao sono controindicati in chi soffre di ernia iatale.
Gli Oscar
Il Cru: Questo termine viene usato per
indicare quei tipi di cacao monorigine selezionati direttamente nelle
piantagioni e usati per un
solo tipo di cioccolato, cioè quello finissimo (pregiato). Il Cru è lavorato a una temperatura che
non supera i 42°C, soglia al di sotto della quale tutti i principî attivi e i valori restano intatti. I Paesi di produzione più
importanti sono Madagascar, Ghana e Trinidad ma il “top” proviene da Ecuador,
Giamaica e Sumatra.
Il cacao Cru è il più amato dagli
intenditori.
Il cioccolato artigianale: una produzione
d’eccellenza si trova in Italia, come in altri Paesi e Continenti. Tuttavia,
secondo il New York Times, il
migliore cioccolato artigianale al mondo si chiama “Marou” e nasce in una piccola fabbrica situata alla periferia di Ho
Chi Minh City, in Vietnam, con cacao Trinitario e fave raccolte singolarmente,
a mano, nella piantagione dell’isola di Phu Tan Dong, sul Delta del Mekong. I
“Maestri cioccolatieri” sono Samuel Maruta, franco-giapponese, sbarcato in
Vietnam come insegnante e Vincent Marou, precedentemente “executive”
pubblicitario.
I vanti
italiani
Nel
1852, Michel Prochet, piemontese, artigiano del cioccolato, crea
l’impasto gianduia dal quale, nel 1865,
nasce il primo gandujotto sotto l'insegna Caffarel-Prochet.
A distanza
di più di 150 anni, l’azienda originariamente creata da Pier Paul Caffarel, nato
nelle valli Occitane Valdesi e entrata nel 1997 a
far parte del gruppo Lindt&Sprüngli, nella fabbrica di Luserna San
Giovanni registra una produzione annua di 40 milioni di gianduiotti.
La praline - Si chiama Ferrero Rocher la praline più nota e più venduta al mondo.
Top best 25 - Domori, unico italiano
tra i "Top Best 25" produttori di cioccolato mondiali.
È il verdetto emesso da The Chocolate Tester, la bibbia del cioccolato di Georg Bernardini. La valutazione ha riguardato 550 marchi di 70 paesi per una degustazione di 4000 prodotti.
È il verdetto emesso da The Chocolate Tester, la bibbia del cioccolato di Georg Bernardini. La valutazione ha riguardato 550 marchi di 70 paesi per una degustazione di 4000 prodotti.
Le ricette
Che cioccolato scegliamo? Naturalmente un cioccolato di qualità, per pasticceria o coperture, senza lecitina e altri grassi, salvo il burro di cacao. Con queste percentuali:
Cioccolato nero al 70% per dolci in generale (torte da forno, da frigo, dolcetti, etc. etc)
Cioccolato nero da 50% a 65% per le mousses
Cioccolato da copertura per le ganaches
La cioccolata in tazza
Chocolat chaud
… in Francia, ricetta di Sébastien Bauer*
550 g latte intero – 150 g cioccolato nero superiore
al 70%
1/2 baccello di vaniglia - 200
g crema chantilly
Incidere in
lunghezza la metà di un baccello di vaniglia e raschiarne delicatamente i semi.
In un pentolino di misura adeguata mettere il latte, il baccello e i semi di
vaniglia, portare a bollore e lasciar in infusione per qualche minuto, poi
togliere il baccello. Aggiungere
il cioccolato grattugiato o in pezzettini, battendo con una frusta. Una volta
prodotta una miscela perfettamente liscia, si può decidere se continuare o meno
la cottura: tanto più lunga sarà, tanto più densa e vellutata diventerà la
cioccolata.
Servire ben
calda, accompagnandola con crema chantilly.
*Sébastien
Bauer è chef patissier da
“Angelina”, storico salone da thé aperto nel 1903 al 226 di rue de Rivoli a
Parigi dal maestro pasticcere austriaco Antoine Rumpelmayer.
Chocolate a la
taza
… in Spagna*
500 ml acqua minerale
naturale – 50 g zucchero
25 g cacao in polvere - 150 g cioccolato fondente minimo
67%
Mettere
l’acqua in un pentolino, aggiungere subito lo zucchero e farlo sciogliere su
fuoco basso: saranno sufficienti da uno a due minuti. Aggiungere il cacao
battendo con una frusta fino a ottenere una miscela perfettamente liscia. In
una grossa ciotola
mettere il
cioccolato ridotto in pezzettini e versarvi sopra, in tre volte, il contenuto
del pentolino, mescolando molto bene con la frusta fin quando il cioccolato non
sia fuso e integrato nella miscela di cacao. Versare il tutto nel pentolino, rimettere su fiamma dolce e
portare a ebollizione senza smettere di mescolare.
Utilizzare
una cioccolatiera per servire.
* In Spagna la tendenza è quella di preparare la cioccolata
con acqua fresca, cioè usando l’antico metodo, l’unico accettato dai “puristi”.
La barbajada
… specialità milanese*
300 ml acqua – 60 g cacao
amaro – 200 ml circa latte
200 ml circa caffè
- 80 g zucchero
In un pentolino mettere il cacao e aggiungere l’acqua a
filo, mescolando con cura per evitare la formazione di grumi. Porre su fiamma
dolce e portare a bollore battendo la miscela con una frusta o mulinello.
Quando il composto inizierà ad addensarsi, spegnere il fuoco e misurarne la
quantità. Aggiungere la stessa dose di latte e di caffè e zuccherare. Rimettere
sul fuoco mescolando con vigore sempre con la frusta fin quando si formerà una bella schiuma.
Servire la preparazione ben calda d’inverno e fresca
d’estate.
* Questa “cioccolata” in
voga nella Milano ottocentesca, prende il nome da Domenico Barbaja, impresario teatrale italiano, uno
dei più grandi di tutti i tempi. A lui si deve la celebrità dei maggiori
operisti dell’Ottocento fra i quali Gioacchino Rossini, Gaetano Donizatti,
Vincezo Bellini. La sua carriera inizia come cameriere in un caffè
milanese dove prende il via la sua fortuna, essendo il primo a servire (prendendosene la
paternità) un particolare tipo di caffè con schiuma di latte, probabilmente il
primo "cappuccino". Questa bevanda, che viene battezzata barbajada e ha una variante con
cioccolato caldo, diventa così popolare a Milano che Domenico, da cameriere
qual è, in breve tempo riesce ad aprire una serie di caffè che servono la nuova bevanda. E, famoso, resta il Caffè
dei virtuosi, a fianco del Teatro alla Scala.
Barbaja amplia la sua
attività comprando e vendendo munizioni durante le guerre napoleoniche. In
seguito riesce a ottenere l'appalto del gioco d'azzardo alla Scala e inizia a divenire molto ricco. Da questa
posizione parte la sua storia d’impresario. Nel tempo gestisce alcuni dei teatri più importanti di allora
e di oggi: la Scala di Milano, il San Carlo di Napoli (dal 1809 al 1840), rendendo quest’ultimo uno dei teatri più
importanti del mondo.
Bonet all’astigiana*
4 uova – 100 g amaretti –
125 g zucchero – 1 cucchiaino cacao amaro mezzo litro di latte – 1 tazzina di
caffè espresso lungo
mezzo bicchierino di rum
In una
terrina sgusciare le uova e lavorarle bene con 100 grammi di zucchero, unire
quindi gli amaretti pestati finemente, il cacao, il caffè e il latte.
Amalgamare molto bene il tutto con un cucchiaio di legno.
In una
casseruola far sciogliere 25 grammi di zucchero con un cucchiaio di acqua e,
mescolando, lasciarlo cuocere per qualche minuto finché sarà caramellato.
Versare il caramello in uno stampo da budino inumidito leggermente con acqua
fredda. Versarvi il composto e cuocere la preparazione a bagno-maria per circa
30 minuti in forno caldo a 150 °C.
Lasciare
raffreddare, quindi sformare il “bonet”
su un piatto da portata.
* Dal libro “Le migliori ricette della
scuola del Gritti” a cura di Massimo Alberini
250 g cioccolato nero (da 50
a 65% di cacao) – 4 uova
1 pizzico di sale - 1 cucchiaino di caffè
Far fondere
a bagno-maria il cioccolato tagliato a pezzetti e versarlo in una terrina.
Separare il rosso dal bianco delle uova. Aggiungere i tuorli al cioccolato
fuso, mescolando accuratamente; montare a neve ferma gli albumi*; preparare un
caffè espresso, prelevarne un cucchiaino e unirlo alla miscela. Mescolare.
Infine aggiungere poco per volta gli albumi a neve, amalgamandoli delicatamente
con un movimento rotatorio dal basso verso l’alto. Porre in frigorifero per
almeno tre ore in un contenitore che possa andare in tavola oppure ripartire la
mousse tra diverse ciotoline.
* Per
montare gli albumi a neve, è preferibile aggiungere un paio di cucchiaini di
zucchero a velo piuttosto che il consueto pizzico di sale: la consistenza
durerà più a lungo. Inoltre, se si usa un mini-pimer, è consigliabile partire
da una velocità bassa e aumentarla man mano che gli albumi “crescono”.
300 g cioccolato amaro – 2
tazze caffè molto forte – 70 g burro
2 cucchiai Cognac – 8 uova -
5 cucchiai zucchero
scorza di limone
Fondere a
bagno-maria in una terrina il cioccolato amaro con due tazze di caffè molto
forte – fare un caffè e poi rifarlo usando questo caffè al posto dell’acqua –
il burro, il Cognac, la scorza di limone. Fuori dal fuoco aggiungere, un po’
alla volta, lo zucchero e otto tuorli d’uovo. A parte, montare a neve ferma gli
albumi, con un paio di cucchiai di zucchero e un cucchiaino di cannella in
polvere. Incorporarli delicatamente al cioccolato. Sistemare la mousse in coppette e farle
raffreddare per un paio d’ore. Servire
accompagnate da un cucchiaino di chantilly
e qualche biscottino (ideali le lingue
di gatto).
* dal libro “La cucina impudica” di Anonimo
Torta Caprese
300 g cioccolato fondente
(almeno 65% cacao) – 300 g mandorle pelate
200 g burro – 8 uova
250 g zucchero semolato – 75
g zucchero a velo – 1 pizzico sale
qualche goccia di estratto
di vaniglia Bourbon
buccia grattugiata di mezza arancia
Sciogliere a
bagno-maria cioccolato e burro insieme.in modo da ridurle Tostare leggermente
le mandorle in forno e ridurle in farina piuttosto granulosa. Mischiare
mandorle tritate , zucchero, sale e rossi d’uovo. Aggiungere cioccolato e burro
fusi, lasciati raffreddare. Montare le chiare a neve e aggiungerle
delicatamente all’impasto, che sarà infine sistemato in una teglia rotonda
svasata da 28/30 cm, rivestita di carta da forno leggermente imburrata. Quindi
in forno preriscaldato per 35/40 minuti dei quali i primi dieci minuti a 200°C
e i restanti a 175/180°C.
Note
1)Le
mandorle devono essere tostate ma non devono assolutamente scurire perché
diventerebbero amare. Bastano quindi pochi minuti in forno a 180°C,
rivoltandole almeno una volta.
2) Prima di
passare le mandorle nel mini-robot o frullatore è buona norma mettere in
freezer per una mezz’ora le mandorle o (se possibile) le lame del robot. Questa
operazione fa sì che non si verifichi un
surriscaldamento che causerebbe la produzione e fuoruscita dalle
mandorle di olî suscettibili di alterarne il sapore.
3) La torta
caprese deve essere piuttosto bassa.
100g farina – 100g zucchero semolato – 4
uova – 130 g burro
100 g cioccolato fondente –
4/5 carote – 100 g mandorle tritate
1 cucchiaino lievito per
dolci – zucchero a velo
Montare il burro
con lo zucchero semolato finché diventa gonfio e spumoso; incorporare un uovo
alla volta, aspettando che il primo sia ben amalgamato prima di aggiungere il
secondo.
Setacciare
la farina con il lievito e aggiungerla al composto poco per volta. A questo
punto aggiungere le carote grattugiate, le mandorle tritate e il cioccolato
fondente pure grattugiato.
Versare
l’impasto in una teglia da torta, rivestita con carta da forno leggermente
imburrata e infornare in forno pre-riscaldato a180°C per 45 minuti. A termine cottura, lasciar raffreddare
e servire cospargendo la torta con abbondante zucchero a velo.
Nota – In
caso di intolleranze al glutine è
sufficiente sostituire la farina di grano tenero con una farina
gluten-free speciale per dolci lievitati.
“La forza è la capacità di
spezzare in quattro pezzi una tavoletta di cioccolato a mani nude e…mangiarne
uno solo”
Judith Viorst, psicoanalista,
scrittrice, giornalista
Grazie
e i libri
“Storia e
storie di Cioccolato” a cura di Tommaso
Lucchetti
edito nel 2011
da Confartigianato per il
decennale di Choco Marche
“Le migliori
ricette della scuola del Gritti”,
a cura di Massimo Alberini
Edizioni Acanthus, giugno
1987
François-Régis Gaudry & Ses Amis
“On va déguster la France”
Hachette Livre (Département Marabout), 2017
Anonimo, “La cucina impudica”
prefazione di Luigi Veronelli
DeriveApprodi Editore, 2001