Sigmund Freud
Ma sì. Chi, tra noi profani,
avrebbe mai detto che la cucina fosse parte di rilievo nella vita e nel
pensiero del padre della psicoanalisi, di colui che ha scandagliato menti e
sentimenti per estirpare angosce, ansie, paure, fobie, manie, traumi psichici o
nevrosi, che sovrastano e spesso devastano donne e uomini dell’era moderna,
condizionandone l’esistenza.
Certo, a modo suo: un cibo, un
perché. La “cucina freudiana” prende forma in un libro brillante, ben
documentato, scritto da James Hillman, psicoanalista di fama internazionale, e
dato alle stampe a New York nel 1985. In Italia è stato pubblicato nel 1996 da Raffaello Cortina Editore che l'ha rilanciato nel 2016 con una nuova 1a edizione.
Da questo saggio, che intreccia
ricordi e casi clinici con una buona vena d’ironia, ho tratto qualche ricetta
godibilissima. Voglio così ricordare il dottor Freud a 161 anni dalla nascita.
Sigismund Schlomo Freud nasce il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia, al tempo dominata dall’impero asburgico, quindi nasce austriaco. Ora Freiberg si chiama Príbor e la Moravia-Slesia è una regione della Repubblica Ceca.
Sigmund – il nome se l’era
abbreviato da solo a diciannove anni - è frutto dell'unione di Jacob Freud - 40 anni -
con la ventenne Amalia Nathansohn, sua terza moglie. La famiglia, una grande
famiglia ebrea con tanti figli, nipoti, fratelli, sorelle, mariti, che vivono
insieme, molto uniti, è attiva nel commercio della lana. Sarà la crisi di
questo settore a determinare gravi problemi economici e lo spostamento prima a
Lipsia e poi a Vienna, quando Sigmund ha solo quattro anni. Crescerà in una
città già centro di cultura europea e in grande trasformazione: nel 1867 la
nuova legislazione concede al
popolo ebraico la parità nei diritti politici, abolisce i ghetti e le discriminazioni razziali. E’ una
grande svolta. Ma la ritrovata libertà segna una frattura fra le
tradizioni, anche religiose, dei “padri” e la nuova vita dei figli. Padri e
figli vanno al confronto e allo scontro.
La famiglia Freud nella Vienna Asburgica
Studente più che brillante – il
migliore - Sigmund termina il liceo nel 1873 e s’iscrive alla facoltà di
medicina di Vienna.
Il percorso professionale è
tracciato. La fama è dietro l'angolo. E continuerà, anzi se possibile si consoliderà, anche dopo la sua morte, avvenuta a Londra il 23 settembre 1939.
Raccontare di più del suo
pensiero, delle sue intuizioni, delle sue ricerche, dei suoi scritti, sarebbe
impresa ardua e impropria per questo blog.
Giusto, invece, accennare alla
vita personale. Nel 1886, già astro nascente, sposa Martha Bernais, venticinque
anni, dalla quale avrà sei figli. L’ultimogenita, Anna, seguirà le orme
paterne, focalizzando il suo lavoro sulle problematiche infantili.
Anna Freud
Torno al libro, alle ricette,
che molto ci raccontano del dottor Freud. E, a istinto, arbitrariamente, ne scelgo
due dal capitolo di apertura e tre da quello conclusivo.
Mi piace immaginare che, da
questa scelta, il grande padre
della psicanalisi potrebbe trarre qualche conclusione.
Nota importante: le “ricette”
sono raccontate così come si leggono nel libro. Mi sembra un rispetto doveroso per l’autore.
“I primi ricordi”
capitolo I
Fillettes
Mignon
“Quando ero ancora un
ragazzino, subito dopo il nostro trasferimento dalla Moravia a Vienna, mio
padre ricevette la visita misteriosa di una signora italiana tutta raggrinzita…
Fu lei a dargli la seguente ricetta, la più antica di tutta la mia collezione.
Cos’altro gli avesse rivelato, lui
non lo disse mai, a eccezione del fatto che in gioventù era stata Mignon, la
ragazza bella come una ninfa descritta da Goethe…”
“Occorre procurarsi delle fette di filetto di almeno due
dita di spessore. Riscaldare in un tegame due cucchiai da tavola di olio.
Mettere nell’olio uno spicchio d’aglio schiacciato e toglierlo non appena ha
preso un colore bruno dorato. Aggiungere uno o due pomodori affettati
sottilmente. Condire con origano fresco, sale e pepe. Aggiungere due cucchiai
da tavola di vino bianco e lasciar cuocere i pomodori per cinque minuti circa.
Nel frattempo mettere in una casseruola due cucchiai di olio e due cucchiai di
burro; non appena cominciano a scaldarsi, farvi rosolare le fette di filetto da
ambo i lati. Aggiungere subito dopo due cucchiai da tavola di cognac e lasciar cuocere per altri due minuti. Un pizzico di sale e pepe.
Servire le fillettes Mignon versandovi
sopra i pomodori.”
Uova
strapazzate alla Jauregg*
“Julius
Wagner-Jauregg, questo è il suo nome completo, era mio compagno di scuola e
rivale. Strapazzandosi continuamente per migliorare la propria posizione e
notorietà, Julius giunse a occupare il posto più prestigioso nell’ambito della
psichiatria dell’intero impero austro-ungarico, mentre io non ero ancora
nemmeno membro ordinario della facoltà. A lui venne attribuito l’unico premio
Nobel mai conferito a uno psichiatra: quanto a me, dovetti accontentarmi del
premio Goethe (e chi ne ha sentito parlare al di fuori della città di
Francoforte?) La testa di Julius orna le banconote da 500 scellini; il mio
nome, invece, fino al 1954, non sarebbe nemmeno stato ricordato con
un’iscrizione sulla casa in cui vissi!
Le mie innovazioni con
la cocaina non portarono a nulla; Julius ebbe un successo immenso grazie ai
suoi esperimenti sulla cura del cretinismo mediante lo iodio e della sifilide
mediante la febbre malarica.”
“La ricetta per le uova strapazzate alla Jauregg deriva,
credo, dagli accessi febbrili che sopravvengono durante il trattamento
malarico. La padella per friggere è tanto calda che scotta. Il burro si
scurisce subito, le uova vengono sbattute velocemente, spruzzate di peperoncino
rosso e rigirate alla svelta nella padella, ma tolte poi dal fuoco così in
fretta da rimanere leggermente striate di burro quasi marrone. E non
preoccupatevi che uova e burro combinati insieme possano restarvi sullo
stomaco. Preferireste fosse un accesso di malaria?”
* Gioco di parole sul nome Jauregg: in inglese “egg”
significa “uovo”.
“Le mie ultime ricette per l’umanità”
“Biscotti! Avrei
dovuto fare più biscotti! I
biscotti all’anice erano di grande aiuto specialmente per quei pazienti che non
capivano il significato delle favole dell’infanzia. (…..) E’ insito nella
natura umana cercare di alleviare l’angoscia dietro cui si nasconde la paura
infantile di essere mangiati. Si potrebbe pensare che un bel biscotto basti a
superare questa paura. Ma la formula bambino = biscotto genera una tale
angoscia che questa si tramuta nel bisogno compulsivo di biscotto. Così mangiare un biscotto ci salva dal
pericolo di essere divorati. (….) Un biscotto al giorno toglie l’analista di
torno…..”.
Mescolate due etti di burro fuso a mezza tazza di zucchero
di canna, due uova, un quarto di tazza di melassa, mezza tazza di Branntwein
tedesco (o qualsiasi acquavite preferiate), due cucchiai di anice, un cucchiaio
di noce moscata, un cucchiaino di bicarbonato di sodio, un cucchiaino di
cannella, e circa quattro tazze di farina (la pasta dovrebbe staccarsi dal
mestolo). Quando l’avrete ben tirata, ritagliate i biscotti usando le forme
prescelte e disponeteli su una piastra imburrata. Metteteli in forno a medio
calore (circa dieci minuti) finché saranno dorati e i bordi bruniti (la parte
centrale rimarrà morbida a causa dell’acquavite).
“La poetessa americana il cui pseudonimo era H.D. venne da me durante
gli anni Trenta per curarsi dall’affliggente paura di essere abbandonata. Non
si trattava di un caso difficile: si doveva solo liberarla da una fissazione
infantile alla madre. Ma lei non volle mai capirlo: fui costretto a portarla al
punto di farle rifiutare pesino le mie interpretazioni per poterla liberare
dalla sua dipendenza. (…) Quanto furono forti le sue resistenze! Perfino nel
“Tributo” che in seguito mi dedicò, insistette sul “profondissimo dissenso”
esistente tra noi” e sul fatto che non sempre avevo ragione. D’accordo, però su
una cosa almeno avevo ragione: le sue frittelle erano straordinarie.”
A una tazza di zucca bollita e
schiacciata (probabile influenza olandese in Pennsylvania), aggiungete una
tazza di latte bollente, un cucchiaio di burro, un cucchiaio di zucchero e
appena un pizzico di sale. Lasciate raffreddare e state calmi! Fate finta di
abbandonare completamente l’impasto. Poi tornateci su e aggiungete un uovo
intero sbattuto, un cucchiaio di lievito e una tazza di farina. Buttate
l’impasto a cucchiaiate in una teglia unta e caldissima. Una proprio in mezzo
alla teglia e le altre tutt’intorno. Quando cominciano a gonfiarsi, rigiratele.
Saranno pronte in un attimo, più rapidamente di quanto ci voglia per dire H.D.!
Cozze
alla Freud
“Il nocciolo, chiamiamolo così, di ogni pratica psicoanalitica contiene
uno straordinario paradosso: il paziente deve associare liberamente, dicendo
tutto quello che gli passa par la testa come se avesse dentro una marea che si
ritira e che scava, raschiando e sidando anche il più piccolo mollusco, sia
esso a guscio duro o molle, mentre l’analista sta invece a controllare le
proprie reazioni, lasciando passare a volte l’intera ora in silenzio,
aspettando che la sua piccola Venus mercenaria nella sua mezza conchiglia
sia bella e pronta da portare in
tavola.
La cozza, questo umile bivalve, dovrebbe occupare nello studio di ogni
psicanalista un posto d’onore accanto al mio ritratto, al mio busto o al mio
autografo. A parte ciò, lasciamo che l’analista mangi a cena, spesso o
raramente, le mie cozze fritte anziché mangiare quelle mostruosità sepolte
nell’olio e nella farina che si vendono nelle friggitorie.”
Le vere cozze alla Freud vengono spurgate, poi rapidamente
gettate a manciate in una padella; si conceda loro un attimo fuggente di
associazione libera con un pezzo di burro fuso, ma subito dopo, sempre
rapidamente, toglierle dalla padella e condirle all’uso viennese, con paprika e
prezzemolo. Gli analisti americani possono aggiungervi, con prudenza però, una
cucchiaiata di salsa Worcester di G. Stanley Hall.”
Per concludere
una lettura da non mancare
“Dove saremmo senza le convenzioni sociali?” Esse danno forma e ordine
alla nostra vita e costituiscono la base delle norme che regolano il
matrimonio, la famiglia e la vita sociale….
…Ho imparato molte cose dai miei pazienti circa le convenzioni che
tengono insieme la famiglia, per esempio l’abitudine dei pasti regolari e
quella di avere i propri posti a tavola. L’assegnazione dei posti è
d’importanza particolare, sia per quanto riguarda le persone sia per quanto riguarda le portate il cui posto è davanti
al padre o alla madre, ai quali spetta il compito di distribuire il cibo.
Ma l’abitudine genera la noia. Il sapere in anticipo rovina il gusto
del piacere. Una delle attrattive dei ristoranti è per l’appunto il fatto che
non sappiamo dove ci siederemo, un elemento molto stimolante per l’inconscio,
tanto da causare come un‘eccitazione, uno smarrimento. Dove ho lasciato il mio
cappotto? Dov’è la toilette? Laggiù in fondo, quello che vedo è uno specchio o
c’è un’altra stanza?
Per provocare, nell’atmosfera casalinga, tranquilla certo ma troppo
scontata, uno smarrimento altrettanto fertile, ho scoperto lo spostamento del
posto a tavola, ispirandomi direttamente ai sogni. …..
Henri Matisse, La desserte, olio su tela 1896-189, collezione privata
... Se volete quindi eliminare la noia dei pranzi familiari, usate lo spostamento del posto. Mettete la zuppiera proprio davanti al figlio più piccolo, e il suo piatto mettetelo in mezzo al tavolo. L’oliera, la saliera, gli stuzzicadenti, invece che al centro metteteli davanti al padre. Al posto che dovrebbe essere dell’ospite, mettete un gran piatto di peltro pieno di zucche, oppure delle candele fra grappoli d’uva o meglio il vaso grande con i gladioli: la scena si animerà mentre lui prova a indovinare, o chiede agli altri, dove sono il suo piatto o il suo tovagliolo. Fate sedere sei persone tutte da una parte e nessuno dall’altra. Oppure servite le pietanze da voi accuratamente elaborate in contenitori d’alluminio tipo rancio militare. Queste sono ottime idee di spostamenti ma vanno usate con tatto e discrezione onde evitare che venga spostata l’intera famiglia, la quale corre il rischio così di finire dispersa davanti al televisore o, peggio ancora, di cadere in preda alla nevroticissima abitudine di andare continuamente a cena fuori.”
Grazie
James Hillman – Charles Boer*, “La cucina del dottor Freud”,
illustrazioni di Jeff
Fisher – Traduzione di Vittorio Serra Boccara
Raffaello Cortina Editore – www.raffaellocortina.it
Titolo originale: Freud’s
Own Cookbook
1985 James Hillman and Charles Boer
by arrangement with Harper & Row,
Publishers, Inc., New York