Ricette

sabato 6 maggio 2017

Anche Lei in cucina, dottor Freud? Buon compleanno!




“Meta essenziale della psicoanalisi è l’arte di preparare uno stufato nevrotico anziché subirlo o diventarne una vittima. I principali componenti di questa pietanza sono ovviamente quelli che avete a portata di mano – carote, cavoli, patate, i bambini, la cognata, gli animali domestici. Ma l‘arte dello stufato nevrotico risiede nel deciderne le combinazioni. È qui che interviene il fato, con scrupoli ossessivi. La personalità nevrotica è incapace di separare e di scegliere: cosa mettere prima e cosa mettere dopo, se affettare o tagliare in due, se mettere il cumino intero oppure solo i semi. Durante la cottura dello stufato, la vista si appanna e il lento sobbollire (così essenziale alla sua riuscita) diventa una furiosa turbolenza che a volte può persino far saltare il coperchio. Il paziente perde la cognizione di ciò che c’è nel tegame, dimentica perché sta intorno a quel fornello, e butta via lo stufato come se fosse acqua sporca: è caduto in pieno nello stufato nevrotico”.
Sigmund Freud





Ma sì. Chi, tra noi profani, avrebbe mai detto che la cucina fosse parte di rilievo nella vita e nel pensiero del padre della psicoanalisi, di colui che ha scandagliato menti e sentimenti per estirpare angosce, ansie, paure, fobie, manie, traumi psichici o nevrosi, che sovrastano e spesso devastano donne e uomini dell’era moderna, condizionandone l’esistenza. 
Certo, a modo suo: un cibo, un perché. La “cucina freudiana” prende forma in un libro brillante, ben documentato, scritto da James Hillman, psicoanalista di fama internazionale, e dato alle stampe a New York nel 1985. In Italia è stato pubblicato nel 1996 da Raffaello Cortina Editore che l'ha rilanciato nel 2016 con una nuova 1a edizione. 
Da questo saggio, che intreccia ricordi e casi clinici con una buona vena d’ironia, ho tratto qualche ricetta godibilissima. Voglio così ricordare il dottor Freud a 161 anni dalla nascita.



Sigismund Schlomo Freud nasce il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia, al tempo dominata dall’impero asburgico, quindi nasce austriaco.  Ora Freiberg si chiama Príbor e la Moravia-Slesia è una regione della Repubblica Ceca. 
Sigmund – il nome se l’era abbreviato da solo a diciannove anni - è frutto dell'unione di Jacob Freud - 40 anni - con la ventenne Amalia Nathansohn, sua terza moglie. La famiglia, una grande famiglia ebrea con tanti figli, nipoti, fratelli, sorelle, mariti, che vivono insieme, molto uniti, è attiva nel commercio della lana. Sarà la crisi di questo settore a determinare gravi problemi economici e lo spostamento prima a Lipsia e poi a Vienna, quando Sigmund ha solo quattro anni. Crescerà in una città già centro di cultura europea e in grande trasformazione: nel 1867 la nuova legislazione concede  al popolo ebraico la parità nei diritti politici, abolisce i ghetti  e le discriminazioni razziali. E’ una grande svolta. Ma la ritrovata libertà segna una frattura fra le tradizioni, anche religiose, dei “padri” e la nuova vita dei figli. Padri e figli vanno al confronto e allo scontro.


 La famiglia Freud nella Vienna Asburgica


Studente più che brillante – il migliore - Sigmund termina il liceo nel 1873 e s’iscrive alla facoltà di medicina di Vienna.
Il percorso professionale è tracciato. La fama è dietro l'angolo. E continuerà, anzi se possibile si consoliderà, anche dopo la sua morte, avvenuta a Londra il 23 settembre 1939.
Raccontare di più del suo pensiero, delle sue intuizioni, delle sue ricerche, dei suoi scritti, sarebbe impresa ardua e impropria per questo blog.
Giusto, invece, accennare alla vita personale. Nel 1886, già astro nascente, sposa Martha Bernais, venticinque anni, dalla quale avrà sei figli. L’ultimogenita, Anna, seguirà le orme paterne, focalizzando il suo lavoro sulle problematiche infantili. 

Anna Freud


Torno al libro, alle ricette, che molto ci raccontano del dottor Freud. E, a istinto, arbitrariamente, ne scelgo due dal capitolo di apertura e tre da quello conclusivo. 
Mi piace immaginare che, da questa scelta,  il grande padre della psicanalisi potrebbe trarre qualche conclusione.
Nota importante: le “ricette” sono raccontate così come si leggono nel libro.  Mi sembra un rispetto doveroso per l’autore.

“I primi ricordi”
capitolo I

Fillettes Mignon

“Quando ero ancora un ragazzino, subito dopo il nostro trasferimento dalla Moravia a Vienna, mio padre ricevette la visita misteriosa di una signora italiana tutta raggrinzita… Fu lei a dargli la seguente ricetta, la più antica di tutta la mia collezione. Cos’altro gli avesse rivelato,  lui non lo disse mai, a eccezione del fatto che in gioventù era stata Mignon, la ragazza bella come una ninfa descritta da Goethe…”


“Occorre procurarsi delle fette di filetto di almeno due dita di spessore. Riscaldare in un tegame due cucchiai da tavola di olio. Mettere nell’olio uno spicchio d’aglio schiacciato e toglierlo non appena ha preso un colore bruno dorato. Aggiungere uno o due pomodori affettati sottilmente. Condire con origano fresco, sale e pepe. Aggiungere due cucchiai da tavola di vino bianco e lasciar cuocere i pomodori per cinque minuti circa. Nel frattempo mettere in una casseruola due cucchiai di olio e due cucchiai di burro; non appena cominciano a scaldarsi, farvi rosolare le fette di filetto da ambo i lati. Aggiungere subito dopo due cucchiai  da tavola di cognac e lasciar  cuocere per altri due minuti. Un pizzico di sale e pepe. Servire le fillettes Mignon versandovi sopra i pomodori.”




Uova strapazzate alla Jauregg*

“Julius Wagner-Jauregg, questo è il suo nome completo, era mio compagno di scuola e rivale. Strapazzandosi continuamente per migliorare la propria posizione e notorietà, Julius giunse a occupare il posto più prestigioso nell’ambito della psichiatria dell’intero impero austro-ungarico, mentre io non ero ancora nemmeno membro ordinario della facoltà. A lui venne attribuito l’unico premio Nobel mai conferito a uno psichiatra: quanto a me, dovetti accontentarmi del premio Goethe (e chi ne ha sentito parlare al di fuori della città di Francoforte?) La testa di Julius orna le banconote da 500 scellini; il mio nome, invece, fino al 1954, non sarebbe nemmeno stato ricordato con un’iscrizione sulla casa in cui vissi!
Le mie innovazioni con la cocaina non portarono a nulla; Julius ebbe un successo immenso grazie ai suoi esperimenti sulla cura del cretinismo mediante lo iodio e della sifilide mediante la febbre malarica.”


“La ricetta per le uova strapazzate alla Jauregg deriva, credo, dagli accessi febbrili che sopravvengono durante il trattamento malarico. La padella per friggere è tanto calda che scotta. Il burro si scurisce subito, le uova vengono sbattute velocemente, spruzzate di peperoncino rosso e rigirate alla svelta nella padella, ma tolte poi dal fuoco così in fretta da rimanere leggermente striate di burro quasi marrone. E non preoccupatevi che uova e burro combinati insieme possano restarvi sullo stomaco. Preferireste fosse un accesso di malaria?”
* Gioco di parole sul nome Jauregg: in inglese “egg” significa “uovo”.


Le mie ultime ricette per l’umanità”

Biscotti da favola



“Biscotti! Avrei dovuto fare più  biscotti! I biscotti all’anice erano di grande aiuto specialmente per quei pazienti che non capivano il significato delle favole dell’infanzia. (…..) E’ insito nella natura umana cercare di alleviare l’angoscia dietro cui si nasconde la paura infantile di essere mangiati. Si potrebbe pensare che un bel biscotto basti a superare questa paura. Ma la formula bambino = biscotto genera una tale angoscia che questa si tramuta nel bisogno compulsivo di biscotto. Così  mangiare un biscotto ci salva dal pericolo di essere divorati. (….) Un biscotto al giorno toglie l’analista di torno…..”.


Mescolate due etti di burro fuso a mezza tazza di zucchero di canna, due uova, un quarto di tazza di melassa, mezza tazza di Branntwein tedesco (o qualsiasi acquavite preferiate), due cucchiai di anice, un cucchiaio di noce moscata, un cucchiaino di bicarbonato di sodio, un cucchiaino di cannella, e circa quattro tazze di farina (la pasta dovrebbe staccarsi dal mestolo). Quando l’avrete ben tirata, ritagliate i biscotti usando le forme prescelte e disponeteli su una piastra imburrata. Metteteli in forno a medio calore (circa dieci minuti) finché saranno dorati e i bordi bruniti (la parte centrale rimarrà morbida a causa dell’acquavite).


Le frittelle della madre di Hilda Doolittle



“La poetessa americana il cui pseudonimo era H.D. venne da me durante gli anni Trenta per curarsi dall’affliggente paura di essere abbandonata. Non si trattava di un caso difficile: si doveva solo liberarla da una fissazione infantile alla madre. Ma lei non volle mai capirlo: fui costretto a portarla al punto di farle rifiutare pesino le mie interpretazioni per poterla liberare dalla sua dipendenza. (…) Quanto furono forti le sue resistenze! Perfino nel “Tributo” che in seguito mi dedicò, insistette sul “profondissimo dissenso” esistente tra noi” e sul fatto che non sempre avevo ragione. D’accordo, però su una cosa almeno avevo ragione: le sue frittelle erano straordinarie.”


A una tazza di zucca bollita e schiacciata (probabile influenza olandese in Pennsylvania), aggiungete una tazza di latte bollente, un cucchiaio di burro, un cucchiaio di zucchero e appena un pizzico di sale. Lasciate raffreddare e state calmi! Fate finta di abbandonare completamente l’impasto. Poi tornateci su e aggiungete un uovo intero sbattuto, un cucchiaio di lievito e una tazza di farina. Buttate l’impasto a cucchiaiate in una teglia unta e caldissima. Una proprio in mezzo alla teglia e le altre tutt’intorno. Quando cominciano a gonfiarsi, rigiratele. Saranno pronte in un attimo, più rapidamente di quanto ci voglia per dire H.D.!


Cozze alla Freud

“Il nocciolo, chiamiamolo così, di ogni pratica psicoanalitica contiene uno straordinario paradosso: il paziente deve associare liberamente, dicendo tutto quello che gli passa par la testa come se avesse dentro una marea che si ritira e che scava, raschiando e sidando anche il più piccolo mollusco, sia esso a guscio duro o molle, mentre l’analista sta invece a controllare le proprie reazioni, lasciando passare a volte l’intera ora in silenzio, aspettando che la sua piccola Venus mercenaria nella sua mezza conchiglia sia  bella e pronta da portare in tavola.
Ogni analisi freudiana è quindi nel contempo un caso aperto e chiuso: il paziente aperto e l’analista chiuso. (…)
La cozza, questo umile bivalve, dovrebbe occupare nello studio di ogni psicanalista un posto d’onore accanto al mio ritratto, al mio busto o al mio autografo. A parte ciò, lasciamo che l’analista mangi a cena, spesso o raramente, le mie cozze fritte anziché mangiare quelle mostruosità sepolte nell’olio e nella farina che si vendono nelle friggitorie.”



Le vere cozze alla Freud vengono spurgate, poi rapidamente gettate a manciate in una padella; si conceda loro un attimo fuggente di associazione libera con un pezzo di burro fuso, ma subito dopo, sempre rapidamente, toglierle dalla padella e condirle all’uso viennese, con paprika e prezzemolo. Gli analisti americani possono aggiungervi, con prudenza però, una cucchiaiata di salsa Worcester di G. Stanley Hall.”


Per concludere
una lettura da non mancare

Lo spostamento del posto a tavola



“Dove saremmo senza le convenzioni sociali?” Esse danno forma e ordine alla nostra vita e costituiscono la base delle norme che regolano il matrimonio, la famiglia e la vita sociale….
…Ho imparato molte cose dai miei pazienti circa le convenzioni che tengono insieme la famiglia, per esempio l’abitudine dei pasti regolari e quella di avere i propri posti a tavola. L’assegnazione dei posti è d’importanza particolare, sia per quanto riguarda le persone sia per quanto riguarda le portate il cui posto è davanti al padre o alla madre, ai quali spetta il compito di distribuire il cibo.
Ma l’abitudine genera la noia. Il sapere in anticipo rovina il gusto del piacere. Una delle attrattive dei ristoranti è per l’appunto il fatto che non sappiamo dove ci siederemo, un elemento molto stimolante per l’inconscio, tanto da causare come un‘eccitazione, uno smarrimento. Dove ho lasciato il mio cappotto? Dov’è la toilette? Laggiù in fondo, quello che vedo è uno specchio o c’è un’altra stanza?
Per provocare, nell’atmosfera casalinga, tranquilla certo ma troppo scontata, uno smarrimento altrettanto fertile, ho scoperto lo spostamento del posto a tavola, ispirandomi direttamente ai sogni. …..

Henri Matisse, La desserte, olio su tela 1896-189, collezione privata

... Se volete quindi eliminare la noia dei pranzi familiari, usate lo spostamento del posto. Mettete la zuppiera proprio davanti al figlio più piccolo, e il suo piatto mettetelo in mezzo al tavolo. L’oliera, la saliera, gli stuzzicadenti, invece che al centro metteteli davanti al padre. Al posto che dovrebbe essere dell’ospite, mettete un gran piatto di peltro pieno di zucche, oppure delle candele fra grappoli d’uva o meglio il vaso grande con i gladioli: la scena si animerà mentre lui prova a indovinare, o chiede agli altri, dove sono il suo piatto o il suo tovagliolo. Fate sedere sei persone tutte da una parte e nessuno dall’altra. Oppure servite le pietanze da voi accuratamente elaborate in contenitori d’alluminio tipo rancio militare. Queste sono ottime idee di spostamenti ma vanno usate con tatto e discrezione onde evitare che venga spostata l’intera famiglia, la quale corre il rischio così di finire dispersa davanti al televisore o, peggio ancora, di cadere in preda alla nevroticissima abitudine di andare continuamente a cena fuori.” 


Buon compleanno dottor Freud!

Grazie
James Hillman – Charles Boer*, “La cucina del dottor Freud”,
illustrazioni di Jeff Fisher – Traduzione di Vittorio Serra Boccara
Raffaello Cortina Editore – www.raffaellocortina.it


Titolo originale: Freud’s Own Cookbook
1985 James Hillman and Charles Boer
by arrangement with Harper & Row,
Publishers, Inc., New York

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