“La
scena iniziale di questa storia ebbe luogo in un paesino nella costa
meridionale della Cornovaglia. Treby (con questo nome si è scelto di indicare
un luogo la cui reale denominazione, per diverse ragioni, non verrà fornita)
era, a dire il vero, più un borgo che un paese. Ma poiché si trovava sul mare,
vi erano due o tre case che, grazie alla vernice verde e alle tendine di chintz, avevano tutta l’aria di fornire una
sistemazione in “Appartamenti Ammobiliati” ai pochi bagnanti che, avendo
sentito quanto il posto fosse conveniente, bello e ritirato, di tanto in tanto
vi si recavano in vacanza dalla città limitrofe.
“Questa parte della
Cornovaglia ha in sé molta della caratteristica e raffinata bellezza che per
ogni inglese adorna la dolce contea di Devon……”
Nel 1837 viene dato alle stampe, a Londra, quello che sarebbe stato l’ultimo romanzo di Mary Shelley: “Falkner”. Un romanzo di segno nettamente opposto a quel “Frankenstein” che, seppure con ritardo, l’aveva portata alla ribalta mondiale. Anche qui c’è un’eroina – sempre di nome Elizabeth - che, però, non solo non è uccisa dal Mostro ma, anzi, “sconfigge i suoi antagonisti e salva gli uomini della sua vita”.*
Non tutta la critica fu favorevole alla nuova opera, per il
capovolgimento dei valori: alcuni la ritennero “deprimente”, altri la contestarono sostenendo che “gli uomini hanno il dovere di salvare le
donne…”, altri ancora vi hanno visto “il
modello di eroina vittoriana e “il raggiungimento di una soluzione al dilemma
dell’auto-affermazione femminile”.
Questo romanzo – il
mio preferito aveva dichiarato la scrittrice - ha dovuto attendere 180 anni
prima di poter giungere ai lettori italiani: finalmente, nel novembre scorso
l’editore Stefano Giovinazzo lo pubblica nella collana “I grandi inediti” delle Edizioni della Sera, con il titolo “Il
segreto di Falkner”. E la
presentazione nelle librerie è proprio di questi mesi e (anche) dei prossimi.
Insieme al romanzo, torna alla ribalta la vita di una donna
cui la sorte ha donato intelligenza, cuore, coraggio, intuito, riconoscimenti,
ma anche laceranti dolori, gli uni intrecciati agli altri. C’è il suo amore
filiale che vive nel tempo, c’è il suo amore, infinito, per il poeta Percy
Shelley, c’è lo strazio per la perdita di ben tre figli e del marito, c’è il
suo successo letterario. Nato per caso.
Nel giugno del 1816, una giovanissima scrittrice – la
diciannovenne Mary Wollstonecraft
Godwin – mette su carta le prime righe di quello che in pochi anni
diventerà un romanzo di portata mondiale: una storia gotica, dell’orrore. Fin
dall’inizio lei aveva ben chiara l’idea che non sarebbe dovuto essere uno
scontato o banale racconto di fantasmi bensì “… una storia che parlasse delle paure misteriose insite nella nostra natura
… che facesse temere al lettore di guardarsi attorno, che gli facesse raggelare
il sangue e accelerare i battiti del cuore”.
La vegetazione è rigogliosa nel bellissimo giardino di Villa Diodati, a Cologny, sul lago di Ginevra. Ma quel mese del giugno è stranamente freddo e piovoso. Così Lord Byron - raffinato scrittore e poeta, in temporanea residenza svizzera - e gli amici Percy Shelley, pure poeta, la sua compagna Mary, la sorellastra di questa, Jane Claire Clairmont, amante di Byron e John William Polidori, scrittore e medico personale del padrone di casa, sono alla ricerca di una qualche attività che sollevi il loro umore. E Lord Byron la trova, quest'idea: propone ai compagni di scrivere un racconto di fantasmi, uno per ciascuno, in una sorta di gara di fantasia e bravura. Il tema gli è balzato in mente sfogliando alcuni volumi, proprio con storie di fantasmi, trovati nella biblioteca di casa. Tutti aderiscono ma, alla fine, solo Mary porterà a termine la missione. Vede così la luce “Frankenstein, o il moderno Prometeo”, dove le paure si fanno Mostro, un mostro creato da un essere umano, che realmente avrebbe turbato - e continua a turbare – la mente e il sonno di molti lettori. Frankenstein è pubblicato nel 1818, in tre volumi, sotto anonimato e solo nel 1831 la copertina rivelerà il nome dell’autrice.
La vegetazione è rigogliosa nel bellissimo giardino di Villa Diodati, a Cologny, sul lago di Ginevra. Ma quel mese del giugno è stranamente freddo e piovoso. Così Lord Byron - raffinato scrittore e poeta, in temporanea residenza svizzera - e gli amici Percy Shelley, pure poeta, la sua compagna Mary, la sorellastra di questa, Jane Claire Clairmont, amante di Byron e John William Polidori, scrittore e medico personale del padrone di casa, sono alla ricerca di una qualche attività che sollevi il loro umore. E Lord Byron la trova, quest'idea: propone ai compagni di scrivere un racconto di fantasmi, uno per ciascuno, in una sorta di gara di fantasia e bravura. Il tema gli è balzato in mente sfogliando alcuni volumi, proprio con storie di fantasmi, trovati nella biblioteca di casa. Tutti aderiscono ma, alla fine, solo Mary porterà a termine la missione. Vede così la luce “Frankenstein, o il moderno Prometeo”, dove le paure si fanno Mostro, un mostro creato da un essere umano, che realmente avrebbe turbato - e continua a turbare – la mente e il sonno di molti lettori. Frankenstein è pubblicato nel 1818, in tre volumi, sotto anonimato e solo nel 1831 la copertina rivelerà il nome dell’autrice.
Mary nasce a Londra il 3 agosto 1797, da una coppia di
intellettuali molto noti all’epoca: il padre, William Godwin, è un
filosofo-scrittore-politico “libertario”, uno dei primi teorizzatori anarchici
moderni, strenuo difensore dei diritti umani dei più deboli, con gran seguito di discepoli illustri.
Tra questi, Samuel Taylor Coleridge, William Wordswoth, Robert Southey, Percy
Bysshe Shelley; la madre è Mary Wollstonecraft, influente scrittrice di
orientamento femminista, anche lei con gran seguito, che purtroppo morirà
subito dopo il parto lasciando alla figlia il suo imprinting e il cognome. La piccola cresce nel culto della madre
morta e in un ambiente aperto, colto, libero, con una formazione scolastica
seguita attentamente dal padre; diventerà una giovane donna capace di leggere
in cinque lingue, compresi latino e greco.
William Godwin e Mary Wollstonecraft
Percy Shelly frequenta il “cenacolo” di Godwin e lì incontra
Mary: lei ha 17 anni, lui 22. E si
innamorano perdutamente. E’ già sposato, Percy, con un’altra giovanissima –
Harriett Westbrook - che abbandona per fuggire con Mary.
La nuova coppia si
sposta sul Continente, girovaga, sovente con ben pochi soldi, perché intanto
l’aristocratica famiglia di Percy ha deciso di tagliare i viveri al “radicale”,
allo “scapestrato”, blindando il patrimonio al quale il Poeta attingeva con
grande disinvoltura, anche per aiutare il suo mentore Godwin a ripianare i
molti debiti. Sposerà Mary nel 1816 alla scomparsa della moglie, morta suicida.
"The lover's seat: Shelley and Mary Gowdwin in old St Pancras Churchyard"
William Powell Frith, olio su tela, 1877
La vita non sarà tenera con Mary Shelley: i primi tre bimbi che partorisce
muoiono ancora in fasce o in tenere età, per cause diverse. Solo il
quarto figlio, Percy Florence, nato a Firenze nel novembre del 1819, riuscirà a
crescere e, con la moglie, sarà sempre molto vicino alla madre con sconfinato
affetto.
Nel 1820 Percy, Mary e il piccolo Percy Florence si
trasferiscono a Pisa, dove sono raggiunti da Lord Byron e, insieme, maturano
l’idea di costituire una piccola comunità di “eletti”: approdano nel
già tanto decantato Golfo di La Spezia s’installano in una villa a San
Terenzo – Casa Magni - e vivono
“liberamente” praticando il nudismo e nutrendosi soprattutto di erbe e di
pesce. Uno “stile” osservato con grande sorpresa e non proprio condiviso dalla
popolazione locale.
“La bellezza del luogo pareva irreale per il suo stesso eccesso: la
distanza da ogni traccia di civiltà, il mare ai nostri piedi, i suoi mormorii o
il suo ruggire sempre nelle nostre orecchie – tutte queste cose inducevano la
mente a meditare su strani pensieri e, sollevandola dalla vita di ogni giorno,
la portavano a familiarizzare con l’irreale. Una sorta di incantesimo ci
circondava…”
(Mary Shelley,
Nota alle poesie del 1822)
Ma anche lì, in quell’angolo di paradiso terrestre, che
sarebbe diventato noto come il Golfo dei poeti, un terribile evento li
colpisce: è l’8 luglio 1822. Quando Percy e l’amico Edward Williams escono in
barca, com’era ormai consuetudine, al ritorno sono travolti da una
tempesta. Saranno ritrovati, i due corpi, solo undici giorni dopo a Viareggio.
“… le stelle si
ridesteranno
anche se la luna dovesse
dormire un’ora in più;
questa notte non
tremerà foglia
mentre le tue rugiade
melodiose diffondono delizia….”
(Percy Bysshe Shelley, )
Per Mary è un altro calvario, in difficoltà economiche si
trasferisce prima a Genova e poi fa rientro a Londra dove si dedica alla scrittura: pubblica il romanzo
“Valperga; ovvero vita e avventure di Castruccio, principe di Lucca (1823) e
cura la sistemazione di tutta la produzione di Percy che sarà pubblicata, in
sette volumi, nel 1839-1840. E poi
viaggia per tutta Europa, accompagnata dal figlio. La sua salute è incerta, la
sua condizione economica pure: solo la morte del suocero Sir Timothy Shelley le
darà respiro.
Dopo un viaggio attraverso la Francia, accompagnata dalla
nuora e ormai amica, Jane Gibson St John, Mary Shelley ritorna definitivamente
a Londra dove, a casa del figlio, si spegne il 1° febbraio 1851.
Il Golfo dei Poeti, non è
così chiamato a caso: luogo magico, ha visto realmente il passaggio di numerosi
immortali della letteratura mondiale. La testimonianza più antica risale agli
inizi del 200 a.C ed è dovuta a Quinto Ennio, ricordato come poeta-soldato e acclamato come padre della poesia latina. All’epoca il Golfo è noto come Portus Lunae, Porto della Luna, e il poeta scrive nei suoi Annales: “Il porto della luna è straordinario, dovreste
vederlo amici.” Poi, se nel Trecento questo angolo di paradiso affascina Dante,
Boccaccio, Petrarca, nel XVIII
secolo, quando visitare l’Italia è una moda imprescindibile, il Golfo di La
Spezia attrae intellettuali e artisti provenienti da anche da lontano. E
nell’Ottocento incanta i poeti inglesi.
“ …e
gli effluvi che ogni fiore alato disserra, e la freschezza delle ore di
rugiada, e il tepore lasciato dal giorno: tutto difondevasi intorno quasi
rifolgorasse su la baia splendente”.
Percy Bysshe Shelly
Il Golfo della Spezia
diventa universalmente noto come “Golfo dei Poeti” nel 1910 quando il
drammaturgo fiorentino Sem Benelli, in un’orazione funebre per l’amico Paolo
Mantegazza, recita: …« Beato te, poeta della scienza, che riposi in pace nel
Golfo dei Poeti».
Paesaggi da sogno e una natura scontrosa, ricca però di profumi e sapori.
E la tavola si fa bella
…”Il nostro villaggio è Tellaro. Sorge a picco sulle rocce del mare, un covo di pirati di duecento anime. La chiesa è sull’acqua. C’è una leggenda che dice che una notte la campana della chiesa suonò e continuò a suonare. La gente si sveglio terrorizzata, la campana suonava misteriosamente. Si scoprì che la corda della campana era caduta sulla punta di uno scoglio e un polpo ne aveva afferrato la cima e la stava tirando. Mi sembra impossibile. Gli uomini vanno a pescare il polpo con esca bianca e una lunga fiocina. Ne prendono di grossi talvolta di sei o sette libbre, e tu non hai mai visto niente di così diabolicamente brutto. Ma sono buoni da mangiare…”
(David H. Lawrence, ottobre 1913)
Ricette
Polpo alla tellarese
1 polpo di
scoglio *– 4 patate gialle – 1 spicchio d’aglio
1 buon pizzico di origano – prezzemolo –
olive verdi denocciolate
olio extravergine di oliva di Tellaro –
1 limone non trattato
Pulire e
lavare il polpo. Immergerlo in una pentola con abbondante acqua fredda e
portare a bollore su fiamma moderata. Dall’ebollizione calcolare 10 minuti,
quindi spegnere il fuoco e lasciar raffreddare il polpo a mollo, in pentola
coperta. Il tempo di raffreddamento dell’acqua sarà esattamente quello necessario per dare al polpo una
cottura perfetta.
In pentola
separata, cuocere le patate con buccia, mettendole in acqua fredda leggermente
salata; sbucciarle ancora calde ma attendere che siano tiepide prima di
tagliarle, per evitare che si rompano.
Per
confezionare il piatto, tagliare il polpo a tocchetti, togliere eventualmente
la parte di pelle nera fra i tentacoli, unire le patate, le olive verdi,
l’origano, il trito di prezzemolo e aglio. Aggiustare di sale e irrorare con
l’olio di oliva e il succo di limone. Mescolare delicatamente.
Nota – Se il
polpo è acquistato fresco, accertarsi che sia stato sbattuto per ammorbidire le
fibre. Altrimenti una o due notti in freezer renderà la carne più tenera.
Da tener
presente che un polpo fresco deve avere colore intenso e consistenza soda.
1 kg frutti di mare misti
(vongole, muscoli, telline, tartufi….)
500 g pomodori maturi – 1 cipolla piccola
½ bicchiere olio
extravergine di oliva – 1 bicchiere vino bianco secco
sale e pepe - crostoni di
pane
Lavare
accuratamente (e spazzolare se necessario) i frutti di mare e lasciarli
riposare una mezz’ora in acqua cui sia stata aggiunta una manciata di sale
grosso, possibilmente grigio (integrale), per eliminare le ultime impurità.
Pulire e affettare finemente la cipolla e farla imbiondire con l’olio in un
tegame capace di contenere tutta la zuppa; aggiungere i pomodori a piccoli
pezzi, dopo aver tolto buccia e semi; lasciar cuocere per una decina di minuti
quindi unire i frutti di mare tolti dall’acqua di riposo e passati velocemente
sotto l’acqua fresca; coprire e alzare la fiamma , scuotendo ogni tanto il
tegame affinché il calore raggiunga tutti i molluschi; dopo qualche minuto
aggiungere il vino e lasciar insaporire per un’altra decina di minuti,
mescolando dolcemente. Servire con i crostoni.
* In origine
la zuppa tipica di Lerici era fatta solo con i datteri di mare. Tuttavia
l’intera Europa da anni ne ha vietato la pesca perché, per raccoglierli, è
necessario distruggere grandi quantità di roccia (lì hanno la loro “casa”),
danneggiando irrimediabilmente l’eco-sistema marino.
La Mescciüa o mesc-ciüa,
È una zuppa di legumi e
cereali, tipica di La Spezia, che si consuma bollente nella stagione, fredda e
tiepida in estate. Il nome, che può essere scritto almeno in tre modi – il
terzo, rispetto ai due del titolino,
elimina una “c” e diventa mes-ciüa – significa mescolanza. Nasce,
questa minestra, dalla determinazione e fantasia delle donne spezzine che
s’ingegnavano per mettere in tavola un piatto nutriente nonostante il
portafoglio vuoto (o quasi). Così – si racconta - andavano sulle banchine del porto, dove lavoravano
capifamiglia, figli, fratelli, e raccoglievano con cura tutti i “chicchi” che
cadevano dai sacchi di juta durante carico e scarico.
200 g di ceci – 200 g di
fagioli cannellini – 200 g di farro (oppure orzo o grano) – olio extravergine
d’oliva – sale e pepe*
Sciacquare accuratamente,
mettere a bagno legumi e cereali, separatamente e in acqua a temperatura
ambiente: i ceci necessitano di un ammollo di circa 24 ore, per i fagioli basta
una notte, per il farro è sufficiente un’oretta e, se perlato, non necessita di
alcun ammollo. È anche indispensabile cuocerli separatamente, ricordando che
vanno messi sul fuoco con l’acqua di ammollo e che il sale va aggiunto solo a
cottura quasi ultimata per evitare l’indurimento delle bucce. Per quanto
riguarda la cottura: ceci, 2 ore abbondanti; fagioli, 1 ora o 1ora e mezza a
seconda della varietà;
farro, intorno ai 40 minuti.
A cottura quasi ultimata scolare ceci e farro e
unirli ai fagioli ancora sul fuoco e nel loro brodo, salare, lasciar cuocere e
amalgamare il tutto per una decina di minuti: la zuppa dovrà risultare
piuttosto consistente. Scodellare e servire mettendo a disposizione olio extra
vergine di oliva e pepe da macinare al momento. Come detto, questa zuppa è
deliziosa anche se servita tiepida.
Pasta co-i coi e co-e patatte*
Pasta con i cavoli e con le patate
200 g pasta corta –1 cavolo
nero piccolo –200 g patate
100 g parmigiano reggiano
grattugiato
1 bicchiere di olio
extravergine di oliva - sale e pepe q.b.
Lavare il
cavolo, togliere le coste e le foglie più dure, tagliare a strisce le rimanenti
e lessarle in acqua salata. A metà cottura aggiungere le patate a pezzi e la
pasta. Scolare il tutto e condire con olio crudo. Cospargere di parmigiano
grattugiato.
*Questo
piatto può essere consumato in zuppa con i crostini e come secondo in insalata,
ben condito.
Il preboggiòn è una miscellanea di erbe spontanee la cui composizione varia
a seconda del periodo in cui vengono raccolte. Il momento più ricco è la
primavera, quando piogge abbondanti lasciano il posto al sole che riscalda e però anche le erbette d’autunno sono assai apprezzabili.
Il nome,
secondo una scuola di pensiero, deriverebbe dal termine dialettale pre-boggi,
che sta per “bollire prima”, indicando con ciò che le erbe devono essere bollite
prima di essere utilizzate. L’immancabile leggenda, invece, fa risalire il nome
addirittura alla Prima Crociata intorno al 1100 d.C., quando, per curare il
condottiero Goffredo di Buglione, furono raccolte varie erbe selvatiche, evidentemente con proprietà curative: da qui
pe-buggiùn , cioè “per Buglione”.
Indicativamente
le varietà più comunemente raccolte per il preboggiòn:
ratalégue (Reichardia picroides)
ovvero grattalingua; dente de càn (Taraxacum
officinalis), noto anche come dente di leone o piscialetto (per l'effetto diuretico); denti de cuniggio (Hyoseris
radiata) ovvero denti di coniglio; scixerboa (Sonchus oleraceus); pimpinella (Sanguisorba
minor), detta anche erba noxe per il sapore simile a quello della noce;
boraxe (Borago officinalis), cioè
borragine; ortiga (Dioica); papàvau (Papaver roeas); gê (bietole).
Preboggiòn e fugassette
Preboggiòn e focaccette*
Preboggiòn e focaccette*
1 kg di preboggiòn – 400 g
di pasta da pane lievitata – 2 patate
1 spicchio d’aglio – 1
acciuga sotto sale
2 bicchieri d’olio
extravergine di oliva - sale q.b.
Pulire, lavare
e lessare il preboggiòn unendo le patate sbucciate e taglate a pezzetti. Scolare bene e insaporire in
padella con l’aglio tritato e i filetti di acciuga (spinata e dissalata).
Tagliare la pasta da pane a pezzi e stenderla con le dita. Lasciare lievitare una
mezz’ora, quindi friggerla. Servire in unico piatto focaccette e verdura
saltata.
Nota - *La
pasta per le focaccette può essere acquistata pronta, sia nei panifici sia nei
supermercati.
Bacaà àa manéa spezina
Baccalà alla spezzina
1kg di baccalà bagnato – 300
g di bietole – una cipolla bianca
250 g di pomodoro passato –
un pomodoro intero
olio extravergine di oliva –
sale q.b.
Scottare in
poca acqua bollente e leggermente salata le bietole e cuocere a parte (circa10
minuti) il baccalà spellato e accuratamente privato delle lische. Soffriggere in un tegame la cipolla
affettata fine per una decina di minuti (senza farla scurire), aggiungere le
bietole scolate e tagliate a pezzetti, poi il baccalà anch’esso a pezzi. Unire
infine la passata di pomodoro e il pomodoro (ben maturo) ridotto a dadini;
mescolare bene e cuocere a fuoco lento per 10-15 minuti.
Nota -Il
baccalà richiede una cottura breve per restare morbido: è bene dunque
assaggiarlo per determinare il tempo corretto, cioè per evitare che risulti
stopposo.
Bacallé friti
Frittelle di baccalà
400 g di
baccalà bagnato – 200 g di farina bianca – 1 bicchiere di birra
1 cucchiaio
d’olio extra vergine d’oliva per la pastella e q.b. per la frittura sale
Pulire e
diliscare il baccalà, tagliarlo a pezzetti. Preparare la pastella con la farina,
il cucchiaio d’olio, birra e sale; farla riposare almeno due ore. Intingere i
pezzetti di baccalà nella pastella, friggerli in olio caldo, scolarli bene e appoggiarli su carta
assorbente.
Torta
di riso dolce
400 g di riso* – 800 g di zucchero –11 uova
buccia grattugiata di un limone di giardino – un litro e mezzo di
latte alchermes e anice – due pizzichi di sale – burro per ungere la teglia
sfoglia (solo sotto)
Riservare
un bicchiere di latte e un uovo per la sfoglia; cuocere il riso nel restante
latte con lo zucchero e un pizzico di sale; a cottura ultimata mettere il riso
in una terrina e lasciar raffreddare; mentre il riso si raffredda, preparare la
sfoglia lavorando rapidamente farina, uovo, latte e un pizzichino di sale;
quando ha raggiunto la temperatura ambiente, aggiungere al
riso le dieci uova ben battute con la scorza grattugiata del limone e mescolare
accuratamente; profumare il composto con mezzo bicchierino di alchermes e mezzo
di anice. Stendere la sfoglia in una teglia imburrata e farcirla con il
composto di riso stendendolo bene; piegare l’orlo della sfoglia rigirandolo a
pieghine con le dita. Infornare in forno preriscaldato
a 180°C fin quando non si forma la classica crosticina dorata (grosso modo dai
30 ai 40 minuti).
*Nota:
Il riso più adatto alla preparazione di dolci è la varietà S. Andrea.
Qui sono io, seduta accanto ad una finestra aperta, su un balcone,
(...), in una giornata infuocata che potrei anche descrivere - ma come
descrivere le colline, le alte case, rosa, gialle, bianche, e un mare vero, e
non immaginario, d’un color viola scuro, senza onde rollanti, diverso dal mio
mare ma con increspature della superficie qua e là, come quelle che
attraversano un campo di grano, o il dorso di un cavallo da corsa!...”
(Virgina Woolf, “To Ethel Smyth”, 18 maggio 1933)
(Virgina Woolf, “To Ethel Smyth”, 18 maggio 1933)
Grazie
www.wikipedia.org - www.edizionigiacche.com - www.ristorantegrano.it www.amolaspezia.it - www.genivapress.com - www.societadelleletterate.it
e i libri
Mary Shelley, Il segreto di Falkner
Traduzione e cura di Elena Tregnaghi
Collana I
grandi inediti, diretta da Giorgio Leonardi
Edizioni della Sera,
novembre 2017
*
Cucina Ligure
a cura di
Emanuela Gentile Martini e Federica Isoppo
Coordinamento editoriale di Claudia Martini
Alpicella Cooperativa
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