Ricette

martedì 3 novembre 2015

Arriva dal passato il pesce che vive due volte. E anche di più.





1431, quasi seicento anni fa. L’autunno aveva debuttato da pochi giorni. Pietro Querini, patrizio veneziano, una potente famiglia alle spalle, membro di diritto del Maggior Consiglio della Serenissima, è in balìa delle onde di un mare aggressivo, non più amico.  La caracca di cui è comandante – la Querina – è sopraffatta dalla tempesta… Ma andiamo con ordine, nel racconto.



 Il 25 aprile di quel 1431, il nobiluomo – mercante e navigatore audace - dopo aver armato la sua nave, salpa per le Fiandre da Candia (cioé Creta, terra veneziana), con un prezioso carico: 800 barili di Malvasia, il vino pregiato prodotto nell’isola greca, nei feudi di Castel di Termini e Dafnes, di cui è signore. Inoltre, spezie, cotone, cera, allume di rocca e altre mercanzie di consistente valore, per un totale di circa 500 tonnellate.
Con lui, sessantotto uomini di equipaggio e due luogotenenti: Nicolò de Michiel – anch’esso patrizio veneziano – e Cristofalo Fioravante.




Siamo a settembre. La navigazione fino ad allora si è svolta senza grandi turbamenti ed è stato raggiunto  Capo Finisterre. Il clima si va facendo rigido, il mare burrascoso. Il Capo viene doppiato ma da quel  momento arrivano i guai, grossi guai:  la Querina è investita ripetutamente da devastanti tempeste e spinta sempre più a ovest al largo dell’Irlanda.  Prima si rompe il timone, poi la caracca è disalberata dalla furia del vento e delle onde e, trasportata dalla corrente del Golfo, va alla deriva per diverse settimane. E’ ormai il 17 dicembre: il vascello è diventato un relitto e il comandante dà ordine di calare le due scialuppe di salvataggio rimaste. L’equipaggio si divide: 18 uomini sulla più piccola, i restanti  - comandante compreso - sulla lancia più grande. 




Iniziano giorni e notti di stenti: gelo, viveri razionati, marinai che muoiono uno dopo l’altro. E della scialuppa piccola si sono subito perse le tracce.  L’incubo, per il comandante e ciò che resta del suo equipaggio, dura quasi un mese: il 14 gennaio 1432 i superstiti avvistano terra. Sono rimasti in sedici e sbarcano su una piccola isola deserta, quasi uno scoglio: si chiama Sandoy è vicina a un’altra isoletta, Rost, nell’arcipelago norvegese di Lofoten.




Si accampano, i disperati, sopravvivono nutrendosi di patelle e scaldandosi con piccoli fuochi. E proprio i deboli fuochi li salveranno. Dopo undici giorni, alcuni abitanti di Rost – 120 anime che vivono di pesca – notano insoliti bagliori e vanno a scoprire di che si tratta. Trovano i naufraghi, li raccolgono e accolgono nelle loro case. Li curano e li rimettono in piedi.  Dal rapporto di Pietro Querini al Senato della Serenissima (diario obbligatorio), si apprende che questi isolani - alti e bellissimi - vivono “in una dozzina di case rotonde con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce”. Il pesce, la loro ricchezza.




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 Scrive Querini:  …”prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci e solo di due specie: l’una, ch'è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l'altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l'una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d'Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e così sono buone (...). »







I veneziani, ospiti graditi e straordinariamente accuditi  (alcuni trovano perfino moglie…), restano a Rost per quattro mesi: il 15 maggio 1432 Pietro Querini e i luogotenenti prendono posto su una barca diretta a Bergen, sbarcano a Trondheim e quindi si imbarcano su una nave diretta a Londra dove saranno accolti dalla ricca comunità veneziana. Da qui, a cavallo, raggiungeranno Venezia, passando per Basilea.
Uomo accorto, Querini porta con sé alcuni esemplari di stoccafisso e li presenta al Senato della Serenissima magnificandone le qualità: lunga conservazione, proprietà nutritive eccellenti, ottimo sostituto della carne, perfetto per lunghe missioni, sia di mare sia di terra. Ci vorrà un po’ di tempo ma l’intuizione di Querini con il tempo si trasformerà in un successo, un grande successo, di proporzioni allora inimmaginabili. 



Pietro Querini tornò a Rost, da quelli che erano diventati “amici”, per scambiare vino e spezie con stoccafisso. Ma questo non gli bastava, voleva scoprire altre terre. Così, al comando della sua nave, lasciò Lofoten per puntare ancora più a Nord. E sparì fra i ghiacci eterni, diventando leggenda.



Un secolo dopo, nel dicembre 1563, il Concilio di Trento, emanando le direttive per i cattolici, sancisce l’obbligo del “magro e digiuno” per quasi 200 giorni e raccomanda lo stoccafisso come piatto magro per tutti i mercoledì e i venerdì. E certamente per l’intera Quaresima. E’ la consacrazione dello stoccafisso, con la certezza di una diffusione capillare.


Ma che strano pesce è lo stoccafisso?  
La risposta è semplice: il merluzzo artico. Nome scientifico Gadus Morhua., famiglia dei Gadidae, ordine dei Teleostei. Che, non a caso, è anche detto “il pesce che vive due volte”. 




Stoccafisso e Baccalà: ecco la metamorfosi del merluzzo, fuori dall’acqua.  Un solo pesce, due metodi di conservazione propri di popoli ben differenti, quelli che abitano le gelide terre del Nord e quelli che godono il calore del Sud. Due metodi che non ne alterano le caratteristiche nutritive.
 Stoccafisso è il merluzzo che viene essiccato all’aria, al vento, alla pioggia, al sole, appeso su bastoni posti su grandi rastrelliere, oggi come ai tempi di Querini. E anche prima:  infatti è, questa, una tecnica messa a punto addirittura dai vichinghi.




Baccalà è il merluzzo che, appena pescato nelle acque del profondo Nord, è decapitato, aperto, pulito e messo in barili sotto sale per circa tre settimane. Variante: salatura e passaggio in tunnel per una settimana.




Il merluzzo artico norvegese, pesce predatore, regna nei “Grand Banks”, la piattaforma continentale di 3500 kilometri quadrati, situata nell’Atlantico Settentrionale, al largo di Terranova e delle coste del Labrador. Più precisamente, della parte occidentale, nella zona compresa tra la Groenlandia fino alla Carolina del Nord, e della parte orientale con Mare di Norvegia fino all’Islanda e lo Spitzbergen, Mare del Nord e Mare di Barentz. Nei Grand Banks la scarsa profondità, variabile tra 25 e 100 metri, e l’incrocio tra la calda corrente del Golfo e la fredda corrente del Labrador, che sollevano dal fondale le sostanze nutrienti, ne fanno una delle zone più pescose al mondo.
Il merluzzo non esiste nel Mar mediterraneo che non gli assicura un habitat adatto. Ci sono, nel Mar Mediterraneo, altre specie della famiglia come il nasello (Merluccius merluccius), che però nulla ha a che vedere con il merluzzo nordico.

Identikit del merluzzo artico

Il Gadus Morhua può superare i 50 kg di peso e il metro e mezzo di lunghezza.  Colore verdastro, leggermente maculato sul dorso, linea bianca laterale lungo tutto il corpo.
Vive in branco nelle gelide acque dei mari del Nord e – un po’ come fanno i salmoni – quando raggiunge la maturità, intorno 6/7 anni, migra lungo le coste della Norvegia per deporre le uova. E’ una specie  molto feconda e ciascun esemplare arriva a deporre  dagli 8 ai 10 milioni di uova pelagiche l'anno. Alcuni ci riescono a deporre le loro uova, altri sono catturati appena prima e costituiscono il massimo desiderabile dai gourmet: provengono dal mare di Barents, sono chiamati SKREI, e la pesca, severamente regolamentata, ne è consentita solo tra gennaio e aprile.


Questi esemplari sono definiti “merluzzi innamorati” per via del loro stato e il tipo di pesca è detto “di corsa” perché deve essere affrettato. La polpa è bianca, succulenta, soda, più grassa di quella di un merluzzo normale, dunque ha una morbidezza eccezionale.


E il nome?
Il nome deriva probabilmente dalla cittadina norvegese di Stokke. Secondo alcuni però potrebbe derivare dal norvegese stokkfisk oppure dall'olandese antico stocvisch -  "pesce a bastone” -, secondo altri dall'inglese stockfish, -"pesce da stoccaggio" (scorta, approvvigionamento) -; altri ancora sostengono che pure il termine inglese sia mutuato dall'olandese antico, con lo stesso significato di "pesce bastone".
Nell'Italia meridionale, luogo dove fu inizialmente introdotto dai normanni, viene chiamato stocco o pesce stocco (piscistoccu) ed è particolarmente legato alla città portuale di Messina.

Nel Veneto, ma anche in Friuli, lo stoccafisso si chiama “bacalà”. “Bacalà” con una “c” sola. Perché il “baccalà” (doppia “c”) ha un’altra storia e viene da un altro mondo.

Nota: In questo post ci concentriamo sullo stoccafisso. Per il Baccalà l’appuntamento è a breve, praticamente subito.


Preparare lo stoccafisso
Lo stoccafisso, si è detto, è duro come un bastone e anche di più. Dunque, per poterlo cucinare è indispensabile ammorbidirlo e reidratarlo: due passaggi fondamentali per la riuscita di qualsiasi piatto. 
·      Quando si compera una baffa (così si chiama il pesce intero) è opportuno chiedere in pescheria se lo stoccafisso è già stato battuto. Dovrebbe esserlo ma, se non lo fosse, bisogna armarsi di un pestello o martello di legno e batterlo per ammorbidire le fibre. 
·       Segue l'ammollo, preceduto da una piccola ma importante operazione.

Prima di iniziare a bagnare lo stoccafisso, vi suggeriamo di rimuovere il “budello”, ovvero la vescica natatoria del pesce. Non è una pratica comune, è un accorgimento che permette di ottenere uno stoccafisso più gustoso perchè rende la procedura di ammollo “meno contaminata” e più pulita. Il “budello”, infatti, è la parte dello stoccafisso che contiene la più alta concentrazione batterica ed è quindi la parte più “puzzolente”, che potrebbe alterare il sapore finale del piatto. La vescica natatoria si trova all’interno del pesce, è di colore nero ed è facilmente identificabile una volta aperto il pesce a metà. Se intendete usare il “budello”, eseguite comunque questo passaggio e ammollatelo in un contenitore a parte per poi unirlo successivamente nella fase di cottura: è quanto avviene per lo Stoccafisso in buridda, grande e classica ricetta della cucina ligure.

A seguire: 
a) mettere lo stoccafisso in un recipiente pieno di acqua fredda, coprendo interamente il volume del pesce, e tenerlo al fresco (bene in frigorifero a circa +4°C)
b) cambiare l’acqua dopo due ore, sciacquando accuratamente lo stocco. Porre ancora al fresco
c) rinnovare l’acqua ogni 8 ore per una durata complessiva di 36/48 ore (o più se il pesce non risultasse sufficientemente morbido.
Finita l’ammollatura, lo stoccafisso deve essere considerato come un pesce fresco e valgono pertanto le stesse modalità di conservazione. Sebbene sia possibile conservarlo in congelatore dopo l’ammollo,  consigliamo di utilizzarlo subito.

A questo procedimento esistono alternative che semplificano la vita.

Lo stoccafisso si può trovare già bagnato sui banchi delle pescherie, dei supermercati, dei mercatini rionali  e perciò se ne possono acquistare anche solo dei tranci.  Personalmente suggerisco di passarlo ancora in acqua fredda corrente per qualche ora.

Esiste poi in commercio stoccafisso di eccellente qualità già bagnato, congelato, con o senza pelle.  A questo punto introduciamo il tema della qualità. Per il congelato, il marchio che ci sentiamo di suggerire è HALVORS (prodotto e distribuito da JC-Jolanda de Colò).  Per quanto riguarda lo stoccafisso secco, da anni e anni la qualità ricercata si chiama RAGNO.

Infine, una precisazione sulle quantità.  Uno stoccafisso secco va dai 60 agli 80 cm di lunghezza e dai 900 ai 1200 g di peso per gli esemplari grandi mentre per i più piccoli dai 750 agli 800 g.
Dopo l’ammollo, sono recuperate (più o meno) le dimensioni originali con raddoppio del volume e triplicazione del peso.
Per 4 persone, la quantità corretta prima dell’ammollo si aggira tra i 400 e i 500 grammi.


Le ricette

Abbiamo dovuto scegliere: la quantità di ricette con protagonista lo stoccafisso è di numero inimmaginabile. Così abbiamo fatto una selezione (drastica) tenendo conto delle regioni in cui c’è un forte radicamento di questo straordinario alimento.



Bacalà mantecato alla veneziana
Ricordando Pietro Querini e il suo equipaggio



750 g stoccafisso secco - 500 g latte intero - 1500 g acqua
1 l olio di semi di arachide - sale e pepe q.b

Dopo l’ammollo, rimuovere spine e pelle, quindi mettere in una pentola con l’acqua e il latte,  portare a bollore e, dopo aver regolato al minimo la fiamma, far cuocere per 25 minuti al massimo.  Lasciar raffreddare per almeno mezz’ora. Scolare (conservando il liquido di cottura) e passare nel mixer tutta la polpa, poi trasferirla nella planetaria con un po’ di olio di arachidi e iniziare a montare aggiungendo un poco di liquido di cottura.  Continuare alternando olio e liquido di cottura (quest’ultimo solo se necessario per la morbidezza), fin quando l’olio non sia terminato. Aggiustare di sale e pepe, amalgamando il composto con una spatola per non farlo smontare.
Servire il bacalà con polenta, cosparso di un po’ di erba cipollina.

La ricetta si deve allo chef Daniele Zennaro ed è stata presentata al Milano Food & Wine Festival del 2014. Il piatto è servito nello storico ristorante veneziano  Vecio Fritolin.



Bacalà alla vicentina


1 kg stoccafisso secco – ½ l olio extravergine di oliva –
250/300 g cipolle -  3 sarde sotto sale – 1/2 l latte fresco
1 manciata di farina bianca – 50 g grana grattugiato
1 ciuffo prezzemolo tritato – sale e pepe q.b.

Dopo l’ammollo aprire il pesce per lungo, togliere lisca e spine. Tagliarlo a pezzi. Affettare finemente le cipolle, rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le sarde sotto sale(dissalate e disliscate, ndr) tagliate a pezzetti e, per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato. Infarinare leggermente i vari pezzi di bacalà, irrorarli con una parte di soffritto, disporli uno accanto all’altro in un tegame di coccio o alluminio sul cui fondo sarà stato messo un altro poco di soffritto; ricoprire il pesce  il soffritto restante quindi aggiungere il latte, il grana grattugiato, sale e pepe (attenzione al sale!). Unire l’olio fino a ricoprire tuti i pezzi livellandoli. Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezza, muovendo ogni tanto il tegame in senso rotatorio, senza mai mescolare. Questa fase di cottura, in termine vicentino, si chiama “pipare”.
Il baccalà alla vicentina è ottimo dopo un riposo di 12 ore (ma anche di 24).

Questa ricetta è stata ritrovata e convalidata in molte riunioni di studio dalla Confraternita del Bacalà  che ha sede istituzionale a Sandrigo.  La Confraternita, tuttavia, riconosce che ci sono molte varianti, come spesso accade nelle ricette che si tramandano. “Su un punto sono tutti d’accordo: l’olio di cottura deve essere della migliore qualità, abbondante, e il bacalà non deve mai essere rimescolato.



Stoccafisso accomodato
(Genova)



800 g di stoccafisso già ammollato – 500 g patate – 50 g pinoli
20 olive nere taggiasche – 1 cipollina –1 spicchio d’ aglio
1 ciuffo prezzemolo – 1 cucchiaio pomodori secchi
1 cucchiaio concentrato di pomodoro
1 bicchiere vino bianco secco – olio extravergine di oliva qb

Dopo averlo sbollentato, diliscate lo stoccafisso e tagliatelo a pezzi. Sbucciate e tagliate a pezzettoni le patate. Tritate e soffriggete lievemente in un bicchiere di olio extravergine di oliva  la cipolla, l’aglio, il prezzemolo e i pinoli. Versate il vino bianco, i pomodori secchi e il concentrato. Quando il vino è evaporato, aggiungete i pezzi di stoccafisso, le patate (crude) e le olive intere. Salate e versate acqua calda a più riprese fino a coprire il tutto e fino a cottura ultimata (circa mezz’ora).

La ricetta è della Trattoria da Jolanda, a Isoverde di Campomorone (Genova) ed è segnalata nel Libro “Osterie d’Italia” di Slow Food. Lo stocche accomoddou a zeneise è il classico piatto del venerdì nelle osterie liguri.


Brandcujun
Stoccafisso mantecato alla sanremese




1 kg stoccafisso bagnato – 1 kg patate - 1 cipolla
1 bicchiere di olio extravergine di oliva
 1 spicchio d’aglio - 1 limone (succo) – prezzemolo
 sale e pepe q.b.

Partendo da acqua fredda non salata cuocere lo stoccafisso a fiamma dolce per 45/50 minuti; scolare tenendo da parte il liquido di cottura che servirà per un’eventuale aggiunta alla preparazione e, la parte maggiore, per cuocere le patate e la cipolla. Mentre questa cottura procede togliere la pelle allo stocco e diliscando con grande attenzione: nessuna preoccupazione se, con questa operazione il pesce va a pezzetti.
Preparare un battuto d’aglio e prezzemolo, unirlo all’olio, al succo di limone, quindi salare e pepare.
Mettere stoccafisso, patate e cipolla in un mixer e sminuzzare a colpi brevi fino a ottenere un composto “ruvido” nel quale si sentano frammenti di pesce.
Amalgamare questo composto alla salsina preparata con il battuto e, se necessario, allungare con l’acqua di cottura fino ad ottenere una consistenza morbida.
Servire su  fette di pane tostato strofinate con aglio (se gradito).

Il termine Brandcujun o Brandcojon o Brand de cojun testimonia il collegamento con la Provenza tramite la quale avvenivano le importazioni di stoccafisso.” Brandade”  deriva da “branler” o “brandir”, cioè scuotere. In sostanza, il termine avrebbe un’origine antica, nata a bordo dei pescherecci dove l’assemblaggio degli ingredienti – stoccafisso, patate, cipolla… - avveniva mediante lo scuotimento energico impresso dai marinai alla pentola tenuta fra le gambe. Quindi se “brandade” è il frutto dello scuotimento, cosa significhi “cujun” non è difficile da immaginare!


Stoccafisso all’Anconetana
(Ricetta Originale)



1 kg. di Stoccafisso già bagnato - 5 acciughe  - 3 carote
 1 cipolla di media grandezza - 2 coste di sedano verde
 3 rametti di rosmarino –50 g di capperi dissalati
1/3 di litro di vino Verdicchio dei Castelli di Jesi
1 peperoncino (facoltativo) – 100 g di olive nere
1 kg di pomodori a grappolo maturi - 1 kg di patate
1/2 litro di olio extra vergine di oliva - sale q.b.


Pulire lo Stoccafisso togliendo la spina centrale, tagliarlo a pezzi e predisporli in una teglia dal bordo alto.
Preparare un battuto finissimo con  sedano, carota, cipolla, capperi, acciughe e rosmarino e con la metà di questo trito condire lo Stoccafisso predisposto precedentemente in teglia, aggiungendo sale q.b. e circa mezzo litro di olio extra vergine di oliva.
Tagliare le patate a spicchi di media grandezza e metterle sopra lo strato di Stoccafisso fino a coprirlo totalmente.
Condire il tutto con l’altra metà del trito rimasto, poco peperoncino tagliato sottile (facoltativo), sale, pomodori a pezzi qua e la, il vino Verdicchio, acqua fredda fino a coprire il tutto e olive nere.
Lasciarlo cuocere a fuoco lento per circa 2 ore (30 min. sul gas e 1h e 30min. al forno a 130/140 gradi circa). Il consiglio è di consumare questo semplice piatto tipico 12 ore dopo la cottura.
La ricetta classica prevedeva di mettere uno strato di canne di bambù tra il fondo della teglia e lo Stoccafisso per evitare che il preparato si attaccasse. In alternativa si può usare una griglia.

La ricetta è codificata dall’Accademia dello stoccafisso all’anconitana. Un’Accademia nata sul filo della storia: le navi che da Ancona arrivavano alle città anseatiche e sovente risalivano i fiordi della Norvegia, per non tornare vuote importavano grandi quantità di stoccafisso soprattutto dalle isole Lofoten. Così è nato un piatto che è diventato simbolo gastronomico della città.



Piscistoccu agghiotta a la missinisa



1 Kg di stoccafisso ammollato – 300 g di pomodori
freschi e maturi - 200 g di olive bianche in salamoia
100 g di capperi - 50 g di gambi di sedano con foglie
50 g di carote - 200 g di cipolla
150 g di pere 'mputiri (pere da cuocere) o patate
50 g di conserva di pomodoro - 30 g di pinoli
30 g di uva passolina – 1 manciata di farina
olio extravergine di qb - sale e peperoncino


Sgocciolare e disliscare con cura lo stocco, tagliarlo a pezzi quadri mantenendo la pelle,  asciugarlo bene e infarinarlo leggermente. In un capace e largo tegame di terraglia o alluminio (dovrebbe contenere il pesce in unico strato) rosolare in olio la cipolla affettata sottile, i gambi di sedano a rondelle, prima sbollentati e privati di tutti i filamenti e  le carote tritate, senza far scurire il soffritto; aggiungere i pezzi di stocco infarinati rigirandoli delicatamente per dorarli su tutte le parti ma laccomodandoli – alla fine di questo breve procedimento – appoggiati con la pelle verso il fondo del tegame; unire i pomodori freschi a pezzetti e lasciar sobbollire per qualche minuto a fiamma dolce; unire poi i tocchetti di patate o pere (sbucciate). Sciogliere in acqua calda due o tre cucchiaini  di conserva di pomodoro e versarla sul pesce in quantità tale da coprirlo. Cuocere a fiamma bassa per una mezzora, aggiungere l'uva passa, prima ammorbidita in acqua tiepida, i pinoli, sale e pepe. Proseguire la cottura per un paio d’ore senza mai rigirare la preparazione. E’ però utile scuotere il tegame con movimento circolare per evitare che la farina faccia da collante sul fondo. Trascorse queste due ore (più o meno) è la volta dei capperi, delle olive bianche e delle foglioline verdi del sedano. Ancora una buona mezz'ora di cottura e, quando il sugo diventa sciroppo, le patate (o le pere) sono morbide e il pesce è in via di sfaldamento, lo stocco è pronto. Prima di servire irrorare con un filo di olio crudo.

Questa ricetta è frutto di ricerca e mediazione fra le decine di proposte scritte e/o orali  in circolazione. Le diversità sono soprattutto rappresentate dall’alternativa tra l’uso delle pere – di tradizione – o la loro sostituzione con le patate, come accade sempre più sovente. Allo stesso modo c’è chi mantiene l'uva passa e i pinoli e chi invece ne fa a meno. Questione di gusti e di modi. Una cosa è certa: l’eliminazione di alcuni ingredienti non può che appiattire i sapori, rendendoli tutti più simili l’uno all’altro, lungo l’intero stivale.



Grazie alle fonti

 www.wikipedia.it - www.alimentipedia.it - www.taccuinistorici.it - www.circolopolare.com - www.gustosamete.com - www.pescamare.net - www.scmncamogli.org - www.tagliapietra.com - http://veciofritolin.it - www.arsvitae.it - http://prodottipolesine.it - www.accademiasitalianacucina.it - http://baccalaallavicentina.it - httpp://visitancona.com -www.jolandadecolo.it - www.cataniatradizioni.it













































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