Trippa. Cibo povero. Cibo grasso. Cibo “volgare”, nel senso di consumato dal “volgo”. Non è così. Ecco perché.
Trippa?
Si deve
parlare, piuttosto, di trippe visto che si tratta di diverse parti - quattro
strati - dello stomaco del bovino,
ciascuna delle quali ha un nome proprio che però muta a seconda della zona
geografica.
Reticolo
(Beretta, Cuffia, Nido d’ape): ha
un aspetto spugnoso e la sua forma ricorda quella di una cuffia.
Omàso -
(Centupezzi, Foiolo, Libretto, Millefogli, Centopelli).
Abomàso
- (Caglio, Francese, Frezza, Lampredotto, Quaglietto, Riccia, Ricciolotta)
Nella
consuetudine ormai si parla genericamente di “trippa” al singolare. E' comunque sempre più difficile utilizzare il plurale perché è praticamente impossibile trovarle tutte e quattro (quanto meno in base alle leggi sanitarie italiane).
“Contrariamente all’idea comune, la trippa non è un piatto grasso
ma gelatinoso”. E’ la parola -
incontestabile - del Gran Maestro della Confraternita di gastronomia normanna
La Tripière d’Or.
“Ma chi mangia trippa qui?” chiese il signor Filer guardandosi attorno. “La trippa è indiscutibilmente il meno economico e il più dispendioso genere di consumo che ci sia sul mercato del nostro paese. Si è stabilito che, nella cottura, il calo di un chilo di trippa è di sette quarantesimi superiore a quello riscontrabile in qualunque altra sostanza animale. A conti fatti, la trippa viene a costare assai più dell’ananas. Tenendo conto del neo di animali macellati annualmente, secondo le tavole della mortalità, e rifacendoci a un minimo della qualità di trippa che questi animali potrebbero fornire, ritengo che lo spreco, in seguito alla cottura, sarebbe sufficiente a nutrire una guarnigione di cinquecento uomini per cinque mesi di trentun giorni, escludendo febbraio. Che spreco, che spreco!”.
“Trotty aveva un’aria stupefatta e gli tremavano le gambe. Si sentiva
quasi colpevole di aver fatto morire di fame una guarnigione di cinquecento
uomini”.
Charles
Dickens, “The chimes“ da “The
Christmas Carol” (“Le Campane” da “Racconti di Natale”).
Grandi
scrittori, poeti, pittori, disegnatori, fumettisti… il mondo intellettuale del
passato lontano e recente ha celebrato la trippa. Da Dumas a Dickens a
Shakespeare a Pessoa. Da Vasco Pratolini a Stefano Benni. Da Lucien Boucher - disegnatore, incisore
e illustratore francese - al
celebrato fumettista Andrea Pazienza.
La
trippa è una moda. Le città mettono il sigillo al loro modo di cucinarla. Caen,
Milano, Firenze, Roma, Porto…..
E alcuni
autori usano la trippa come metafora…
“Un
giorno, in un ristorante, fuori dallo spazio e dal tempo,
Mi
servirono l’amore come trippa fredda.
Dissi
con delicatezza all’inviato dalla cucina,
che la
preferivo calda,
poiché
la trippa (ed era alla maniera di Porto) non si mangia mai fredda.
Si
spazientirono con me.
Non si
riesce mai ad aver ragione, nemmeno in un ristorante.
Non
mangiai, non ordinai nient'altro, pagai il conto,
e andai
a passeggiare lungo tutta la strada.
Chissà
cosa significa tutto ciò?
Non so,
ed è successo a me...
(So
molto bene che nell'infanzia di tutti c'è stato un giardino,
privato
o pubblico, o del vicino.
So molto
bene che il gioco era il suo padrone,
e che la
tristezza è quello dell’oggi).
Lo so
bene questo,
ma, se
ho chiesto amore, perché mi hanno portato
trippa
alla maniera di Porto fredda?
Non è un
piatto che si possa mangiare freddo,
ma me
l'han portato freddo.
Non mi
sono lamentato, ma era freddo,
non si
può mangiare freddo, ma arrivò freddo.”
Álvaro
de Campos (Eteronimo di Fernando Pessoa)
E ora le trippe. Fumanti.
Ricette
Premessa. Nei tempi andati le trippe venivano vendute allo stato "naturale": dovevano essere pulite
accuratamente, lavate più volte con sale e aceto, bollite a lungo in più acque prima di essere cucinate per
ottenere il piatto finale. Ora i macellai - e ancor prima i trippai dove esistono e resistono - presentano le trippe sostanzialmente
pronte per la cottura che le trasformerà in prelibatezza. Il consiglio è
comunque di sciacquarle molto bene, poi di metterle in una pentola con un dito d’acqua, di porle quindi
sul fuoco, portarle a bollore e lasciarle sobbollire per una decina di minuti per purificarle. Infine sciacquare
nuovamente sotto acqua corrente fredda.
Nelle ricette che seguono, dunque, queste operazioni
si danno per fatte.
Tripes à la mode de Caen
La
storia. La ricetta originale risale al XVI secolo ed è attribuita a Sidoine
Benoît, monaco nell’Abbazia Aux Hommes di Caen, capitale della Normandia del
Sud, nota come la città dai cento campanili. E’ un fiore all’occhiello della cucina francese e ad essa è
dedicato, dal 1951, un concorso che si tiene annualmente a cura della
Confraternita della gastronomia normanna “La tripière d’or”.
Osserva il
Gran Maestro della Confraternita: “E’ un piatto composto dai quattro stomaci di
bue, ai quali si aggiunge un piede di vitello. Il piatto è semplice, realizzato
con condimenti semplici. E’ tutta questione di equilibrio. L’importante è saper dosare”.
Delle Tripes à la mode de Caen ha scritto anche Alexandre Dumas. E al grande scrittore non si può non dare il posto d'onore. Con un avvertimento. Il suo “Grande dizionario di cucina” è
un affascinante monologo sul cibo, lungo 800 pagine e ricco di quasi 2500 ricette.
E’ un racconto e, come tale, non prevede l’indicazione delle quantità.
“Foderate una stufaiola con cipolle, carote a fette, lardo, chiodi di garofano, un mazzetto guarnito, aglio, una foglia d’alloro, pepe grosso, un pezzo di zampetto di manzo; scolate le trippe, mettete sale e noce moscata grattugiata; sistemate le trippe in una terrina con garretto di prosciutto; bagnate con vino bianco annacquato, coprite con strisce di lardo.
Posate
il coperchio e chiudetelo ermeticamente lutato (sigillato, ndr) con della pasta, fate cuocere sette ore in
forno molto dolce e servite caldo, con il sugo di cottura sgrassato e legato”.
E dalla
Confrérie de Gastronomie Normande La
Tripière d’Or
(per 4 persone)
1 kg di trippe miste - 1 piede di bue - 1 piede di vitello
3 carote - 3 cipolle
- 1 porro
1 spicchio d’aglio
- 2 chiodi di garofano -
prezzemolo - timo - alloro
sidro di Normandia -1 bicchiere di Calvados
farina - acqua
Farsi
preparare dal macellaio le trippe tagliate a quadrotti regolari di circa 5/6 cm
di lato e le zampe di vitello e di bue divise in due. Pulire le carote,
affettarle a rondelle sottili, disporle sul fondo della tripière (tegame
basso in terracotta, ndr). Affettare due cipolle, schiacciare l’aglio. Steccare
la terza cipolla con i chiodi di garofano. Preparare un bouquet garni con
prezzemolo, timo, alloro e porro. Mettere il tutto nella tripière ,
aggiungere le trippe e i due piedi. Irrorare con un bicchiere di Calvados e
quindi con il sidro fino a far affiorare il liquido al di sopra delle carni.
Coprire e sigillare ermeticamente il coperchio con un rotolino di pasta
preparata con acqua e farina.
Mettere
le trippe in forno preriscaldato a 100 °C e lasciarle cuocere da 10 a 12 ore.
Al termine della cottura, scoperchiare, togliere il bouquet garni e la cipolla
steccata; recuperare i piedi, togliere gli ossicini, tagliarli a pezzetti e
unirli alle trippe. Sgrassare il sugo.
Nota: Le
trippe da sempre vengono cotte in un tegame apposito, la già citata tripière che è ancora prodotta in
Francia e più precisamente a Noron-la-Poterie, nei pressi di Bayeux.
Busecca alla milanese del
1815
da
“Il ghiottone lombardo”
L’origine del vocabolo “busecca” è riconducibile al tedesco butze (viscere) divenuto poi, in italiano, “buzzo” e in dialetto “busa” (pancia) ; da qui “busecch” e infine “busecca”. In dialetto si ha infine “büséca”.
Le
ricette milanesi e lombarde per cucinare la trippa sono numerose: asciutta, con
le verdure essenziali tipiche da soffritto; in minestra, da assaporare con
grosse fette di pane rustico; con patate e/o verze; con fagioli borlotti oppure
con i “bianchi di Spagna”…
Noi scegliamo
il ritorno al passato, tornando all’Ottocento. E’ la busecca di Carlo Porta.
“Si sceglie trippa di vitello detta francese,
che sia bianca e tenera e la si taglia a pezzetti, dopo averla ben sgrassata e
ben lavata in più acque. Si prepara un trito di lardo e pancetta, due spicchi
di aglio, qualche foglia di sedano, una di salvia e poco prezzemolo e la
grascia levata alla trippa. Si frigge il trito con un poco di burro, ma poco, e
una cipolla affettata.
Quando il condimento è ben cotto vi si mettono a
rosolare carote sedano, quindi la trippa. La si rivolge più volte spolverandola
di farina bianca; vi siaggiungono i fagioli (preferibilmente quelli bianchi
detti spagnoli) e vi si mette acqua bollente e salata fino a coprire il tutto,
aggiungendovi pepe e sale e, se occorre, poche spezie epoca salsa di pomodoro.
Si lascia cuocere per un paio d’ore e si serve con formaggio di grana
grattugiato.”
Nota:
Anche in questa ricetta non ci sono le dosi. Come ha ben precisato Mr. File, il
personaggio di Dickens, "economista" per formazione e lavoro, la trippa “rende” pochissimo. Se la si consuma come
piatto principale o unico, per quattro persone bisogna pensare almeno a un
chilo e mezzo con circa 200/250 g. di fagioli secchi che (Porta non lo dice ma
è obbligatorio…) andranno messi a bagno il giorno prima, aggiungendo all’acqua
(abbondante) un cucchiaino di bicarbonato che ne renderà più morbida la buccia.
E andranno scottati
separatamente per una ventina di minuti, quindi sciacquati (acqua tiepida) e
aggiunti alla trippa.
Lampredotto
ovvero il cibo di strada a Firenze
Trippa,
un amore lungo secoli. Già nel 1400 i trippai fiorentini erano popolarissimi e
riuniti in una Corporazione, importante, con regole severe e leggi che
consentivano solo a loro di “trattare” la trippa. Ma “quale” trippa?
La
ricetta per cucinare il Lampredotto è di semplicità disarmante e sorprende che
tanta semplicità produca un sapore unico, indescrivibile.
Ecco
cosa serve e come fare
(per 4
persone)
1 lampredotto intero (varia da 700 g a 1 kg) - 2
pomodori - 6 carote
3 grosse
cipolle - 4 coste di sedano - 1 ciuffo di prezzemolo
2 chiodi di
garofano - pepe in grani - sale grosso - 4 l di acqua fredda
Steccare
una delle cipolle con i chiodi di garofano, mettere in una pentola tutte le
verdure, i grani di pepe, un buon pizzico di sale grosso e il lampredotto - già
“trattato” dal trippaio - che avrete opportunamente sciacquato ancora molto
bene sotto acqua corrente. Portare a bollore, incoperchiare, lasciar sobbollire
a fuoco dolce per almeno tre ore. Terminata la cottura, tagliare a pezzetti il
lampredotto e servirlo bollente accompagnato dai condimenti preferiti. Il
grande classico è la salsa verde. Ovviamente l’alternativa è il semelle. Il
panino diventerà sublime se la parte superiore sarà bagnata con il brodo.
La trippa alla moda di Roma
ovvero
Non c’è trippa per i gatti
La
storia. C’è un detto, romano ma popolare in tutt’Italia: “Non c’è trippa per i
gatti”. Molto efficace. La sua origine viene fatta risalire agli inizi del ‘900
quando l’allora sindaco della capitale - Ernesto Nathan - propose di eliminare dal bilancio
comunale una voce di spesa relativa al mantenimento di una colonia di gatti
randagi.
1,5 kg di trippa - 70/80 g di grasso di prosciutto - 2
cipolle - 2 coste di sedano 2
spicchi d’aglio - salsa di pomodoro - parmigiano grattugiato – brodo
30 g burro
- sale e pepe
In una
casseruola alta fondere il burro con il grasso di prosciutto battuto, unire cipolla, sedano e carote tritati
fine e lasciar insaporire per un quarto d’ora. Unire la trippa tagliata a
striscioline e, dopo una decina di minuti, aggiungere tre cucchiai di salsa di
pomodoro sciolta in acqua calda. Far cuocere per mezz’ora, poi aggiungere altro
brodo fino a coprire la trippa e lasciare sul fuoco per almeno altre due ore,
mescolando di tanto in tanto e aggiungendo, se necessario, altro brodo. Al
termine della cottura spolverizzare di parmigiano grattugiato e servire bollente.
Dobrada à moda do Porto
1 kg di trippe di vitello - 1 zampa di vitello - 1 osso
di prosciutto crudo
150 g di salsiccia - 150 g salame - 1 pollo o mezza
gallina
500 g di fagioli borlotti o bianchi di Spagna (800 g se
freschi)
2 carote - 2 cipolle grandi - 1 cucchiaino di salsa
concentrata
1 cucchiaio di paprika dolce - 2 foglie di alloro - prezzemolo
1 bicchiere di Porto - sale e pepe
Procurarsi trippe già ben pulite e parzialmente cotte. Comunque lavarle accuratamente quindi
metterle in una pentola con un dito d’acqua leggermente salata, portare a
bollore e lasciar spurgare ulteriormente per qualche minuto. Sciacquare.
In altro tegame, con acqua,
cipolla, 1 costola di sedano e 1 carota, cuocere lo zampetto diviso in due. Poi
disossarlo e tagliarlo a pezzetti. In un recipiente possibilmente di cotto
mettere un cucchiaio di olio extravergine di oliva e rosolarvi leggermente
l’osso di prosciutto: nel caso non lo aveste trovato, andrà bene il prosciutto
tagliato a cubetti. Insieme rosolare anche salame e salsiccia a rondelle
spesse. Aggiungere le verdure tritate, lasciar stufare controllando che non
brucino poi unire il pollo o la gallina, tagliati a pezzetti piccoli e la salsa
concentrata. Irrorare con un bicchiere di Porto e qualche mestolo di brodo di
pollo (…alla peggio fatto con i dadi…), insaporire con una spolverata di
paprika e l’alloro. Coprire e lasciar cuocere per una mezz’ora. Aggiungere la
trippa tagliata a listarelle sottili, lo zampetto disossato e i fagioli che
intanto saranno stati sbollentati per una ventina di minuti in acqua,
rigorosamente non salata. Cuocere a lungo (la cottura dei fagioli sarà un buon
indicatore), a fuoco molto dolce e tegame coperto. Assaggiare e regolare di
sale e pepe. Servire le trippe bollenti, spolverate di prezzemolo fresco
tritato finissimo.
Avvertenza.
In caso di fagioli secchi, la sera precedente metterli in acqua fredda con un
cucchiaino di bicarbonato per ammorbidirli.
Grazie alle fonti
www.troppatrippa.com
www.accademiadellatrippa.com - www.cibodistrada.it www.lampredotto.net
- www.nuovatripperiafiorentina.it
it-wikipedia.org - www.ilgiornaledelcibo.it
www.normandie-heritage.com - www.treccani.it www.portugal.gastronomias.com - www.guidaportogallo.net
Il dipinto di apertura “I mangiatori di trippa” è del Maestro
Giovanni Ricchi
Il Grande Dizionario
di cucina di Alexandre Dumas è edito da
IBIS- Como (2002)
Il
Ghiottone Lombardo di Carlo Steiner è edito da
Bramante Editrice –
Milano (1964)
"Rosso Micione" di Eric Battut è edito da
Bohem Press Italia
"Rosso Micione" di Eric Battut è edito da
Bohem Press Italia
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