“Io sono una maga delle Spezie.
So usare anche il resto. Minerali, metallo, terra, e sabbia, e pietra.
Le gemme splendenti di luce fredda e limpida. I liquidi che ti accendono gli
occhi di bagliori variopinti finché non riesci più a vedere altro. Ho imparato
tutto sull’isola.
Ma la mia passione sono le spezie.
Ne conosco origini, significato dei colori, profumi. Posso chiamarla
una per una con il nome assegnato loro quando la terra si spaccò come una
scorza per offrirle al cielo. Il calore che emanano mi scorre nelle vene.
Dall’amchur, la polvere di mango, allo zafferano, tutte si piegano ai miei
comandi. Un sussurro, e mi svelano proprietà segrete e poteri magici.
Sì, possiedono tutte un pizzico di magia, anche le spezie che
quotidianamente gli americani spargono sulle pietanze senza pensarci troppo.
Non ci credete? Ah. Avete dimenticato gli antichi segreti ben noti alle
nonne delle vostre nonne. Eccovene uno: i semi di vaniglia ammorbiditi nel
latte di capra e strofinati sui polsi proteggono dal malocchio. E un altro
ancora: una dose di pepe a forma di mezzaluna ai piedi del letto tiene lontani
gli incubi.”…
Chitra Banerjee
Divakaruni, “La maga delle spezie”, 1997
Cannella, noce moscata, anice
stellato, cumino, vaniglia, zafferano, zenzero… un mondo di spezie antiche
quanto il mondo, usate in tutto il mondo, anche (e soprattutto) da chi non sa
di magie ma vuole rendere magici i piatti che servirà in tavola. Perché le
spezie sono quel tocco in più che fa la differenza: ma solo se di ottima
qualità, ben dosate, usate correttamente.
Lo sapevano gli egizi, i greci,
i romani che ne facevano non solo medicamenti per guarire o unguenti per
lisciare e profumare la pelle ma altrettanto sapientemente le abbinavano ai
cibi per esaltare un sapore, per rendere il piacere della tavola un’esperienza
sublime. Certo, tutto ciò se lo potevano permettere esclusivamente Principi e
Papi, nobili e facoltosi, perché le spezie erano costose, costosissime, quindi
riservate alle élites.
Alonso Sanchez Coello, "Il banchetto dei re", 1599
Un carico di noce moscata o
chiodi di garofano poteva valere più di un carico d’oro. Antiche cronache
raccontano che in pieno Medioevo una manciata di chiodi di garofano era
scambiata con mezzo bue o, in alternativa, un montone.
Non a caso le spezie, fino al
Cinquecento, fecero la fortuna delle Repubbliche marinare di Genova e Venezia,
dove si formavano i prezzi in base agli arrivi. Ancora oggi sopravvive un modo
di dire nato nella città della laguna: “caro
come il pepe”.
Per le spezie i monopoli
infranti si sono susseguiti nel tempo, determinando tonfi e nuove fortune. Basti pensare alla ricchezza immensa
del Portogallo, alla sua potenza, creata conquistando paesi e “droghe", che
commerciava con grande abilità. Agli inizi del 1500, infatti, il portoghese
Vasco da Gama, grande esploratore, inizia a circumnavigare l’Africa,
assicurandosi ingenti forniture di spezie e lasciando Venezia a bocca asciutta.
Fine di un monopolio, peraltro insidiato anche da olandesi, inglesi, francesi.
Crollo dei prezzi.
Ifredo Roque Gameiro, "Vasco da Gama sbarca a Calicut nel 1498", lito 1900 ca.
Intanto le
spezie, in cucina, avevano fatto passi da gigante.
Marco Gavio
Apicio, romano, capostipite di tutti cuochi (visse tra il 25 a.C. e il 37 d.C.)
per accompagnare carne di cinghiale suggeriva una salsa così composta: pepe,
carvi, levistico, grani di coriandolo grigliati, grani di aneto, sedano, timo,
origano, cipolla, miele, aceto, senape, garum e olio.
Secoli dopo
– nel 1300 un cuoco francese, alla corte del re di Francia, di nome Guillaume Tirel, ma detto Taillevent
(Taglia-vento, termine marinaro) per via del naso imponente e dotato di
finissimo olfatto, elabora una salsa chiamata “cameline” il cui ingrediente
principale è la cannella. La ricetta si trova nel suo libro-testimonianza “Le
Viandier”, redatto in forma poetica nel 1380 (sulla data non si può giurare…) e
il nome “cameline” deriverebbe dal colore della salsa, simile a quello del pelo
del cammello. In italiano il nome è praticamente uguale: “camellina”.
Questa salsa agro-dolce, che può accompagnare perfettamente tutte le carni, è rimasta come pietra miliare nelle tradizioni culinarie di varî Paesi tra cui l’Italia, la Gran Bretagna, la Tunisia e, nella composizione, prevede, accanto alla cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero. Con un ricco numero di versioni e opzioni.
Intanto il
crollo dei prezzi aveva consentito l’accesso alle spezie anche agli strati
della popolazione meno abbienti. E
così l’alta cucina – ai tempi, per definizione, quella francese – qualcosa di
nuovo doveva pure inventarsi per soddisfare il raffinato palato dei nobili nel
momento in cui il “valore aggiunto” arrivava alla portata del popolo. I grandi
cuochi iniziano a sostituire le spezie con le erbe aromatiche: dal prezzemolo
alla menta, dall’aglio all’origano e avanti con la fantasia e la creatività.
Da quel
momento, tuttavia, nasce il grande equivoco: le spezie sono identificate con
gli aromi e viceversa. Facciamo chiarezza.
Spezie: sono di norma le
sostanze ricavate da alcune varietà di piante aromatiche, provenienti per lo
più da paesi tropicali; di queste si utilizzano parti diverse secondo il tipo
di spezia che si desidera ottenere. Ad esempio: la corteccia (cannella), i
bottoni floreali (chiodi di garofano), gli stimmi (zafferano) e i semi (pepe).
Aromi: sono considerate
le erbe o verdure (foglie e steli presenti allo stato selvatico ma anche
coltivate negli orti o in serra), generalmente consumate fresche ma, alcune,
anche essiccate per la conservazione. Le più note: basilico, alloro, cerfoglio,
coriandolo, dragoncello, prezzemolo, menta, rosmarino, salvia, timo,
maggiorana, origano, aglio.
SriLanka
Nell’epoca moderna, con un
grande ventaglio di Paesi esotici alla portata di molti, si è ampliato a
dismisura l’uso delle spezie anche in Europa. Così per molti di noi è
impossibile resistere alla tentazione di farne incetta, ovunque possibile, per
riprodurre a casa nostra quei cibi e quei profumi che ci hanno conquistato in
India o in Africa o in Sud America.
Ma l’acquisto massiccio, indiscriminato, è un errore assolutamente da evitare. Le spezie sono di difficile conservazione e perciò bisogna acquistarne in piccole quantità. E sapere cosa si acquista. Perché, per fare solo un esempio, è facile che si pensi di fare un affarone con zafferano in polvere a costo contenuto, e perciò invitante, mentre si tratta spesso di una miscela con altri componenti senza alcun valore gastronomico e commerciale.
Ma l’acquisto massiccio, indiscriminato, è un errore assolutamente da evitare. Le spezie sono di difficile conservazione e perciò bisogna acquistarne in piccole quantità. E sapere cosa si acquista. Perché, per fare solo un esempio, è facile che si pensi di fare un affarone con zafferano in polvere a costo contenuto, e perciò invitante, mentre si tratta spesso di una miscela con altri componenti senza alcun valore gastronomico e commerciale.
Dalla raccolta, all'acquisto, alla conservazione. Il consiglio è di scegliere spezie “intere” – ad esempio cannella in
stecche o noce moscata integra – e porle in barattoli non trasparenti, con
chiusura ermetica: saranno macinate e/o grattugiate al momento del consumo.
A parte queste raccomandazioni,
si lascia alla propria fantasia il mix da usare per un determinato piatto:
l’importante è non scordare mai che una spezia deve esaltare il sapore, non
sotterrarlo.
In sostanza,
cosa tenere nella nostra cucina? La risposta è banale: le spezie che si sa di
poter o voler utilizzare. Eppure resta il rischio di esagerare: una valutazione
approssimativa, probabilmente per difetto, indica in una cinquantina il numero
delle spezie usate nelle diverse parti del mondo, alcune
delle quali a noi quasi sconosciute. Non solo: di una stessa pianta possono
esistere molte specie. Esempio, il peperoncino, che appartiene al genere
Capsicum: ne esistono 31 specie, ne vengono coltivate solo 5; poi, all’interno
di ogni specie ci sono le diverse varietà. Traducendo in cifre, si dice (ma non
è possibile confermare) che ci siano 700 piante diverse di peperoncino con molte
differenti sfumature quanto a intensità e aroma.
Allora noi di che parleremo? Tralasciando la spezia più venduta al
mondo, cioè il pepe, cui abbiamo già dedicato un post, ci occupiamo delle star.
Star per popolarità e prezzo: zafferano, vaniglia, cardamomo,
cannella.
Zafferano:
i cibi diventano d’oro
Esisteva in Grecia, nella
notte dei tempi, un bellissimo giovane di nome Krokos. Era un essere mortale
che commise un fatale errore: innamorarsi di Smilace, una ninfa, talmente bella
e dolce da essere la prediletta di un dio, Ermes, il messaggero degli dei. Ma
questo amore scatenò gelosia e furia in Ermes, che non esitò a intervenire drasticamente:
trasformò Krokos in un bulbo, sepolto nella terra. E tuttavia aveva
sottovalutato la possibilità di una vendetta “di ritorno”. Dal bulbo nacque una
piccola e delicata pianta, dai bellissimi colori, che avrebbe regalato agli
esseri umani quella sostanza preziosa che si chiama zafferano.
Davvero
preziosa: le quotazioni dello zafferano di produzione italiana, hanno sfondato
la barriera dei 10mila euro al chilo per attestarsi nel 2016 a 12.500 euro/Kg
per il prodotto in pistilli e 13.000 euro/Kg per quello in polvere. E si tratta
di prezzi all’ingrosso che raggiungono il raddoppio nella distribuzione al
minuto.
La
formazione di un prezzo elevatissimo ha origine dal fatto che coltivazione,
raccolta e lavorazione sono interamente manuali. Per produrre un chilo di
zafferano è necessario raccogliere sui campi circa 150mila fiori, totalizzando
più o meno 500 ore di lavoro.
Zafferano di San Gavino Monreale
Dove nasce lo zafferano migliore? La produzione italiana è di ottima qualità ma molto ridotta. I luoghi dell’eccellenza di questa coltivazione si chiamano San Gavino Monreale, provincia del medio Campidano, in Sardegna, Fucecchio in Toscana e l’Aquila dove il crocus fu introdotto alla fine del 1300 da Domenico Santucci, un Padre domenicano, originario della Piana di Navelli. Questo frate, dopo essere stato a lungo al servizio del Tribunale dell’Inquisizione spagnolo, rientrando in patria, portò con sé dei bulbi di crocus, che trovando un idoneo terreno carsico, diedero immediatamente ottimi risultati.
Per restare
in Europa è d’obbligo citare la Spagna che produce uno dei migliori zafferani
al mondo e vanta Jiloca (nella comarca aragonese) come luogo dove si trova
l’eccelenza nell’eccellenza….
Tuttavia il
90% della produzione mondiale (dalle 200 alle 300 tonnellate annue) proviene
dalla regione Nord-orientale dell’Iran.
Ma ecco la
dose di zafferano in stimmi consigliata dagli esperti e l’indicazione di come
questi stimmi devono essere trattati per un esaltante risultato.
Per persona
, in generale si parla di 6/7 pistilli per persona, ma c’è chi ne propone anche
10/12, il che determina, ovviamente, l’intensità del sapore e dell’aroma. Qualunque sia la dose scelta, i
pistilli vanno messi in una piccola ciotola e coperti con acqua o brodo
bollente per preparazioni salate (esempio risotto), acqua o latte bollente per
dolci. L’ammollo deve durare da 40 a 60 minuti – meglio a recipiente coperto –
ed essere usata a fine cottura.
A parte qualche precisazione, difficile dire qualcosa di nuovo su questa spezia, della quale si parla già nei papiri egiziani, nel Cantico dei Cantici della Bibbia, nell’Iliade, “raccontata” da Omero, Ovidio, Virgilio e da molti altri scrittori e poeti. Fra questi ultimi si trovano anche autorevoli testimonianze, ben più recenti: Giovanni Pascoli, buongustaio, “provocato” in poesia dall’amico Augusto Guido Bianchi – giornalista del Corriere della Sera - mise in rima la ricetta del risotto giallo, così come lo cucinava Mariù, amata sorella e ottima cuoca. È, di fatto, la sfida tra risotto alla milanese e risotto alla… romagnolesca! Ma, per tutt’e due, lo zafferano ne è il principe.
La
tradizione milanese
Occorre di
carbone un vivo fuoco;
la casseruola; cento grammi buoni
di burro e di cipolla qualche poco.
Quando il burro rosseggia, allor vi poni
il riso crudo; quanto ne vorrei
e mentre tosta l’aglio e scomponi.
Del brodo occorre poi: ma caldo assai;
messine un po’ per volta,
che bollire deve continuo,
né asciugarsi mai.
Nel tutto, sulla fine, diluire
di zafferano un poco tu farai
perché in giallo lo abbia a colorire.
Il brodo tu graduare ben saprai,
perché denso sia il riso, allor che è cotto.
Di grattugiato ce ne vuole assai.
Così avrai di Milan pronto il risotto.
la casseruola; cento grammi buoni
di burro e di cipolla qualche poco.
Quando il burro rosseggia, allor vi poni
il riso crudo; quanto ne vorrei
e mentre tosta l’aglio e scomponi.
Del brodo occorre poi: ma caldo assai;
messine un po’ per volta,
che bollire deve continuo,
né asciugarsi mai.
Nel tutto, sulla fine, diluire
di zafferano un poco tu farai
perché in giallo lo abbia a colorire.
Il brodo tu graduare ben saprai,
perché denso sia il riso, allor che è cotto.
Di grattugiato ce ne vuole assai.
Così avrai di Milan pronto il risotto.
Augusto Guido Bianchi
La sfida della Romagna
Amico, ho
letto il tuo risotto in …ai!
E’ buono assai, soltanto un po’ futuro,
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”!
E’ buono assai, soltanto un po’ futuro,
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”!
Questo, del
mio paese, è più sicuro
perché presente. Ella ha tritato un poco
di cipolline in un tegame puro.
perché presente. Ella ha tritato un poco
di cipolline in un tegame puro.
V’ha messo
il burro del color di croco
e zafferano (è di Milano!): a lungo
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco.
e zafferano (è di Milano!): a lungo
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco.
Tu mi
dirai:”Burro e cipolle?”. Aggiungo
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.
Che buon
odor veniva dal camino!
Io già sentiva un poco di ristoro,
dopo il mio greco, dopo il mio latino!
Io già sentiva un poco di ristoro,
dopo il mio greco, dopo il mio latino!
Poi v’ha
spremuto qualche pomodoro;
ha lasciato covare chiotto chiotto
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro.
ha lasciato covare chiotto chiotto
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro.
Soltanto
allora ella v’ha dentro cotto
Il riso crudo, come dici tu.
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto
romagnolesco che mi fa Mariù.
Il riso crudo, come dici tu.
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto
romagnolesco che mi fa Mariù.
Giovanni Pascoli
La ricetta del Poeta.... e la cucina di Mariù
350 gr riso
carnaroli - 200 gr funghi - 100 gr
fegatini di pollo
1 bicchiere di passata di pomodoro -1 cipolla - 80 gr burro -1 bustina zafferano
carota sedano cipolla prezzemolo per il brodo vegetale
1 bicchiere di passata di pomodoro -1 cipolla - 80 gr burro -1 bustina zafferano
carota sedano cipolla prezzemolo per il brodo vegetale
Consiglio: Aggiungere lo zafferano
sempre e solo a fine cottura per mantenere sapore e aroma.
Isabel Allende, invece, ci regala una ricetta dolce e … afrodisiaca!
2 mele rosse - ¼ tazza d’acqua – 1 tazza di zucchero -
2 cucchiai di succo d’arancia
un pizzico di
zafferano in polvere
2 cucchiai di Grand Marnier – 4 cucchiai
di crema Chantilly
Far bollire
l’acqua, il succo d’arancia, lo zucchero e lo zafferano fino a ottenere un
caramello chiaro. Aggiungi le mele sbucciate, senza semi e divise in
quarti e falle cuocere a fuoco
basso per dieci minuti rigirandole per farle colorire in modo uniforme. Toglile
dal fuoco, lasciale intiepidire e irrorale di Grand Marnier. Metti le mele in
coppette alte e guarnisci con crema Chantilly.
Vaniglia: un’orchidea d’amore
“C’era una
volta in Messico, in un tempo davvero lontano, un re molto potente, che regnava
sul popolo dei Totanachi . Egli aveva una figlia di bellezza straordinaria e ne
era molto geloso tanto da non sopportare che potesse andare sposa a un comune
mortale. Così la consacrò agli dei, imponendole di dedicare a loro tutta la
vita.
Ma il
destino aveva disposto diversamente. La principessa incontrò il suo principe,
si innamorarono perdutamente e decisero di fuggire insieme. Purtroppo, mentre
tentavano di mettere in atto il loro piano di fuga, un orrendo mostro apparve
dalla foresta, si scagliò su di loro e li uccise.
Narra la
leggenda che qualche giorno più tardi nel punto dove era avvenuto lo
spargimento di sangue iniziò a crescere un arbusto.
Poco tempo
dopo dal terreno spuntò una liana che si avviluppò all’arbusto come se volesse
abbracciarlo.
Infine,
dalla delicata liana verde smeraldo nacquero delle evanescenti orchidee di un
particolare colore giallo-verde. E, quando i fiori appassirono, al loro posto
rimasero dei neri baccelli slanciati che diffondevano un penetrante e soave
profumo: era nata la vaniglia.”
Questa è una leggenda e però i Toltechi sono realmente esistiti ed erano insediati lungo la costa del Golfo del Messico, fin dal 1000 d.C.. Furono i primi a impiegare come spezia l’orchidea-vaniglia, che allora non coltivavano ma raccoglievano in luoghi nascosti all’interno della foresta. Poi…
Come detto,
la sua terra d’origine è il Messico e, in particolare, la regione di Vera Cruz,
che riuscirà a mantenerne il monopolio fino a tutto il XVIII secolo. La Spagna
scopre la vaniglia verso il 1520 quando al suo condottiero Hernàn Cortèz, lì
sbarcato a fini di conquista ed espansione, viene offerta dall’imperatore
atzeco Montezuma una tazza di cioccolata aromatizzata con la misteriosa
orchidea. È l’inizio di un percorso trionfale che vede un passaggio
fondamentale alla Corte di Francia, quando splendeva il Re Sole. Fu proprio
Luigi XIV a tentare di introdurla sull’Isola di Bourbon (ora Réunion), dopo che
altri avevano provato, collezionando molti fallimenti: la riproduzione al di
fuori dell’habitat naturale sembrava impossibile. Ci si avviava verso il XVIII secolo e il mistero della
vaniglia continuava a resistere. E avrebbe resistito fino al XIX secolo quando
si scoprì che il miracolo dell’impollinazione poteva farlo solo un’ape: l’ape
melipona il cui habitat naturale coincideva con quello della vaniglia. Lì nelle
foreste dell’isola. Solo lì.
Un salto temporale: nel 1836 avviene la prima impollinazione artificiale nel giardino botanico di Liegi e la seconda nel 1837 da parte di un ortocultore francese. Ma il grande successo lo si deve a un giovanissimo schiavo dell’isola di Bourbon che, sorprendendo il mondo, mette a punto il procedimento pratico per l’impollinazione manuale, tuttora utilizzato. Si chiama Edmond Albius, ha dodici anni, fa dell’isola il primo centro “vanigliero” del pianeta.
Da Bourbon, nel 1880, i coltivatori locali introducono la coltivazione della vaniglia in Madagascar che diventa (e resta) il primo esportatore mondiale.
Si diceva di
un percorso trionfale: nell’autunno del 2016 la vaniglia bourbon – vanilla planifolia, nome scientifico - raggiunge una
quotazione di 11mila euro al chilo.
Sul mercato
anche la preziosa vaniglia prodotta in Papua Nuova Guinea – vanilla tahitensis – e la meno preziosa
prodotta in Indonesia, utilizzata soprattutto dall’industria dolciaria.
Come si usa
Se si
acquista in baccello, fare un piccolo test avvolgendolo attorno a un dito: un baccello di qualità deve essere flessibile e quindianche torcendolo non deve danneggiarsi e tanto meno spezzarsi. Per utilizzarlo, aprirlo
con un coltello nel senso della lunghezza, raschiare i semi all’interno (ne
bastano pochissimi) facendoli cadere direttamente nel liquido o nel composto in
preparazione. Il baccello con i semi residui può essere conservato in un
contenitore di vetro, a temperatura ambiente, per successivo utilizzo.
Note utili
- il baccello “brinato” (vanillina
cristallizzata in superficie) è indice di qualità
- la punta arrotondata al termine del
baccello sta a indicare che questo è stato
raccolto a giusta
maturazione e perciò avrà un aroma intenso
- non mettete mai la vaniglia in
frigorifero perché ammuffirebbe
- se ponete il baccello (anche quello
aperto) nel barattolo dello zucchero potrete
aromatizzare tè e caffè
- nella preparazioni di biscotti e
torte, la vaniglia copre il sapore acido del lievito.
Crema Chantilly
50 cl crema di latte liquida, 35 g di zucchero a
velo
vaniglia*
vaniglia*
Premesse indispensabili ovvero come fare
- la crema liquida (detta anche panna)
deve essere intera, il che
significa che deve avere come minimo il 30% di grassi: sono proprio
questi che ne consentiranno la montatura. Per la Chantilly, scordate il
“parzialmente” o “totalmente” scremato.
- zucchero: la quantità proposta è indicativa
nel senso che l’intensità della
dolcificazione dipende dall’accostamento e dal gusto personale. Quindi è
facoltativo aumentare o diminuire questa quantità. Comunque è sempre bene non
esagerare in eccesso per evitare che il dolce diventi stucchevole.
Lo zucchero
sarà unito alla crema con questa progressione: un cucchiaio subito e il
restante poco per volta, durante la battitura.
- vaniglia: per profumare la crema si può
usare la stecca, l’estratto, la bustina di vanillina. Per quel che vale,
personalmente cerco sempre di evitare quest’ultima. Quindi, se si usa il baccello
questo va messo nella crema liquida, lasciandolo una notte
intera (o tempo corrispondente); si toglierà prima della lavorazione. L’estratto
deve essere aggiunto prima della battitura nella misura di 5/7 gocce per 50 cl
di crema.
- freddo: la Chantilly vi riuscirà solo
se la crema, il contenitore e la frusta sono freddi, molto freddi. Dunque sarà
bene, prima dell’utilizzo, raffreddare ulteriormente la panna, già fredda di
frigo, mettendola nel freezer per15 minuti. La necessità di raffreddare vale anche per frusta e contenitore (per quest’ultimo
eventualmente usare ghiaccioli).
montare: per montare si può usare la
frusta a mano e però tutto diventa più semplice con un mini-pimer o robot a
velocità variabile. La velocità di battitura è infatti importante perché la sua
progressione garantisce il buon risultato. In altre parole, si parte dal
livello più basso e si alza ogni 30’’ circa fino alla consistenza perfetta.
consistenza: è valutabile a occhio nudo
e variabile a seconda dell’utilizzo: più morbida-spumosa per le farciture,
leggermente più compatta per guarnire. In ogni caso, attenzione al colore: deve
restare perfettamente bianco perché, se inizia a virare al giallino, ciò
significa che state producendo...burro!
Cardamomo:
la grande sorpresa
Chi
l’avrebbe mai detto? Questa spezia, certamente non popolarissima in Italia, è
la terza più costosa al mondo dopo zafferano e vaniglia: il prezzo medio è di
60 euro al chilo, a seconda del tipo e della provenienza. È molto amata da alcuni chef stellati
che la considerano la “nuova cannella”, con un sapore aromatico ma più pungente.
Ha una storia antica, tra Greci e Romani si era fatta la fama di afrodisiaco.
In India è considerata una pianta
così delicata da poter essere toccata e raccolta solo da mani femminili, mentre
nel Kashmir alcuni semi di cardamomo sono chiusi in un gioiello al polso delle
spose a simboleggiare il cibo ristoratore che daranno ai mariti.
Del cardamom esistono tre varietà: verde, nero, bianco. Va subito
detto che il più pregiato è il cardamomo verde - – elettaria
cardamomum – detto anche cardamomo vero. Originario
dell’India, più precisamente delle Cardamom Hills, una regione del Kerala, e
della costa del Malabar, lo si può trovare ancora oggi allo stato selvatico
nelle foreste pluviali. Il cardamomo del Malabar è il più ricercato e costoso.
Il cardamomo verde è coltivato anche in Cambogia e Vietnam
(cardamomo indocinese) ma il maggiore produttore al mondo è il Guatemala dove
la spezia venne importata dagli inglesi nel 1920.
Questa spezia, appartenente alla famiglia dello zenzero, è uno
degli ingredienti fondamentali del curry indiano e del ras-el- hanout, il mix
originario del Marocco. È molto popolare anche nel nord Europa, soprattutto per
aromatizzare dolci e bevande quali il Grogg. L’utilizzo è sia della capsula
intera, sia dei semi, sia della polvere a seconda della “destinazione”.
Curry di verdure
3 carote - 3 zucchine - 2 melanzane violette - 3 patate - 1/2 cavolfiore bianco - 100 g di ceci pronti in scatola - 1 cipolla o cipollotto - 2 spicchi d’aglio - 15 cl di latte di cocco – 2 vasetti di yogurt bianco - 30 g de mandorle pelate, frullate a polvere - 1 peperoncino piccante (chili) - 1 cucchiaino da caffè di grani di cardamomo - 2 fiori di anice stellato – 1 stecca di cannella - 1 cucchiaio di pasta di curry - 1 cucchiaio di grani di sesamo - 30 g de burro – qualche fogliolina di coriandolo fresco
Lavare le verdure. Pelare patate, carote,
cipolla e aglio. Affettare a rondelle le zucchine e le melanzane. Schiacciare
l’aglio, tagliare grossolanamente le cipolle e le carote, dividere le patate a
quartini e il cavolfiore a cimette. Immergere il tutto in una casseruola
d’acqua bollente per 5 minuti. Scolare. Riscaldare il burro in una cocotte, far
rosolare aglio, cipolla, cardamomo, anice stellato e cannella per tre minuti. Aggiungere
la pasta di curry, lo yogurt e le verdure, aggiungendo i ceci del barattolo, sciacquati
rapidamente sotto acqua corrente. Mescolare con delicatezza e salare. Versare
il latte di cocco e 5 cl d’acqua. Cuocere a fuoco dolce per 15 minuti.
Spezzettare il peperoncino e aggiungerlo nella cocotte, unitamente alla polvere di mandorle. Mescolare, proseguire la cottura per
altri 10 minuti, comunque fino al momento in cui il melange s’ispessisce. Al momento di servire cospargere con
coriandolo sminuzzato e grani di sesamo. Accompagnare con riso pilaf.
Zuppa
estiva di pisellini
300 g di piselli teneri – 25 cl brodo di
pollo – ½ cucchiaino da caffè di cardamomo in polvere – 25 cl di crema di latte
(panna fresca) – sale, pepe bianco,
q.b.
Frullare i piselli e aggiungere il brodo,
poco per volta, mescolando accuratamente fino a ottenere una purea morbida e
fluida. Salare e pepare. Aggiungere il cardamomo e la crema di latte.
Riscaldare a fuoco dolce e servire con crostini.
Nota
I pisellini possono anche essere surgelati, nel qual caso
scegliere i cosiddetti “primavera”. Il brodo, eventualmente, può essere fatto
con dado granulare di pollo.
Cannella: spezia dei re
“…. Nessuna donna al
mondo possedeva fuoco come lei, con quel calore, quella tenerezza, quei
sospiri, quel languore. Più dormiva con lei, più aumentava il desiderio.
Sembrava
impastata di canto e di danza, di sole e luna, era di garofano e cannella...”.
Nell’antichità
la cannella era considerata la più importante tra le spezie tanto da essere
elevata al rango di dono ai sovrani, unitamente alla mirra, all’incenso e
all’oro. I romani le attribuivano virtù sacre. E’ citata nella Bibbia, Libro
dell’Esodo, quando Dio ordina a Mosè di consacrare il tempio con un misto di
sostanze aromatiche; era nota in Cina già nel 2700 a.C., utilizzata soprattutto
in campo medico; viene importata nel 2000 a.C. dagli egizi che
ne sfruttano le virtù antisettiche usandola per le imbalsamazioni;
arriva poi in Europa con le carovane degli arabi.
La cannella Regina – il meglio che si possa avere - è nativa di Ceylon (oggi Sri Lanka) e del Sud-ovest dell’India e deriva dalla corteccia di un grande albero sempreverde tropicale, nome botanico “Cinnamomum zeylanicum”, famiglia delle Lauracee. È, questa varietà, la vera, profumata cannella da acquistare: la corteccia è sottile, friabile, molto aromatica e leggermente zuccherina. E proprio lo Sri Lanka ne controlla il mercato mondiale con una produzione che arriva all’80-90% del totale. Il restante è coperto da altri Paesi fra cui Madagascar – che pure produce un’eccellente qualità - Brasile, Giamaica.
Esistono altre varietà meno pregiate e, fra queste, quella che insidia la “Regina” è la cannella cinese – “Cinnamonum Cassia” – che ha caratteristiche diverse: le stecche sono dure, legnose, e l’aroma più aspro. Eppure in commercio la Cassia è molto diffusa, soprattutto per questione di prezzo.
La cannella
possiede proprietà stimolanti per il sistema nervoso, è un antisettico
naturale, previene la fermentazione intestinale e, secondo recenti studi,
abbassa glicemia e pressione mentre aiuta nel controllo del peso.
Un accenno a
“altre” proprietà: quelle afrodisiache, evidenziate dai medici fino a tutto il
Cinquecento. Si ricorda che Nostradamus, un passato da speziale prima di
“affrancarsi” con le profezie, inseriva la cannella in un suo potentissimo
filtro d’amore.
In cucina
In stecche o
in polvere, la cannella ha un utilizzo davvero molto ampio: si usa per i dolci
e le bevande calde; per le carni, le verdure, le salse, alcuni insaccati. E’
anche uno degli ingredienti irrinunciabili del curry.
Consiglio:
non aggiungerla a liquidi che devono bollire perché diventerebbe amara e
perderebbe l’aroma. Un esempio: nel caso di una marinata per carne, dopo
l’infusione è opportuno togliere il bastoncino quando carne e vino vanno in
cottura.
Zuppa di melone Filibon *
2 meloni Filibon** – 4
cucchiai di zucchero di canna – 1 limone verde
1 stecca di cannella
1 baccello di vaniglia – 1 pizzico di
noce moscata - 2 chiodi di garofano
40cl d’acqua
Pulire i
meloni togliendo buccia e semi, tagliare a fette e poi a quadrotti, mettere da
parte.
Sbucciare il
limone, affettare a lamelle sottili la buccia e spremere la polpa.
In una
casseruola mettere l’acqua, aggiungere buccia e succo del limone, cannella,
noce moscata, vaniglia, chiodi di garofano, zucchero: mettere su fuoco medio e
lasciar sobbollire per 10 minuti.
Una volta
raffreddato lo sciroppo, incorporare il melone e porre in frigorifero per 24
ore.
Servire
fresco.
Note
* Questa ricetta è stata creata
dalla Chef Babette de Rozières e tratta dal libro “La bonne Cuisine de
Babette”.
** Filibon, anzi Philibon, è il
marchio di una pregiata varietà di meloni prodotti in Francia
Per concludere
Regalatevi
un mix di spezie personalizzato.
Ecco
due proposte. A voi la fantasia!
Per esaltare
i condimenti, mescolare nel macinino 100 grammi di sale marino grosso,
un cucchiaino da caffè di grani di cumino, uno di pepe nero, mezzo cucchiaino
di grani di coriandolo e quattro chiodi di garofano.
Per arricchire il mélange del pepino, al pepe nero
unire pepe bianco, pepe verde essiccato, bacche rosa, qualche grano di
cardamomo, di coriandolo e di pimento della Giamaica
www.ricerchenaturopatiche.it - www.crocoesmilace.it - www.meteoweb.eu - www.zafferanodop.it - www.wikipedia.org
“La cucina italiana. Giornale di gastronomia
per le famiglie e i buongustai”, anno II, n. 6, giugno 1938
Isabel
Allende, “Afrodita, Racconti,
ricette e altri afrodisiaci”
Giangiacomo
Feltrinelli editore, 1998
Jorge
Amado, “Gabriella, garofano e cannella”
Editori
Riuniti, 1979
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