Ricette

venerdì 27 marzo 2015

L'uovo, un gioiello della natura. E non solo.







 


 San Pietroburgo, Pasqua 1885

La zarina Maria Fyodorovna riceve dal marito, Alessandro III, zar di tutte le Russie, un dono pasquale insolito e prezioso, un uovo-gioiello. E’ un guscio di platino smaltato in bianco opaco, con struttura a “matrioska”: all’interno un altro uovo, tutto d’oro, che contiene a sua volta due “sorprese”: un pulcino d’oro, con gli occhi di rubino e una riproduzione in miniatura della corona imperiale, con un piccolo rubino a forma d’uovo.
Quest’opera d’arte porta la firma di Peter Carl Gustavovich Fabergé, orafo.
Nato a San Pietroburgo il 30 maggio 1846, a soli 24 anni Carl inizia la sua avventura di gioielliere  lavorando nel negozio paterno di via Moskaja, forte di una formazione artistica e tecnica di alto livello, maturata anche all’estero.  Il cognome richiama le origini francesi degli antentati, ugonotti, probabilmente fuggiti dalla Francia nel XVII secolo, per sottrarsi alle persecuzioni religiose in atto nei confronti dei protestanti calvinisti. Il padre era invece nato in Livonia (ora Estonia) mentre la madre era danese.
Carl era geniale e ambizioso. Si fece notare e trovò la sua grande occasione quando lo Zar gli commissionò l’uovo-gioiello che avrebbe entusiasmato la sua sposa venuta dalla Danimarca.  Un entusiasmo che indusse lo zar a nominarlo gioielliere di corte con il compito, anche, di creare ogni anno un nuovo uovo, lasciando libero sfogo alla creatività. E senza limiti di spesa. Un solo vincolo: nessun uovo doveva essere uguale ad alcuno dei precedenti e ogni uovo doveva contenere una sorpresa. 




E Fabergé li creò, di anno in anno, sempre magnifici, sempre più oggetto del desiderio di imperatori, di re e di regine, insomma delle più importanti Corti d’Europa. E creò anche, senza sosta, oggetti per doni e ricorrenze imperiali, reali e dell’alta nobiltà, ovviamente d’oro, d’argento, di pietre preziose. La sua Maison diventò essa stessa un impero e arrivò ad avere circa cinquecento lavoranti.
L’incarico di Alessandro III fu confermato dai suoi successori e durò fino alla Rivoluzione di febbraio quando cadde la monarchia zarista. Poco più di tre anni dopo, il 24 settembre 1920, Carl Fabergé moriva a Losanna. 





In totale, fra il 1885 e il 1917 furono realizzate 57 uova di Pasqua. Di queste 52 fanno parte della collezione imperiale: alcune sono approdate a musei, collezioni private, fondazioni di tutto il mondo,  altre sono disperse.
Il 19 aprile del 2002 la Casa d’Aste Christie’s di New York ha battuto all’asta il famosissimo “Uovo d’inverno”, assegnandolo a un misterioso Cliente (“C” maiuscola!) per qualcosa come 9,6 milioni di dollari.  Secondo alcune fonti, l’Uovo d’inverno farebbe ora parte di una collezione privata nel Qatar. 






E il magnate russo Viktor Vekselberg nel 2004 acquistò nove uova precedentemente possedute dall’editore americano Forbes, riportandole così in patria.
Lo scambio di uova decorate è, però, ancora più antica. Nel 1176 quando Luigi VII rientrò a Parigi alla conclusione della II crociata, il Priore dell’Abbazia di Saint-Germain-des-Près  per festeggiarlo gli donò metà dei prodotti delle sue terre, incluse uova in grande quantità. Dipinte e colorate queste uova furono distribuite al popolo. Nasceva in quel momento una tradizione destinata a durare nel tempo.   Nel Medioevo si videro le prime uova artificiali rivestite di materiali preziosi destinati agli aristocratici e ai nobili. Le cronache riportano, ad esempio,  che Edoardo I d’Inghilterra, aveva commissionato 450 uova  ricoperte d’oro da donare in occasione della Pasqua.

L’Uovo di cioccolato




Ebbene sì, anche l’uovo di cioccolato ha una sua storia, seppure la data della sua nascita sia incerta. Secondo alcuni il primo a far realizzare le uova di cioccolato fu Luigi XIV, secondo altri la sua realizzazione viene dalle Americhe, là dove nasce la pianta del cacao. Una cosa è certa: la Svizzera, con Rodolphe Lindt e François Louis Cailler, ha avuto, a cavallo tra ‘700 e ‘800, un ruolo di prima grandezza nello sviluppo dei procedimenti che porteranno alla possibilità di “manipolare” la pasta di cacao trasformandola in “forme”.  Ma fu l’olandese Coenraad van Houte, nel 1825, a inventare il procedimento per produrre l’uovo di Pasqua così com’è ancora oggi mentre la sua diffusione si deve al pasticciere inglese John Cadbury, a partire dal 1875.
Una curiosità: l’uovo di Pasqua dei primati sarebbe stato realizzato in Gran Bretagna nel 1897 da un pasticciere londinese per il matrimonio di un  giovane Stuart:  9 metri di altezza, 18 di larghezza, conteneva centinaia di bomboniere  destinate agli invitati. 

 

Tutti i colori dell’uovo




Da sempre quella meraviglia della natura chiamata uovo è simbolo della vita. E proprio da un uovo sarebbe nato il mondo secondo antichi popoli della terra. Per questo, donare un uovo significava e significa tuttora augurare fortuna. Ma i doni, si sa, devono essere ben presentati, abbelliti, rivestiti. E, inizialmente, per questo scopo era usato il colore:  rosso in Grecia e, più generalmente, nell’area a forte presenza di cristiani-ortodossi; verde in Germania e Austria; motivi geometrici di vari colori nell’Europa orientale. In Armenia, invece del colore, erano dipinte immagini del volto del Cristo, della Madonna o di scene della Passione.

E il simbolo della vita entra nell’arte




Non c’è da sorprendersi se l’uovo è stato grande protagonista nell’arte, seppure poco rappresentato quale simbolo di resurrezione: resta, però, la magnifica tempera su tavola dipinta da Piero della Francesca nel 1472 e conservata a Milano nella Pinacoteca di Brera. Com'è evidente, dal centro della cupola scende un filo che termina con un uovo... Difficile l'interpretazione. Non a caso, su questo dipinto sono stati scritti libri, articoli, saggi, con chiave di lettura simbolico-religiosa, simbolico-spirituale, filosofica, architettonica, metafisica…


E, a proposito di metafisica, è d’obbligo richiamare Salvador Dalì. Ricordando la sua vita segreta all’interno dell’utero materno, scrive: “Già a quel tempo tutto il piacere, tutto l’incanto, risiedeva, per me, nei miei occhi; e la visione più splendida, più impressionante era quella di un paio di uova fritte in padella, senza la padella però;  ... (omissis)… “Le uova fritte in  padella, senza la padella,  che vedevo prima di nascere erano grandiose, fosforescenti e molto dettagliate nelle piegature dei loro albumi lievemente azzurri…..”. (Salvador Dalí, La mia vita segreta (1942), Abscondita, Milano, 2006)

E’ l’ora della tavola. Finalmente.



Altamente proteico, ricco di vitamine e sali minerali, povero di grassi,,, digeribile, gradevolissimo al palato, versatile per l’ utilizzo. Ecco l’identikit dell’uovo, in particolare dell’uovo di gallina, presente in tutte le cucine del mondo. Che però deve essere freschissimo. E, possibilmente, “bio”.
In cifre: 100 g di uovo “valgono” 133 calorie, 12. 4 g di proteine, 0,5 di carboidrati., 8, 7 g di grassi , 35 vitamine, 11 sali minerali indispensabili.


Le cotture

Punto assai delicato, soprattutto per quanto riguarda le uova sode.  I consigli di cottura, che si trovano anche in accreditate riviste di cucina, sostengono che l’uovo, messo in acqua fredda, deve cuocere dai cinque ai dieci minuti (!)  da quando si alza il bollore.  Chi si occupa di biochimica rabbrividisce a queste indicazioni perché il prolungarsi dell’ebollizione altera le proprietà nutritive dell’uovo stesso, trasformandone le virtù in danno per la salute.
Se si fa bollire a lungo un uovo, quando questo viene sgusciato rilascerà un odore di zolfo, poco gradevole, accompagnato da una colorazione verde della parte di albume vicina al tuorlo.  Il cattivo odore, caratteristico dell’anidride solforosa, è dovuto al fatto che lo zolfo e il ferro contenuti nelle uova, portati alla temperatura di 100°C, si combinano chimicamente in solfuro di ferro, sostanza tossica. Non c’è da sorprendersi se i medici sconsigliano le uova sode ai malati di fegato…. Invece c’è il sistema per mantenere all’uovo le caratteristiche salutari. Certo, come tutto in cucina, serve un po’ di pazienza.
Ecco la cottura ideale che vi consentirà di servire uova dall’albume bianchissimo, il tuorlo sodo ma morbido, di sapore “soave”, e profumo di buono…

Uovo sodo



 Mettere in una casseruola le uova necessarie coprendole molto bene con acqua (calcolare due bicchieri per ogni uovo). Porre sul fuoco a fiamma dolce e portare lentamente a ebollizione. Nel momento in cui si alza il bollore, spegnere la fiamma e coprire la casseruola. Lasciare raffreddare. Quando l’acqua sarà tornata a temperatura ambiente, le uova saranno perfette. 



Uovo in camicia 



 Un altro metodo di cottura che consente di assaporare il vero gusto dell’uovo è quello “in camicia” detto anche “affogato”.

In una casseruola piuttosto larga e alta mettere abbondante acqua e portare a ebollizione; versare un cucchiaio di aceto (per ogni litro d’acqua) e, alla ripresa del bollore, agitare l’acqua in tondo per creare una sorta di piccolo vortice; far scivolare al centro di questo mulinello l’uovo intero che, per comodità, sarà stato sgusciato in una tazzina o, ancor meglio, in un piattino leggermente concavo. Con un cucchiaio lavorare in modo da avvolgere il tuorlo nell’albume che va rassodandosi.

 Esistono anche  dei piccoli “attrezzi” appositi per facilitare l’operazione, che comunque richiede una certa manualità. L’importante è provare e riprovare senza scoraggiarsi. Ne vale la pena.

Ricette in libertà


Ciò detto, sarebbe il momento di esibire le nostre ricette speciali. E però la sfida è impossibile, persa in partenza. Basti pensare che in un Compendio di cucina, destinato ai professionisti della ristorazione  e pubblicato in Francia nel 1948, sono elencati e descritti circa 300 modi di cucinare le uova, salse a parte…  Nel terzo millennio – il millennio che ha celebrato i cuochi come le nuove stars -  creatività e fantasia hanno avuto libero sfogo, aumentando esponenzialmente le proposte.
“L’uovo è un jolly gastronomico senza immaginazione. Alcune uova si cucinano miserevolmente e si mangiano miserevolmente: bollite e basta. Certe uova fritte ammettono il collage sostanzioso di una cucchiaiata di caviale iraniano al posto del sale. ….”  
(“Ricette Immorali”, Manuel Vásquez Montalbán).

Uova nel nido di brioche 

4 uova - 4 piccole brioche rotonde – 30 g di gruyère grattugiato
panna fresca liquida –sale e pepe
Preriscaldare il forno a 210°C. Tagliare in orizzontale la parte alta e tonda della brioche e quindi svuotarla delicatamente. Sul fondo mettere un buon cucchiaino di panna e subito sopra l’uovo sgusciato. Salare (ma non il rosso!) e pepare. Spolverare con  il gruyère e rimettere il  cappello. Infornare per circa 10 minuti: l'uovo deve avere il bianco rappreso e il rosso ancora molto morbido. 

Nota: nel caso non si trovassero le brioches (quelle vere…ma senza zucchero sopra) si può ovviare con panini al latte. La preparazione di base può essere arricchita secondo la propria fantasia. Si può aggiungere del prosciutto cotto a dadini, o della pancetta affumicata, oppure dei funghi champignon fatti saltare in padella con burro e cipollotto affettato fine. Ancora: qualche punta d’asparago appena scottata in acqua bollente salata e…. a voi la scelta.


Minestra maritata del buon tempo andato 


 400 g di bietole (erbette) tenere e senza costa – 4 uova intere –  3 patate farinose (a pasta bianca) - 4/6 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato  250/270 g di riso da brodo (Originario, Rosa Marchetti, Maratelli)
burro qb – dado per brodo vegetale – noce moscata - pepe nero - sale

Togliere le uova dal frigorifero e sgusciarle in una marmitta. Coprire con pellicola. Lavare le bietole, tamponarle con un canovaccio e tritarle finemente.  Sbucciare le patate e tagliarle a cubetti.  In una pentola far sciogliere il burro (non deve scurire), unire le erbette e le patate, lasciando insaporire per qualche minuto. Aggiungere acqua bollente (valutate quanta a seconda di quanta minestra volete…)  e il dado (o i dadi nel caso uno non bastasse.) Lasciar bollire vivacemente per una decina di minuti quindi gettare il riso  e mescolare con cucchiaino di legno. In fase di cottura, recuperate con il mestolo forato dei cubetti di patata e schiacciateli. Assaggiate e regolate il sapore con aggiunta di sale o secondo dado.  Intanto unite il parmigiano alle uova sgusciate, una grattatina di noce moscata,  e amalgamate senza far gonfiare. Quando il riso è arrivato a cottura, prelevarne un mestolo per volta, versarlo nella marmitta e mescolare accuratamente. Alla fine la minestra dovrà apparire mantecata (attenzione e non mettere troppo brodo).
Servire con l’aggiunta di una buona spolverata di parmigiano e, se richiesto, un giro di pepe nero.

Nota: questa è la ricetta di casa mia. Noi bambini l’adoravamo e ancora oggi figli e nipoti la richiedono: “... ci fai la minestra maritata?…..”. E’ facile, è veloce e semplice, è poco costosa e nutriente. Che altro si può chiedere a una minestra?


Uova marmorizzate 

secondo Manuel Vásquez Montalbán

“…L’uovo si adopera di solito per aiutare architetture gastronomiche di grande portata e si ignora chi abbia ideato per primo questa fantasia da lavori pubblici chiamata uova marmorizzate: probabilmente un imprenditore edile o un architetto pompier in pensione. Ecco un piatto con cui sedurre coloro che spalancano la bocca davanti alla riproduzione del Duomo di Milano fatta con gli stuzzicadenti, o a quella del Taj Mahal dentro a una bottiglia di ginger Ale. ….. Con questo piatto si può far provare l’estasi ai provinciali abbonati al Financial Times…”.


24 uova – 250 g di bietole se si vogliono le uova verdi o un peperone dolce arrosto se le si vuole rosse – zafferano in polvere – ¼ di cucchiaino (2 pizzichi abbondanti) di cannella in polvere – 200 g di zucchero
30 g di burro – acqua di fiori d’arancio – semi di melagrana

Dosi per 8/10 persone. Rompere le uova in 4 scodelle, 6 per scodella. In una scodella si aggiungono le bietole ridotte in puré, in un’altra  il peperone dolce sempre in puré, nella terza lo zafferano scilto in un cucchiaio di acqua bollente, nell’ultima lasciare le uova con il loro colore naturale.
Si aggiungono alle uova sale, pepe, cannella, zucchero e poi si sbattono (il tutto separatamente, ndr). Si scioglie il burro a fuoco lento in una pirofila da forno.  Quando è fuso vi si versano le uova rosse. Quando si sono leggermente rapprese, vi si versano sopra le uova allo zafferano. E così per i successivi strati, cercando di farli rapprendere leggermente. Si possono sovrapporre gli strati a volontà a seconda della misura dello stampo. Mettere lo stampo nel forno preriscaldato a 170°C e lasciate cuocere per 30 minuti circa.
Il dessert va tagliato in porzioni, spruzzato d’acqua di fiori d’arancio e servito con semi di melagrana.

Nota: la preparazione proposta nel libro “Ricette Immorali” si limita a dire che ogni strato deve rassodarsi leggermente.  Si presuppone che, dopo ogni aggiunta, la teglia vada passata rapidamente in forno per consentire alle uova di rapprendersi. Provare, provare, provare.


Uova al latte

Questo dessert era prediletto dal commissario Maigret
Maigret stava gustando il suo dessert quando si rese conto del modo in cui sua moglie l’osservava, un sorriso un tantino beffardo e materno. Egli fece finta di non notarlo, tufffò il naso nel piatto, inghiottì qualche chucchiaiata di uova al latte prima di alzare gli occhi.”… (Maigret e il corpo senza testa)




1 litro di latte - un baccello di vaniglia Bourbon - 150 g di zucchero semolato - 4 uova

Pre-riscaldare il forno a 120°C
Portare a bollore il latte con il baccello di vaniglia e lo zucchero. Battere le uova intere. Unire il latte alle uova, mescolando rapidamente con una spatola o cucchiaio di legno. Togliere il baccello di vaniglia, versare in una teglia da forno e infornare per 45 minuti.
Nota: per quanto riguarda la cottura, suggerirei di tenere il forno a 120°C per 20 minuti, quindi alzare la temperatura a 180°C per 10 minuti e concludere con temperatura a 240°C per 5 minuti. Così facendo la crema resta morbida e prende un dorato “accattivante”.


Grazie a

www.wikipedia.it - Manuel squez Montalbán, "Ricette immorali",  Feltrinelli
Courtine, "Simenon et Maigret passent à table", Robert Laffont

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