“Quello che noi chiamiamo col nome di rosa, anche chiamato con un nome diverso conserverebbe il suo dolce profumo”.
(William
Shakespeare, Romeo e Giulietta)
Shakespeare,
perché scomodarlo?
Perché
un nome può scatenare una guerra, come ha raccontato il massimo drammaturgo
inglese. Ma quella di cui parliamo ora è fatta solo di scaramucce verbali. E
però arriva da lontano nel tempo. E’, per dirla brevemente, una
rivendicazione di origine e di paternità. E’ una storia siciliana. Eccola.
Arancine
o arancini?
Dove sono nate quelle belle
pallotte di riso, invitanti e ammiccanti dalle friggitorie di ogni angolo di
strada della Sicilia, dorate e croccanti all’apparenza ma morbide e profumate e
con un gran cuore che assicura meraviglie al palato?
Per Sergio, amico nisseno,
(Caltanissetta è spartiacque tra Sicilia Occidentale e Sicilia Orientale) non
ci sono dubbi sul genere: femminile. Arancine. Proprio come si dice a Palermo e
in tutta la parte occidentale dell’isola. D’altra parte assomigliano alle
arance, tonde tonde. E, ce ne fosse bisogno, la conferma viene dall’Accademia
della Crusca: “L’arancina ha una forma rotonda simile ad una arancia. Di cui la
Sicilia è ricca e dalla quale prende il nome. E’ questa la forma corretta
perché arancina deriva da arancia ed è femminile”.
Tonde? Rotonde? Arancine? Quando
mai. A Catania i dubbi non
esistono: arancino, arancini. Sostantivo maschile. E forma a cono, come quella
del vulcano. Si taglia la punta e fuoriesce un vapore ricco di profumi e umori
da far venire l’acquolina in bocca. Inoltre – si dice sempre a Catania - nei
dizionari dell’Ottocento si parla di “aranciu” e “melaranciu”, quali frutti
dell’albero omonimo. E di una persona un po’ in carne si dice scherzosamente:
“Mi pari n’arancinu cu i pedi”… Tra l’altro, a Catania la forma varia a seconda
del ripieno: base piatta e punta a ogiva con il sugo di carne; tondeggiante con
il burro; ovoidale con pollo o spinaci.
Quanto alla nascita, si parte
dagli arabi che conquistarono l’Isola nel IX secolo portando riso, zafferano e
spezie diverse, melanzana e pinoli e agrodolce – e molto altro ancora – per
arrivare ai cuochi delle case imperiali, capostipiti gli sconosciuti
cucinieri che servivano Federico
II di Svevia, nipote di Federico Barbarossa. Si era agli albori del 1200 e proprio in quelle cucine si
iniziò ad appollottolare il riso che, trasformato in singole porzioni, poteva
essere trasportato per esigenze militari e di trasferimenti.
Poi ci sono i nomi che hanno
fatto la storia della cucina, dal Maestro Martino (è il tempo di Lorenzo il
Magnifico, di Leonardo da Vinci), autore del primo ricettario sistematico al
mondo, passando per Vincenzo Corrado (è del 1778 il suo Cuoco Galante) per
arrivare ai tempi moderni con una ricetta del 1882 contenuta nel “Cuciniere all’uso
moderno” di un Anonimo. Alla fine non si contano i contributi che hanno
cambiato forma e sapore di arancine/arancini. Fra questi, importanti, è
d’obbligo annoverare quelli dei monaci, la cui cucina era sovente di altissimo
livello tanto da poter sostenere che l’arte culinaria europea
e la relativa educazione alla tavola, abbiano avuto origine tra le mura dei
monasteri e delle abbazie medioevali.
“In città la cucina dei
Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta
di pasta frolla, le arancine di riso grosse ciascuna come un mellone, le olive
imbottite, i crespelli melati erano piatti che nessun altro cuoco sapeva
lavorare; e pei gelati, per lo spumone, per la cassata gelata, i Padri avevano
chiamato apposta da Napoli don Tino, il giovane del caffè di Benvenuto. Di
tutta quella roba se ne faceva poi tanta, che ne mandavano in regali alle
famiglie dei Padri e dei novizi, e i camerieri, rivendendo gli avanzi, ci
ripigliavano giornalmente quando quattro e quando sei tarì ciascuno.” (Federico
De Roberto, I Viceré, 1894)
E' questa la prima citazione letteraria delle arancine.
E' questa la prima citazione letteraria delle arancine.
Ma c’è un altro luogo-simbolo
delle arancine, molto più popolare. E’ il traghetto che collega la Sicilia al
Continente.
“All’improvviso, immerso nel mare e nella vastità
dell’orizzonte, il profumo del caffè si annida e accarezza l’olfatto: E ti
prende una voglia di gustarlo e ti metti alla ricerca del bar, nascosto tra
mille sale e salette, come se cercassi la tua oasi di salvezza. Alla fine lo
trovi e mentre gusti il sapore eccitante del caffè sia lo sguardo che l’olfatto
vengono colpiti da un vassoio posto sul bancale del bar: sono gli arancini che
trionfano maestosi e invitanti come descritti nelle pagine di “Montalbano” di
Camilleri.” (dal sito Costierabarocca.it, “Traghettare
nello stretto i Messina”)
E ora la parola alla cuoca, Donna Albuccia. Milanese di nascita e siciliana per amore, è dotata di talento nonché di ironia. Raccontando delle “sue” arancine (al femminile!), che, come tali, sono rotonde, si lascia scappare una battuta: “Lo so, l’Adelina, la domestica di Montalbano, fa dei sublimi arancini e per di più a trullo, con la punta. Io, purtroppo, pur essendo cuoca domestica (o addomesticata ?) posso fare solo le arancine e perciò mi accontento di quelle tonde”.
LA
RICETTA
NB. In questa ricetta, dedicare particolare attenzione a
ingredienti e metodo di frittura, alternativi ai tradizionali, scelti per
soddisfare anche il palato di chi sia intollerante al glutine. Con ottimi
risultati.
Tre lavorazioni separate: prima
il sugo, poi il riso, infine pastella e pangrattato
Con le quantità indicate si preparano da 16 a 18 arancine
250 gr
di carne trita non magrissima - mezza cipolla media - 20 gr di funghi secchi
ammollati
1 tazza
da the di piselli (anche surgelati) - 1 scatola di pelati da 400 g
1/4 di
bicchiere di vino rosso - sale e pepe
Tritare la cipolla in modo che a cottura ultimata sia completamente
sfatta. Farla rosolare appena-appena in olio extra vergine di oliva; aggiungere
la carne e farla rosolare. Sfumare con il vino, salare e pepare. Aggiungere i
funghi tritati e l’acqua di ammollo filtrata. Quando l’acqua sarà evaporata
aggiungere i piselli, precedentemente portati a mezza cottura, e la scatola di
pelati passati al setaccio. Quando
l’acqua dei pelati sarà evaporata e i piselli saranno cotti, il sugo è pronto.
Dovrà risultare morbido ma consistente. Se necessario usare un addensante
(farina, fecola, ecc.) e comunque (se possibile) prepararlo il giorno prima in
modo che possa stare in frigorifero una notte e, raffreddandosi, risulti il più
denso possibile. Un sugo acquoso “allagherebbe” l’arancina, rovinandone anche
la frittura.
Arancine
1 kg riso – 2.5 l di acqua – 100 g burro – 3 bustine
zafferano
5 foglie d’alloro – 2 dadi - sale e pepe
NB: Per il riso, scegliere una varietà a chicco grosso e buon contenuto di
amido. Indicativamente, Arborio, Vialone, Bald0.
Mettere sul fuoco l’acqua, il burro e tutti gli altri
ingredienti, tranne il riso. Quando il burro sarà sciolto e l’acqua bollirà,
aggiungere il riso in una sola volta SENZA MESCOLARE, abbassare la fiamma al
minimo e coprire. Dopo 15 / 18 /20 minuti (il tempo di cottura dipende dal riso
utilizzato) l’acqua sarà stata assorbita completamente o quasi. Scolare il riso,
distribuirlo in una grande teglia
(io ho usato la leccarda) per lasciarlo raffreddare, coprendolo con della
pellicola per evitare che si formi la crosticina sulla superficie. Quindi
procedere alla confezione delle arancine. Bagnarsi la punta delle dita con
acqua e formare con il riso una palla; quindi, con due dita scavare il centro
dell’arancina, introdurvi un cucchiaino abbondante di sugo, due dadini di
mozzarella e coprire con altro riso a formare un coperchio. Sempre con le mani
umide compattare ancora un poco, anche per supplire all’ assenza di uova.
Frittura
Frittura
Farina
00 400 g – acqua q.b.– sale – pangrattato
olio di semi di arachide
olio di semi di arachide
oppure
farina
senza glutine per besciamella o farina di riso
o pangrattato senza glutine
o pangrattato senza glutine
Preparare una pastella con acqua,
farina e sale, tipo tempura: deve essere abbastanza consistente, fluida ma non
liquida un po’ come potrebbe essere una besciamella. Con questa pastella
“accarezzare” con le mani ogni arancina fino a ricoprirla completamente, poi
appoggiarla su una gratella affinché si scarichi l’eventuale eccesso di
copertura. Terminata quest’operazione, passare le arancine nel pangrattato e
friggerle in abbondante olio di semi di arachide.
In alternativa, si possono usare
tutti i prodotti naturalmente senza glutine (farina di riso e preparato per
impanare sempre di riso) o deglutinati (farina e pangrattato). Con la pastella
il risultato sarà comunque eccellente: le arancine saranno croccanti e non
unte; manterranno però un dorato chiaro, delicato.
E l’Adelina di Montalbano? E’ stata citata, è giusto darle lo spazio che merita. La ricetta è tratta dal libro “Le ricette di Montalbano” di Andrea Camilleri.
“ Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato [sugo, ndr] di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre.
Intanto si còcino i pisellini, si fa una
besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta
una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti
frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A
questo punto si piglia canticchia [un
po’] di risotto, s’assistema nel palmo
d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e
si copre con dell’altro riso a formare una bella palla.
Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si
passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini
s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando
pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine,
ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!”.
Grazie
a
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