È una sera del 1890. I saloni dell’Hotel Savoy, a Londra, splendono di luci e di bel mondo. Da quando la gestione è in mano a Monsieur Ritz , il grande albergo è frequentato dall’aristocrazia europea, da celeberrimi artisti e scrittori. Perché César Ritz, venuto dal nulla - anzi da un cantone svizzero e da una famiglia povera che aveva altri 12 figli prima di lui - sembrava destinato alla pastorizia. Invece il destino gli aveva riservato un'altra storia. Grande. Ancora giovane abbandona le montagne per scoprire il mondo. E ci riesce benissimo: lavora un po’ in ristoranti e un po’ in alberghi, sempre più prestigiosi, guadagnando esperienza e notorietà. Sensibilità e gusto per il bello gli consentono di captare le necessità, i desideri e le attese di Case reali, nobiltà, celebrità, ricchi borghesi, in movimento. Necessità di lusso, di raffinatezza, di eccellenza, anche fuori dalle proprie dimore. Assumendo la gestione di alberghi di alto livello ma tradizionali, Ritz li trasforma, radicalmente.
E’ il caso del Savoy Hotel situato nel mondano e centralissimo Strand di Londra. Le stanze, magari belle ma anonime, diventano suite lussuose dotate perfino di una stanza da bagno personale, fino a quel momento inconcepibile negli hotel di qualsiasi livello e Paese. Dai muri spariscono le polverose tappezzerie sostituite da pitture e stucchi. Le pulizie sono effettuate quotidianamente. E con grande accuratezza (anche questo più che raro…). Il servizio è ineccepibile.
Ma anche il ristorante muta volto
e funzione. L’usanza, per il pranzo in albergo, è quello della table d’hôte, cioè una grande tavola
comune, attorno alla quale ci si siede liberamente e si consumano i pasti fianco a fianco di persone magari sconosciute. Monsieur Ritz pensa alla riservatezza, al piacere degli
ospiti di scegliere i commensali che preferiscono, pur mostrandosi in società,
e così elimina il tavolone e riorganizza la sala da pranzo con tavoli separati.
Un successo immediato e senza precedenti, tale da rivoluzionare abitudini
consolidate: le signore non cenano più nei loro appartamenti privati ma frequentano
la salle à manger, punto di ritrovo
dove s’incontra il mondo che conta ma si pranza solo con chi si desidera.
Quella sera del 1890, a uno dei tavoli siede il brillante principe di Galles, Albert Edward, che agli albori del nuovo secolo succederà alla madre, la regina Vittoria, con il nome di Edward VII, diventando naturalmente re della Gran Bretagna e d’Irlanda nonché imperatore delle Indie. Fra le varie pietanze, sono servite cosce di rana, un cibo prelibato, raffinato, da gourmet. Ma, poiché è noto che i britannici (e non solo quelli di sangue blu) hanno una conclamata repulsione per questo batrace, il piatto è presentato come “Cuisses de nymphe”: le rane, come nelle fiabe, si sono magicamente trasformate in seducenti ninfe. Un escamotage linguistico, che poteva essere consentito solo al “re dei cuochi e cuoco dei re”: Auguste Escoffier.
Il 12 febbraio è l’81mo anniversario della morte del grande chef, avvenuta a Monte-Carlo, quando sfiorava i 90 anni. E però la morte non rappresenta anche la sua scomparsa. Anzi. La notorietà e la stima che lo circondano, fanno di Escoffier in mito. Proprio come avviene per César Ritz, con il quale egli percorre un bel tratto di cammino, di fondamentale importanza sia per l’industria alberghiera sia per la cucina francese, elevata a stella di prima grandezza.
Max Pfyffer, César Ritz e Auguste Escoffier
Due destini
incrociati per origine, professione, caparbietà, sensibilità, grande gusto,
capacità d’innovazione e ricerca della perfezione. Destini incrociati anche per
il calendario, con due mesi che li accomunano: febbraio e ottobre. Se il 12
febbraio (1935) segna la conclusione dell’esistenza per Auguste Escoffier, il
23 febbraio (1850) aveva segnato
l’inizio della vita di César Ritz.
Parallelamente, se il 24 ottobre (1918) si concludeva la vita di Ritz, il 28 ottobre (1846) veniva al
mondo Escoffier.
Il re dei cuochi, grande innovatore, ha firmato piatti che,
ancora oggi, sono un fiore all’occhiello dei menù a livello mondiale. E che
hanno una storia. Affascinante, come una donna. Anzi due. Entrambe legate a
opere liriche. (In)cantatrici. Per loro Auguste Escoffier ha creato due
desserts. Immortali. Che lasciano in bocca il sapore di frutti dolci e
succosi. Si chiamano Pêche Melba e
Poire Belle-Hélène.
La Pêche Melba
Hotel Savoy, 1894
- In tavola, per la prima
volta trionfa “Pêche Melba” - E’ un omaggio alla famosa soprano
australiana Helen Porter Mitchell, nome d’arte Dame Nellie Melba. Melba, contrazione di
Melbourne, città natale della cantante.
“Madame Nellie Melba,
grande cantante lirica di nazionalità australiana, cantava al Covent Garden a
Londra con Jean de Reszke nel 1894. Abitava all’Hotel Savoy vicino al Teatro,
quando io dirigevo le cucine di questo importante albergo. Una sera, in scena
c’era Lohengrin e Madame Melba mi offrì due poltrone in platea. Si sa che in
quest’opera appare un cigno. Madame Melba aveva previsto per la sera seguente
una cenetta per pochi intimi, fra i quali il Duca d’Orléans. Per dimostrarle
che io avevo piacevolmente approfittato delle poltrone che mi aveva gentilmente
offerto, feci tagliare in un blocco di ghiaccio un cigno superbo e, fra le due
ali posai un timballo d’argento. Coprii il fondo del timballo con gelato alla
vaniglia e, su questo letto disposi delle pesche a polpa bianca e morbida (….)
scottate per qualche minuto in uno sciroppo alla vaniglia e raffreddate. Un puré di lamponi freschi copriva
completamente le pesche. Un leggero velo di zucchero filato completava la
preparazione (…)
Tuttavia, la Pêche
Melba conquistò la sua popolarità solo nel 1899, all’apertura del Carlton a
Londra. Per il servizio corrente, questo dessert è il più semplice da
preparare: è sufficiente coprire con gelato alla vaniglia il fondo di una coppa
in cristallo (…). Posare poi sul gelato delle pesche a polpa bianca e morbida,
mature al punto giusto, sbucciate e denocciolate, dopo averle affogate per
qualche minuto in uno sciroppo leggero profumato alla vaniglia. Quindi nappare
le pesche con un puré di lamponi freschi, zuccherati. Facoltativo l’uso dello
zucchero filato finale.”
Auguste Escoffier
Auguste Escoffier
La ricetta
4 pesche bianche (buccia con
peluria)
Per lo sciroppo: – ½ litro
d’acqua - 200 g zucchero – 1 stecca vaniglia
succo di limone
Per il puré di lamponi: 200 g lamponi – 100 g zucchero
succo di limone
Preparare lo sciroppo: versare
l’acqua in una casseruola, aggiungere lo zucchero, qualche goccia di limone, la
stecca di vaniglia aperta a metà e portare a bollore. Intanto immergere per qualche istante le pesche – meglio una
ad una – in altra acqua bollente, passarle poi in acqua freddissima, quindi
togliere delicatamente la buccia, cercando di non danneggiare la polpa; aprirle
a metà e levare il nocciolo. Immergere le pesche nello sciroppo portato a
bollore dolce e lasciarvele per due/tre minuti; spegnere il fuoco e lasciar
intiepidire, poi mettere da parte.
Preparare il puré di lamponi: in un
tegame mettere i lamponi sciacquati velocemente, coprirli con lo zucchero,
aggiungere un poco d’acqua, porre sul fuoco e lasciar cuocere per una decina di minuti; passare il tutto al setaccio (o
cun un mixer, aggiungere qualche goccia di limone, poi mettere da parte.
Assemblaggio – In quattro coppe di
cristallo adatte per macedonia, stendere il gelato alla vaniglia, appoggiarvi
sopra le mezze pesche lasciando la parte tonda verso l’alto e napparle con la
salsa di lamponi.
Note - Dosi liberamente calcolate. Nel tempo la ricetta originale
“Pêche Melba” è stata rivisitata molte volte, anche da cuochi di fama.
Una versione, che viene definita “classica”, prevede
l’aggiunta sia di mandorle tostate,
tagliate fini, sia di crema Chantilly.
Ben più radicale la scelta di Alain Ducasse che ha trasformato la pesca in sorbetto e con questo,
ricompattandolo, ha ricostruito la
pesca, posandola poi su uno strato di granita di ribes. Come nocciolo, una
bavarese alle mandorle, avvolta nel cioccolato.
Christophe Michalak
ha osato ancora di più, trasformando la “Pêche Melba” nel ripieno dei famosi
macarons. Questo ripieno è formato
da un impasto morbido di cioccolato bianco aromatizzato con pesche gialle e
ribes.
La Poire Belle-Hélène
“Dis-moi, Vénus, quel
plaisir trouves-tu
À faire ainsi
cascader, cascader la vertu!”
In termini temporali, la “Belle-Hélène” viene prima della
“Melba”. Auguste Escoffier crea
questa delizia più o meno intorno al 1864, dunque quando non era ancora
ventenne e faceva pratica nelle
cucine del Petit Moulin Rouge, un cabaret di moda a ridosso degli
Champs-Elysées a Parigi. Già allora amava la lirica e non sembrava insensibile
al fascino femminile, con un certo debole per le cantanti, magari famose o
prossime al successo.
Nella Ville Lumière si parlava e straparlava di un’opera-buffa cui stava lavorando il compositore Joseph Offenbach. Musica gioiosa, travolgente, su libretto firmato Henri Meilhac e Ludovic Halevy, che lasciava trasparire una decisa critica a quella società imperiale che si era distinta per mancanza di moralità e ricerca continua di divertimenti sfrenati. Tanto che pure la censura aveva trovato qualcosa da dire e imposto “ammorbidimenti”. Fatto sta che l’operetta debutta al Théâtre des Variétés il 17 dicembre 1864. In scena Hortense Schneider, soprano prediletta da Offenbach. Il successo è immediato e sarà duraturo: 500 rappresentazioni consecutive.
Ecco, nessuno sa dire in che momento Escoffier creò il magico dessert, evidente omaggio al’operetta ma anche –
o soprattutto? – alla straordinaria cantante e affascinante Dame di nome
Hortense.
6 pere - 1 litro d’acqua – 400 g zucchero – 1
baccello di vaniglia
200 g cioccolato fondente – 150 g mandorle tostate e
affettate
gelato alla vaniglia
Per lo
sciroppo, versare l’acqua in una casseruola, aggiungere lo zucchero, la stecca
di vaniglia aperta a metà e portare a bollore su fiamma dolce. Sbucciare le
pere e scottarle nello sciroppo, che deve solo fremere, per una decina di
minuti. Lasciar raffreddare nello sciroppo e poi scolare. In altra piccola casseruola, a
bagno-maria, far fondere il cioccolato tagliato a pezzetti, aggiungendo un poco
d’acqua. In forno, tostare le mandorle.
In una coppa
o piattino curvo mettere una pallina di gelato alla vaniglia, accostare una
pera sciroppata, nappare con il cioccolato caldo e cospargere di
mandorle.
Nota: Le
mandorle possono essere tostate anche in una padellina ma bisogna muoverle
molto e fare ben attenzione a che non scuriscano troppo perché diventerebbero
amare. In commercio si trovano già
affettate.
Grazie alle fonti
www.taccuinistorici.it - www.cucchiaio.it - www.rysto.com - www.janinetssot.fdaf.org - www.academiedugout.fr -
www.restaurantotesud.fr - www.wikigallery.org - wikimedia.org
www.restaurantotesud.fr - www.wikigallery.org - wikimedia.org
Libri
“L’Histoire à la carte”
by TM, Editions de la Martinière
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