Come un turacciolo.
Nella vita bisogna abbandonarsi come un turacciolo alla corrente di un ruscello.
Nella vita bisogna abbandonarsi come un turacciolo alla corrente di un ruscello.
Pierre-Auguste Renoir
“Oggi,
25 febbraio 1841, alle tre del pomeriggio, è comparso dinanzi a noi, assessore
rappresentante del Sindaco della Città di Limoges, Léonard Renoir, sarto, di
anni 41, residente in boulevard Sainte-Catherine, il quale ci ha presentato un
bambino di sesso maschile, nato a casa sua questa mattina alle sei, figlio del
comparente e di Marguerite Merlet, sua moglie, di anni 33, cui sono stati
imposti i nomi di Pierre-Auguste….”.
Limoges
Era
nato, sesto di sette figli, il pittore della joie de vivre, della rivoluzione impressionista. I suoi genitori
erano poveri eppure il nonno, François Renoir, affermava di essere nobile di
nascita e precisava che il cognome gli era stato dato da uno zoccolaio che
l’aveva raccolto infante. Ma, fra nobiltà presunta e povertà, l‘infanzia di Pierre-Auguste
fu felice.
Nato nel Limousin, parigino dall’infanzia, Renoir - così sarà sempre chiamato, semplicemente - amava il Midi e fu felice a Cagnes-sur-Mer così come il grande amico Cézanne, nato a Aix-en-Provence, amò intensamente l’Estaque, allora villaggio di pescatori a ridosso di Marsiglia.
Parigi: la casa di Montmartre ora museo
Nato nel Limousin, parigino dall’infanzia, Renoir - così sarà sempre chiamato, semplicemente - amava il Midi e fu felice a Cagnes-sur-Mer così come il grande amico Cézanne, nato a Aix-en-Provence, amò intensamente l’Estaque, allora villaggio di pescatori a ridosso di Marsiglia.
Jean
Renoir, secondogenito del pittore, raffinato regista entrato nel Gotha della cinematografia
mondiale, qualche anno fa ha scritto un libro appassionato per raccontare di quel papà semplice
e straordinario che, con la sua pittura “diversa”, anticonvenzionale, aveva
fatto irruzione in un’epoca “tradizionale” e aveva dovuto farsi strada fra
diffidenza e ostilità; ha
raccontato delle modelle e fra queste, adoranti, la bellissima moglie Aline, a
sua volta adorata; delle poche cose che gli servivano per dipingere, della sua
modestia, dei tanti amici con cui aveva diviso anche la fame; dei galleristi intelligenti, acuti, “coraggiosi” - esattamente tre -
diventati ben presto famiglia; della capacità di donare di Renoir; di come le
sue tele furono rifiutate, così come quelle dei suoi compagni di fede
pittorica. Ha raccontato come suo padre fosse amareggiato dal fatto che persino
il dipinto che ben presto sarebbe diventato “cult” fosse stato respinto, dai
critici, dal pubblico e dalle istituzioni.
Scriveva Pierre Wolf su “Le Figaro”:
Scriveva Pierre Wolf su “Le Figaro”:
“Rue
Peletier è in disgrazia. Dopo l’incendio dell’Opéra, un nuovo disastro si sta
abbattendo sul quartiere. Da Durand-Ruel si è aperta una mostra che dicono sia
di pittura. Il passante ignaro entra, attirato dai drappi che adornano la
facciata, e ai suoi occhi spaventati si offre uno spettacolo crudele. Cinque o
sei alienati, fra cui una donna e un gruppo di disgraziati colpiti dalla follia
dell’ambizione, vi si sono dati appuntamento per esporre le loro opere”…
Camille Pissarro: Paesaggio a Chaponval
..”Ci
sono persone che scoppiano a ridere davanti a cose simili. A me, invece, si
stringe il cuore.” …”Spaventoso spettacolo della vanità umana che giunge fino
alla demenza. Andate a far capire al signor Pissarro che gli alberi non sono
violetti, che il cielo non è d’un color burro fresco, che in nessun paese si
vedono le cose che egli dipinge e che nessuna intelligenza può accedere a simili
traviamenti!” (….) Tentate dunque
di spiegare al signor Renoir che il busto di una donna non è un ammasso di
carne in decomposizione, con delle macchie di un verde violaceo che in un
cadavere denotano lo stato di completa putrefazione!”(…)
Renoir: Le bagnanti
Se
questo era il clima, non c’è da sorprendersi se la fiducia vacillava. Per
fortuna, Oltreoceano, qualcuno aveva maggior intuito di quanto non ne avessero i
curatori del Louvre e mentre Parigi esibiva “pollice verso”, a New York la nuova
pittura veniva salutata con grande interesse. Grazie anche, se non soprattutto a quel geniale gallerista di nome Paul Durand-Ruel, che sarebbe diventato amico fraterno di Renoir.
“Le
déjeuner des canotiers” fu acquistato dagli americani e ora fa parte della
Collezione Phillips a Washington. E per Renoir fu il recupero della fiducia.
“Mio
padre aveva qualcosa di un vecchio arabo e molto di un contadino francese, con
la differenza che la sua pelle, sempre protetta dal sole per la necessità di
tenere la tela al riparo dai riflessi ingannatori, era rimasta chiara come
quella di un adolescente”.
“Quello
che colpiva gli estranei che lo incontravano per la prima volta erano gli occhi
e le mani. Gli occhi erano di un marrone chiaro, tendente al giallo; aveva una
vista acutissima. (…) Quanto all’espressione del suo sguardo, immaginatevi un
misto di ironia e tenerezza, di scherzo e di voluttà. Sembrava che i suoi occhi ridessero sempre, che scorgessero
anzitutto il lato divertente delle cose; ma era un sorriso affettuoso, buono. O
forse si trattava di una maschera; infatti era estremamente pudico e non voleva
che il prossimo si accorgesse dell’emozione, simile a quella che altri uomini
provano nel toccare o nell’accarezzare, che lo assaliva al solo guardare i
fiori, le donne o le nuvole in cielo”. (…)
Aveva
delle mani incredibilmente piccole, quasi da signora. Ma, ancora giovane, era
stato colpito dall’artrite reumatoide, sofferenza fisica e sfida in pittura.
“Aveva le mani deformate in maniera spaventosa; i reumatismi avevano fatto
cedere le articolazioni, ripiegando il pollice verso il palmo e le altre dita
verso il polso. I visitatori non
abituati a quella menomazione non riuscivano a staccarne gli occhi; la reazione
e il pensiero che non osavano formulare era questo: “Non è possibile. Con delle mani simili non può dipingere
questi quadri; c’è sotto un mistero!”. Il mistero era Renoir stesso …”
Renoir: Il pranzo dei canottieri
Mangiava poco, Renoir, e però si appassionava alle “ghiottonerie”. E l’attenta e innamorata moglie Aline imparò a cucinare prendendo lezioni dalla suocera e dallo stesso Renoir.
Racconta Jean Renoir: “Le cene intime con conversatori come Lestringuez, Mallarmé, Théodore de Wyzewa, Zola, Alphonse Daudet, Catulle Mendès, Odile Redon, Claude Monet, Verlaine, Rimbaud, Villiers de l’Isle-Adam, Frantz Jourdain, Edmond Renoir e altre amicizie permanenti o passeggere di suo marito, le insegnarono a tacere. Non potendo opporre le sue conoscenze in fatto di vigneti (era nata nella regione dello Champagne, ndr) ai paradossi brillanti dei suoi commensali, decise di rispondere con la qualità dei suoi piatti.”
Le
sue bouillabaisse sono diventate famose. Così come il ragoût di montone, il
pollo fritto con i funghi che sostituiva il bollito quando i soldi
scarseggiavano, i pomodori farciti.
A tavola, in qualunque parte della Francia fossero, c’era sempre un
posto per gli amici e i conoscenti. D’altra parte c’era reciprocità, una specie
di comunione degli alloggi, come la definisce Jean Renoir. “Se desiderava
dipingere in campagna, mio padre trovava del tutto naturale piombare in casa
Gallimard in Normandia, da Berthe Morizot a Mézy o da Cézanne al Jas de Bouffan
e di mettersi lì a dipingere. Da parte sua, lasciava volentieri i l suo studio
a Jeanne Baudot, che se ne serviva quando eravamo in viaggio. Prestava di
continuo il suo appartamento agli amici”.
Ricorda ancora, Jean: “All’infuori della mia bellezza, che lei era la sola a riconoscere, Gabrielle (cugina di Aline e governante, ndr) si ricordava che il giorno della mia nascita mia madre aveva chiesto alla signora Mathieu di prepararle dei pomodori al forno secondo una ricetta avuta da Cezanne. “Soltanto –le aveva detto – siate un po’ più generosa con l’olio d’oliva”.
Madame Renoir, che raccoglieva ricette un po’ovunque e soprattutto da Marie Corot, aveva messo a punto una serie
di regole ferree da rispettare in cucina. Eccone alcune:
1) Non mettere mai in acqua i legumi freschi. I piselli, ad esempio, devono essere cotti senza una goccia d’acqua. Qualche foglia di lattuga fornisce l’umidità sufficiente perché la casseruola non si spacchi.
2)
Fare attenzione alla cottura della carne. I francesi arrostiscono
troppo a lungo manzo e agnello, così come fanno gli inglesi, i tedeschi e gli
americani. A casa Renoir il tempo
di cottura di un pezzo di manzo o di un cosciotto d’agnello era di dodici
minuti per ogni mezzo chilo. Rigorosamente.
3)
Evitare di far cuocere gli arrosti in forno. L’umidità che viene fuori
dalla carne ne fa un bollito o quasi. Lo spiedo dà risultati migliori perché il
pezzo di carne è a contatto dell’aria, diventa meno molle e consente alle
tossine di evaporare.
4)
Non tentare di spremere le cose fino in fondo; bisogna saper sprecare.
La ricetta della bouillabaisse
1895:
il sindaco dell’Estaque “regala” a Renoir e Cézanne la ricetta della
Bouillabaisse. E noi ne raccontiamo la storia.
La bouillabaisse, ha origini greche che risalgono al VII secolo AC, quando venne fondata Marsiglia. Allora era un semplice ragoût di pesce, chiamato Kakavia ed era confezionato con quanto restava ai pescatori di pesce invenduto. Nella mitologia romana, era la zuppa che Venere aveva servito a Vulcano per quietarlo e indurlo ad addormentarsi. Scopo non dichiarato ma (si dice) raggiunto: andarsene poi a folleggiare con Marte.
Nel 1980 è nata la carte della bouillabaisse che prevede un minimo di 4 varietà di pesce, e fra l'altro, di rigore, la buccia d'arancia essiccata.
Alfred Capus, giornalista, drammaturgo, scrittore nativo di Aix-en-Provence come Cézanne e praticamente coetaeo di Renoir essendo nato nel 1857, ha dato della bouillabasse una splendida definizione: "C'est du poisson avec du soleil". Pesce e sole i due ingredienti fondamentali.
La bouillabaisse, ha origini greche che risalgono al VII secolo AC, quando venne fondata Marsiglia. Allora era un semplice ragoût di pesce, chiamato Kakavia ed era confezionato con quanto restava ai pescatori di pesce invenduto. Nella mitologia romana, era la zuppa che Venere aveva servito a Vulcano per quietarlo e indurlo ad addormentarsi. Scopo non dichiarato ma (si dice) raggiunto: andarsene poi a folleggiare con Marte.
Nel 1980 è nata la carte della bouillabaisse che prevede un minimo di 4 varietà di pesce, e fra l'altro, di rigore, la buccia d'arancia essiccata.
Alfred Capus, giornalista, drammaturgo, scrittore nativo di Aix-en-Provence come Cézanne e praticamente coetaeo di Renoir essendo nato nel 1857, ha dato della bouillabasse una splendida definizione: "C'est du poisson avec du soleil". Pesce e sole i due ingredienti fondamentali.
“Si tratta di una ricetta classica:
pesci di scoglio rosolati in olio d’oliva con cipolle e pomodori. Quindi acqua
calda e molto aglio. L’aglio non deve mai essere rosolato. Aggiungere gli
odori. I pesci e i crostacei vengono messi a lessare quando il “fondo” è cotto.
Ci vogliono gli scorfani. Lo zafferano solo in ultimo. La zuppa, dopo essere
stata passata, si versa su delle fette di pane arrostito e sfregato d’aglio.
Niente salsa che nasconda il gusto delicato dei pesci di scoglio e che è
un’invenzione delle trattorie d’infimo ordine.”
Ma
ecco la ricetta integrale proposta
da “La cuisinière provençale”, manuale di
Jean-Baptiste Reboul, chef cuisinier, pubblicato a Marsiglia nel 1897 e
divenuto subito “testo sacro”.
Raccomandazione: “Una
bouillabaisse, per essere servita perfettamente secondo le regole di Marsiglia,
deve prevedere almeno 7/8 commensali. Ecco perché: poiché per la sua
preparazione bisogna utilizzare una grande varietà di pesci di scoglio è
necessario cucinarne molti per poter inserire il maggior numero possibile di
varietà.
Molti di questi pesci hanno
un gusto particolare, un profumo che è proprio. Ed è dalla combinazione dei
differenti gusti che dipende il successo del piatto.
I pesci da scegliere:
aragosta, scorfano, pesce cappone o gallinella, tracina, tordo,
sanpietro, rana pescatrice, grongo, nasello, spigola, granchio,
etc.. Squamare e svuotare. Tagliare in pezzi e dividere su due piatti. Da una
parte i pesci a carne ferma: aragosta,
scorfano, tracina, pesce cappone,
rana pescatrice, granchio; dall'altra il pesce a carne delicata:
spigola, sanpietro, tordo, nasello.
Mettere in una casseruola 3
cipolle affettate, 4 spicchi d’aglio schiacciati, 2 pomodori tritati (togliere
prima buccia e semi), un rametto di timo, altrettanto di finocchio, prezzemolo,
una foglia d’alloro, un pezzetto di scorza d’arancia; aggiungere i pesci a carne ferma, distribuire uniformemente
mezzo bicchiere d’olio, bagnare con acqua bollente fino a coprire il tutto. Portare a bollore a fuoco vivo e dopo
cique minuti aggiungere il pesce tenero, come la spigola, il tordo, etc. .
Continuare la cottura a fiamma alta per altri cinque minuti.
Togliere dal fuoco, filtrare il liquido su fette di pane alte 1 centimetro e mezzo, sistemate in un piatto fondo. Aggiustare il pesce in un altro piatto e cospargere di prezzemolo tritato.
Uno dei punti importanti
nella preparazione di questa Bouillabaisse è la cottura a fuoco vivace; questo
fa sì che l’olio si amalgami bene con il brodo formando un succo perfettamente
legato; altrimenti l’olio si separerebbe dal liquido e affiorerebbe in
superficie, il che non risulterebbe gradevole al palato.
Ci siamo un po’ dilungati
nella spiegazione, ma era necessario: su dieci libri di cucina che propongono
questa ricetta, nove sono imprecisi; è inammissibile, ad esempio, che vi si
dica di mettere nella casseruola tutto il pesce contemporaneamente e di farlo
cuocere a fuoco forte per 15 minuti.
Non si può pensare che un pezzo di sanpietro o di nasello possano avere lo stesso tempo di cottura e
rimangano presentabili”.
Nota:
in questo testo si propone anche l’aragosta che, invece, ricette più recenti
escludono. E’ però vero che per la
bouillabaisse, così come per altri piatti molto popolari, esistono mille
versioni.
Nota:
Prima di mettere in cottura, passare il pollo sulla fiamma per togliere qualsiasi
traccia di piumaggio, lavare accuratamente anche l’interno, già privato delle
interiora, e asciugare perfettamente.
“Tagliare a pezzi il pollo; farlo rosolare con pochissimo olio d’oliva in una casseruola spessa. A mano a mano che i pezzi sono rosolati, metterli da parte su un piatto caldo.Togliere l’olio e rimettere il pollo nella casseruola con ub po’ di burro, pochissimo. Aggiungere due cipolle non molto grosse tagliate a fettine sottili, due pomodori spellati, un po’ di prezzemolo e timo, uno spicchio d’aglio, alloro, pochissima acqua calda, sale e pepe. Girare spesso stando attenti a non far bruciare il condimento. Cuocere e fuoco bassissimo. Mezz’ora prima di servire, aggiungere qualche fungo, olive nere greche, italiane o provenzali, e il fegato. Un bicchierino di cognac nela casseruola scoperta perché evapori. Al momento di servire, cospargere con prezzemolo e aglio tritati finissimi.”
“Andavamo
pazzi per le patate cotte sotto la cenere e, d’inverno, per le castagne cotte
allo stesso modo. La cucina di mia madre era come lei, rapida, senza
complicazioni, chiara e pulita. Niente odori di grasso cotto, perché l’olio e
il burro servivano una volta sola e la casseruola veniva quindi ripulita a
fondo. Tutto questo andava d’accordo anche con la regola fondamentale di
Renoir: fare cose buone con poco; usare solo il meglio, ma con parsimonia.”
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