“Piglia rotoli 4 de
pommodoro, li tagli in croce, li levi la semenza e quella acquiccia, li fai
bollire, e quando si sono squagliati li passi al setaccio, e quel sugo lo fai
restringere sopra al fuoco, mettendoci un terzo di sugna ossia strutto di
maiale. Quando quella salsa si è stretta giusta bollirai due rotoli di
vermicelli verdi verdi (al dente, ndr) e scolati bene, li metterai in quella
salsa, col sale e il pepe, tenendoli al calore del fuoco, così s’asciuttano un
poco. Ogni tanto gli darai una rivoltata e quando sono ben conditi li servirai”.
Questa è la “prima volta”
della pasta al pomodoro. E’ la
prima vera ricetta di un capolavoro culinario che, nella sua semplicità,
avrebbe ben presto conquistato il mondo, resistendo al tempo. Il Maestro di cucina
si chiama Ippolito Cavalcanti, Cavaliere, Duca di Buonvicino. Napoletano.
Era il 1837 quando venne
pubblicata in Napoli la prima
edizione della “Cucina teorico-pratica” , un voluminoso trattato scritto
dal Duca, che amava dedicare il
suo tempo all’arte cucinaria . Ippolito Cavalcanti aveva allora cinquant’anni,
era uomo colto e di nobili origini.
“Guido, i’ vorrei che tu e
Lapo ed io / fossimo presi per incantamento, / e messi in un vasel ch’ad ogni
vento / per mare andasse al voler vostro e mio…. “. Così scriveva Dante in un
sonetto giovanile e “quel” Guido, amico, poeta del Dolce Stil Novo, era un Cavalcanti. Ippolito un suo discendente.
“La cucina teorico-pratica”
era scritta in (buon) italiano, contrariamente a gran parte dei ricettari dell’epoca,
ed ebbe subito gran successo. Addirittura questo ricco manuale surclassò il “Cuoco
galante” di Vincenzo Corrado, che fino ad allora aveva regnato in tutte le
nobili cucine. Ci sono, nel “librone” ricette e ricette, suggerimenti di menu,
indicazioni di come doveva essere attrezzata una cucina… il tutto ordinato e
sistematizzato in modo tale da essere valutato “impeccabile”, ancora oggi.
Il Duca, come
immaginabile, era cresciuto in ambiente di assoluta raffinatezza anche
culinaria, e però era particolarmente sensibile alla cucina plebea che, nel tempo, avrebbe ispirato tutta
la sua creatività, la sua filosofia. Ed ecco, dunque, che nel 1839, esce la seconda edizione del Trattato, con
un appendice: “Cucina casereccia in dialetto napoletano”. E anche questa è una “prima
volta” perché mai, fino ad allora, si era visto un libro in due parti: la prima
per gli “scolarizzati” o “letterati”, la seconda per il popolo che l’italiano non lo praticava.
Ippolito Cavalcanti
scomparve (secondo fonti non confermate) in un giorno di marzo del 1859, a 72 anni. Del suo volume ne erano già state
prodotte sette edizioni, frutto, ognuna di esse, di nuovi studi,
approfondimenti, adattamenti e revisioni.
Un grande merito va a
questo scrittore-studioso-Maestro: aver tratto piatti saporosi e nutrienti da
ingredienti semplici, poveri - come uova, verdure, pescetti e molluschi - di
uso quotidiano nelle case napoletane, che proprio piccole case, magari solo
stanze erano e non palazzi. “La
manipolazione di tutto ciò sia semplice e naturale, il brodo non molto carico di
carne, i sughi senza tanto lardo, prosciutto e butirro…Il palato dolcemente
stuzzicato fa trovare del gusto in tutto ciò che si mangia: nulla è più
contrario alla salute che un troppo saporito cibo”.
Dal trattato di Ippolito
Cavalcanti, tre ricette, tre gioielli della cucina napoletana: Vermicelli con
purè di pomidoro, e vongole; gattò di melanzane; crema fritta. Queste ultime due – unitamente ad altre 48
ricette - sono state rivisitate da Stefania Barzini, enogastronoma e
scrittrice.
Vermicelli con purè di
pomidoro, e vongole
“Lesserà rotoli due di
vongole, ne conserverà il frutto, colerà quell’acqua, ed in essa farà bollire
rotoli quattro di polpa di pomidoro, quando si saranno scotte, le passerà per
setaccio; porrà l’estratto in una casseruola, ci porrà del sale, del pepe, ed
once otto di oglio perfettissimo, e farà dolcemente bollire, e legare a densa
salsa, e portata a questa precisione ci unirà le scorzate vongole; lesserà
rotoli due di vermicelli, li sgocciolerà ben pronti, ed in una grande
casseruola li mescolerà con la descritta salsa; porrà la casseruola al caldo di
una fornella, ed ogni cinque minuti rivolterà bene, perché divenghino ben
sciolti, ma non molto asciutti, e così li servirà in zuppiera”.
Nota bene: il “rotolo” era
una misura di peso corrispondente a 890 grammi. L’oncia (chiamata anche “onza”)
corrispondeva a gr 26,7 ed era la dodicesima parte della libbra (gr 321,7). L’”oglio
perfettissimo” può essere tradotto in olio extravergine di oliva.
Dalle antiche misure di
peso indicate da Cavalcanti, si deducono queste quantità: vongole, kg 1,780 –
pomidoro, kg 3,560 – olio, gr 216,6 – vermicelli, kg 1,780. A ognuno di noi il
compito di adattarle alle esigenze della tavola, rispettando le proporzioni.
Gattò di melanzane
Per 6 persone
6 melanzane lunghe –
farina – olio di oliva – Per il ripieno: 150 g parmigiano grattugiato – 1
provola affumicata – basilico -
salsa di pomodoro – pangrattato – sale e pepe – Per la salsa di
pomodoro: 500g di pomodorini freschi da sugo – 1 spicchio d’aglio – Olio d’oliva
– 10 foglie di basilico – sale e pepe
Tagliate le melanzane a
fette sottili che infarinerete e friggerete in abbondante olio ben caldo. Mettete poi le melanzane
a scolare su carta assorbente in modo da eliminare l’eccesso di unto. Salate.
Nel frattempo fate una
salsa di pomodoro piuttosto densa mettendo a cuocere i pomodorini tagliati a
pezzetti in olio in cui avrete soffritto uno spicchio d’aglio. Verso fine
cottura aggiungete le foglie di basilico e aggiustate di sale e pepe.
Prendete una teglia da
forno dai bordi piuttosto alti, oliatela leggermente e spolveratene le pareti
con il pangrattato. Fasciate la teglia con una parte delle melanzane fritte che
farete debordare dalle pareti. Riempite questa cassa di melanzane così ottenuta
con le restanti melanzane fritte
alternandole al parmigiano grattugiato, alla provola affumicata tagliata a
fettine e a cucchiaiate di salsa di pomodoro. Salate e pepate. Alla fine
ripiegate su se stesse le melanzane debordanti in modo da formare una vera e
propria scatola. Mettete in forno caldo finché la superficie non sarà dorata.
Lasciate intiepidire il timballo per 5 o 6 minuti, sformatelo su un piatto di
portata e servite immediatamente.
Crema fritta
Per 6 persone
1 lt di latte – 150 gr di
zucchero – 8 tuorli d’uovo – 2 uova intere – 100 gr di farina – abbondante olio
per friggere – pangrattato – cannella
Fate una crema pasticcera sbattendo insieme i tuorli, lo zucchero e la farina. Aggiungete il latte tiepido e mettete a cuocere, sempre mescolando, su fuoco basso. Spegnete quando la crema inizia a bollire e fatela freddare. Una volta freddata tendete la crema su un ripiano di marmo leggermente unto d’olio e tagliatela a piccole losanghe che infarinerete, passerete nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Fate scaldare bene l’olio in una grande padella e friggete la crema. Scolate le losanghe su carta assorbente in modo da eliminare l’unto in eccesso, spolverizzatele con un miscuglio di zucchero e cannella e servite ben calde.
Piccoli consigli utili
(forse)
- Per le fritture, come al solito, l’alternativa all’olio di oliva è l’olio di semi di arachide che ha un punto di fumo molto alto.
- Non sempre si ha una superficie di marmo per stendere e lavorare paste, creme, gnocchi e via dicendo. E’ possibile rimediare acquistando, in un negozio di casalinghi, un tappetino in silicone per uso alimentare. Anzi, ve ne sono alcuni stampati in rilievo da una parte (per la decorazione delle torte) e lisci dall’altra. Perfetti, vanno anche in lavastoviglie.
Fonti: “Cucina
teorico-pratica” del Cavalier Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino – A cura
di Jeremy Parzen – Con 50 ricette rivisitate da Stefania Barzini – Guido Tommasi
Editore
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