Ricette

lunedì 30 dicembre 2013

Capodanno tra sacro e profano...


Ultimo giorno dell’anno, San Silvestro. Un Santo citato  - in quest’epoca secolare – più come “padre di tutti i veglioni” che per le sue benemerenze religiose.  Silvestro diventa Papa (il 33esimo della storia cristiana) il 31 gennaio del 314  e resta per quasi 22 anni sul soglio pontificio. Il suo percorso si conclude infatti il 31 dicembre del 335, data della sua morte. Un Pontificato lungo, seppure non di particolare rilievo secondo gli storici,  nato sotto il segno degli imperatori Costantino e Licinio che nel 313, mentre era Papa l’africano Milziade,  danno piena libertà di culto a tutti i cittadini, mettendo così fine alle persecuzioni religiose.  Silvestro è dunque il primo Papa di una chiesa “libera”  che però, essendo “in costruzione”, è lacerata da forti controversie disciplinari e teologiche, alle quali si tenterà di porre rimedio con  i concilî di Arles  (314) e di Nicea (325). A questi importanti appuntamenti, Papa Silvestro non è chiamato a dare alcun contributo: le decisioni che ne scaturiscono  gli vengono semplicemente comunicate.  San Silvestro ci ha comunque lasciato un'eredità importante: la domenica. Fu proprio lui infatti a decidere di dedicare un giorno alla settimana alle opere di culto e questo giorno divenne la domenica, cioè il giorno del Signore. 







E per il primo giorno del nuovo anno….cornetto rosso? Lenticchie? Cotechino? Stinco o cosciotto di maialino? Vischio?  Normalmente il 31 dicembre  si scatena una ricerca (talvolta spasmodica, esagerata) di simboli portafortuna. E se tutto ciò può far sorridere, ma certo male non fa, perché non propiziarsi anche qualche Santo? Concretamente,  molto concretamente, in modo assolutamente terreno…I Santi e un  "infiltrato",  un…diavoletto…visto che le due categorie hanno, come si dice, un interesse comune…



                                        da "Miseria e nobiltà"

Menu


  • Prosciutto di San  Daniele accompagnato da crostini e burro
  • Coquilles Saint-Jacques (capesante) gratinate
  • Pesce San Pietro al forno su letto di patate e carciofi
  • Pollo alla diavola con insalatina mista
  • Plateau di formaggi: Saint-Marcellin, Saint-Nectaire,  Saint Agur
  • Desserts: torta Paradiso,  torta dolce di Santa Chiara


E, per rispettare la tradizione, se volete....
Cotechino con lenticchie


Le ricette


Coquilles Saint-Jacques gratinate


Ingredienti: 2/3 molluschi per persona - pangrattato -  prezzemolo - aglio 
cognac - burro -  sale e pepe

Lavare e spazzolare bene le conchiglie, immergerle in acqua fredda con un pugno di sale grosso  e lasciarvele per una mezz’ora in modo che spurghino il più possibile la sabbia. Aprirle con un coltello e togliere il mollusco, staccandolo prima dalla valva piatta e poi da quella concava.  Per preparare alla cottura il mollusco stesso, eliminare la sacca di protezione trasparente (che contiene sabbia) e la parte nera; infine, eliminare il muscolo gommoso. Sciacquare sotto acqua corrente e  asciugare su un canovaccio. Mescolare pangrattato, prezzemolo e  aglio tritati finemente, aggiungere un poco di sale e una macinata di pepe. Inumidire con qualche goccia di cognac.  Usare questo impasto che deve essere piuttosto asciutto - per impanare le capesante che andranno rimesse nella loro conchiglia (parte concava). Cospargerle ancora con qualche goccia di cognac e mettere una nocciola di burro su ciascuna di esse.  Infornare in forno pre-riscaldato a 180°C  per 10 minuti, accendendo il grill se necessario. Attenzione: le capesante devono essere cotte pochissimo, altrimenti diventano asciutte e sgradevoli alla masticazione.


Pesce San Pietro con patate e carciofi




Questo pesce, dalla carne morbida e di sapore netto ma delicato,  arriva a una lunghezza superiore al mezzo metro e a un peso di sei chili circa. La taglia media è tra i 30 e i 40 centimetri.  E’ facilmente riconoscibile perché i fianchi sono segnati da due macchie nerastre che, secondo più leggende, rappresenterebbero l’impronta delle dita di San Pietro.  Una  leggenda narra infatti che Simone detto Pietro,  il più famoso pescatore della Galilea, diventato  uno dei dodici apostoli, su comando di Gesù pescò a mani nude  questo pesce  per estrargli dalla bocca una moneta d’oro con cui pagare l’obolo al tempio di Gerusalemme.  Un’altra leggenda  racconta invece che Pietro, un giorno, in riva al mare, venne schernito da alcune persone. E che, per tutta risposta, egli mise le mani nell’acqua estraendo un grosso pesce, che liberò subito. E da allora, per gratitudine, il pesce reca sui fianchi l’impronta digitale del Santo.

Ingredienti: 1 pesce di peso superiore a 1 kg - 6 patate a pasta bianca 
 4 carciofi spinosi di Sardegna  - aglio  - prezzemolo - sale -  pepe 
1 limone  burro quanto basta - vino bianco secco


Pelare le patate, pulire e spuntare i carciofi. Affettare entrambi a lamelle piuttosto sottili. Far saltare patate e carciofi in una padella larga con burro e due spicchi d’aglio ; aggiungere  ½ bicchiere di vino bianco, sale, pepe e far stufare per una decina di minuti. A parte preparare il pesce : eviscerare, tagliare le pinne e raschiare leggermente la superficie. Sciacquare.  Intanto sarà stato preparato un brodetto bollendo in acqua, per 20/30 minuti, 2 foglie di alloro, una carota tagliata a pezzetti, un gambo di sedano, una cipolla  non troppo grossa, qualche grano di coriandolo secco, due fette di limone. Il pesce sarà messo nel tegame quando il brodetto è tiepido, poi sarà portato a bollore dolce (deve fremere appena appena) calcolando 2 minuti di cottura per ogni 100 grammi di peso. Attenzione:  la cottura sarà completa quando gli occhi del pesce saranno diventati due palline bianche e dure. Sfilettare poi il San Pietro e disporre i filetti sopra le patate e i carciofi, cospargendo il tutto con prezzemolo tritato. Tenere la portata in caldo, coperta con un foglio di alluminio. Ma non cuocere ulteriormente!


Pollo alla diavola


Ingredienti: 1 pollo novello di circa 1 kg  o 2 galletti da 600/700 gr ciascuno - 2 limoni
sale - pepe o peperoncino - origano - rosmarino - aglio - olio extravergine di oliva

Fiammeggiare e lavare un pollo di peso superiore al chilo o, ancora meglio, acquistate due galletti o polli novelli di circa 600/700 grammi ognuno.  Tagliare il pollo lungo il petto e aprirlo completamente; girarlo con la parte aperta verso il tagliere, coprirlo con carta da forno e batterlo con il pestacarne per appiattirlo il più possibile, facendo però attenzione a non romperne le ossa.  Massaggiarlo con olio extravergine di oliva  al quale sia stato unito sale, pepe (o peperoncino spezzettato), origano, aglio e rosmarino tritati.  Scaldare una griglia o bistecchiera, posarvi due fette spesse di limone e il pollo (o galletti) lato schiena; coprire con un coperchio, pressato da due pesi. Tenere il fuoco vivace per cinque minuti, quindi togliere le fette di limone,  sostituirle con altre due e girare il pollo. coprendolo nuovamente come prima.   Quest’operazione va ripetuta per quattro volte fino a cottura completata (un’ora circa).  Servire il pollo molto caldo accompagnato da un’insalatina mista. 


Formaggi
Saint-Marcellin: Originario del Dauphiné, in Francia, è un formaggio di piccole dimensioni ottenuto da latte vaccino, pasta molle e crosta fiorita.  Molto profumato e cremoso.

Saint-Nectaire: Prodotto nell’Auvergne,nella zona vulcanica dei Monts Dore,  appare nella gastronomia del 17° secolo sotto il nome di Saint-Nectaire. Un maresciallo di Francia, di nome Sennecterre, l'ha reso celebre alla tavola di Luigi XIV, il re Sole. Citato in numerose opere (soprattutto nel 1786 e nel 1787), la sua produzione si è sviluppata nei secoli 19° e 20° nelle piccole aziende di allevamento di montagna, dove è divenuto appannaggio delle contadine. Ha un delicato gusto di nocciola.  


Saint Agur: formaggio erborinato, della famiglia dei gorgonzola e Roquefort, è anche perfetto in associazione con paste, carni e verdure.


Dessert

Torta Paradiso
200 g burro – 250 g zucchero a velo – 1 limone non trattato – 90 g di tuorli – 100 g uova sgusciate – 130 g di farina 0 – 130 g di fecola di patate – 3 g di lievito – 2 pizzichi di sale
(tortiera diametro 22 cm)

In una ciotola montare il burro morbido con lo zucchero a velo e aromatizzare con la buccia grattugiata del limone. Unire poco per volta le uova e i tuorli già sbattuti. Incorporare infine le farine setacciate unitamente a lievito e sale. Versare la massa in uno stampo imburrato e infarinato, porlo in forno pre-riscaldato a 175°c per 35 minuti. A cottura ultimata sfornare la torta e lasciarla raffreddare sulla grata per dolci.
Cospargere la superficie con zucchero a velo e guarnire secondo la propria creatività, oppure farcire con una crema pasticcera o ganache al cioccolato. Sarà comunque paradisiaca...


Torta dolce di Santa Chiara
                         
Ingredienti: 300 g di farina 0 – 300 g zucchero semolato – 300 g burro – 6 uova intere – scorza di limone non trattato - due bustine di lievito per dolci – 150 g di uvetta – 150 g di mandorle pelate e tritate grossolanamente(tortiera diametro 20/22 cm)

Setacciare la farina in una ciotola, aggiungere zucchero, burro morbido a dadini, uova, scorza di limone, lievito. Lavorare abbondantemente con una frusta (se elettrica vi risparmierà fatica…) fin quando la massa non sarà ben amalgamata e liscia. Unire le uvette e amalgamare nuovamente. Sistemare l’impasto in una tortiera imburrata e infarinata, cospargerlo con la granella di mandorle. Porre in forno pre-riscaldato a 200°C, suddividendo così i tempi di cottura: primi 10 minuti a 200°C, quindi abbassare la temperatura a 160°C e mantenerla per i seguenti 30 minuti. A fine cottura la superficie della torta deve apparire dorata.
Sfornare e far raffreddare sulla grata per dolci


I vini: Saint-Emilion - Châteauneuf-du-Pape - Santa Cristina - San Colombano (rossi)
Santa Cristina (bianco) - Vinsanto



                            BUON ANNO!

mercoledì 18 dicembre 2013

Sfizi per le feste... crema di mascarpone


Se, alla prossima occasione di invitati, voleste presentare un dolce….uno di quei dolci che sono squisiti, lesti a fare e di poca spesa, ve ne insegno oggi uno che però potete fare solamente qualora nella vostra città, o nel vostro paese, i salumieri vendano il candido mascarpone.

E’ il mascarpone, quella leccornia che si fabbrica colla panna, nei caseifici; che è assai più soda del lattemiele; più dolce d’ogni dolce formaggio; che molti mangiano spolverizzata di zucchero; che costa circa una lira all’etto; e che in certi negozi vendono sciolta, in altri raccolta in piccoli involti di garza.

Se dunque potete avere il mascarpone…..”    Petronilla




 Questa è la premessa  alla ricetta di uno straordinario  e amatissimo dessert, preparato appunto con il mascarpone. La firma della ricetta è Petronilla. Ma chi era Petronilla?


Beh, un mito, per le “ragazze” della mia età, perché le nostre nonne e mamme non ne perdevano una delle sue ricette: le ritagliavano dal giornale e le incollavano su un quaderno dalla copertina nera.  "La Petronilla", che scriveva semplice semplice e dispensava i suoi consigli dalle colonne della Domenica del Corriere,  era un gran donna, medico, che oggi si definirebbe anche nutrizionista. E, come si usava dire, riusciva a mettere insieme  un pranzo con i fichi secchi. 



Il suo vero nome era Amalia Moretti Foggia della Rovere, era nata a Mantova nel 1872 in una famiglia di farmacisti da generazioni,  fu una delle prime laureate in medicina in Italia,  antesignana della cuoca-giornalista. Un esempio che sarà molto imitato con l’andare del tempo, com’è sotto gli occhi di tutti. 
 

Dava consigli utili su come cucinare in un periodo di magra qual è stato quello tra le due grandi guerre.  Miriam Mafai, giornalista e scrittrice, così ne parlava nel suo libro “Pane nero”: “Petronilla suggerisce nuove tecniche e accorgimenti  che consentano di mettere in tavola gli stessi piatti di prima ma senza gli stessi ingredienti ormai introvabili. E’ un vero e proprio inganno al palato, che permette, con qualche virtuosismo, di servire una crème caramel senza latte né uova, una maionese senza olio, una cioccolata in  tazza senza cioccolata…..”.

 La ricetta d'antan                                    

Per sei persone: 3 uova - 3 cucchiai di zucchero - tre cucchiai di  rhum

“In quanti siete a tavola? In sei compreso l’invitato? Ebbene, con un cucchiaio di legno battete allora in una insalatiera 3 torli con 3 cucchiai di zucchero; in un altro recipiente montate, sbattendole, le 3 chiare; quando di queste avrete fatto tanta spuma soffice e bianca come la neve, unitele ai torli, mescolate ben bene, aggiungete 3 etti di mascarpone; mescolate di nuovo; versate infine 3 cucchiai di rhum, (direbbe la ricetta ma…. versatene 4 cucchiai, dico invece io, che non amo troppo il dolce e che gradisco invece il sapore di un po’ d’alcol dopo un pranzo).

Fatta l’ultima rimescolata, mettete l’insalatiera, colla crema, fuori dalla finestra, al freddo; ed ecco così pronto un dolce veramente sopraffino e che non  richiede, per essere fatto, un solo centimetro cubo di gas”.

 

Presentazione 

 

“Se poi voleste far, con l’invitato, una figurona…. proprio da…. sciccone, a quelle fra voi che non hanno ancora la pratica necessaria per presentare bene un pranzo, dirò io come soglio porgere questa mia crema.

Preparo, col loro cucchiaino a lato, tante tazzine da tè (quelle delle grandi occasioni), quanti saremo a tavola; sotto il piattino della tazza ne metto un altro un  pochino più grande e possibilmente uguale alla tazza, fra i due piattini stendo un tovagliolino; riempio con la crema le tazze; nel mezzo di ciascuna metto anche di quelle ciliegine sotto spirito, che tengo, sotto chiave, nella credenza e…”.
Ancora oggi, nel 2013: grazie Petronilla!

Piccoli consigli utili (forse)
  • La crema al mascarpone è un tradizione del Natale.  E' utilizzata sia per accompagnare  panettone o pandoro sia come dessert a sé. Gli ingredienti sono sostanzialmente immutabili nel tempo, cambiano solo  gli strumenti di “lavorazione”, sbattitore elettrico in primis. E poi, ovvio, la conservazione in frigorifero…. Se la crema è destinata a farcitura, deve essere molto morbida e quindi può essere "allentata" con un po' di panna (senza esagerare).
  • Per la decorazione, libertà alla fantasia: polvere di cacao, scaglie di cioccolato, qualche mirtillo, due biscottini "lingua di gatto" o simili, cannella in polvere. A proposito di cannella è anche molto gradevole esteticamente usare la bacchetta intera, quasi fosse un cucchiaino; oppure ancora spezzettarla sulla preparazione (ma poco poco perché altrimenti finirebbe in bocca dando noia).

lunedì 16 dicembre 2013

Gratin dauphinois.... piatto da re...



Omaggio a Antoine-Augustin Parmentier a duecento anni dalla scomparsa
Nato in Francia, a Montdidier, il 17 agosto 1737 morì a Parigi il 17 dicembre 1813


Il Gratin Dauphinois,  nasce  - come dice il nome stesso -  nel Dauphiné, antica regione della Francia che all’origine si chiamava Viennois.  Infatti, Dauphin era il soprannome del conte di Vienna – Guige IV – nel XIII secolo.  Dunque, il Dauphiné (o Delfinato) è la regione sulla quale regnava il Delfino. E, nei secoli della monarchia, è sempre stata tradizione consegnare quella Regione al  Delfino di Francia.

 La ricetta

Gratin Dauphinois

(senza glutine)                                                                             
 

Dosi per 6 persone
  • 1,5 kg di patate a pasta gialla
  • 1,5 lt di crema di latte (panna fresca liquida)
  • 1 o 2  spicchi d’aglio
  • sale e pepe
  • burro per la teglia

 Pelare le patate, sciacquarle velocemente e affettarle a rondelle. Mettere queste rondelle a strati in una teglia di terracotta,  precedentemente imburrata e aromatizzata con lo sfregamento dell’aglio. Salare e pepare ogni strato di patate. Versare la panna, scuotendo leggermente  il piatto per ripartire bene il liquido.
Porre il recipiente in forno preriscaldato a 120°c, in posizione intermedia. Lasciar cuocere per almeno due ore e mezza , fin quando le patate saranno molto morbide, avranno assorbito tutta la panna e si saranno dorate. Eventualmente grigliare per pochi minuti, facendo molta attenzione a che la superficie non diventi troppo scura.


 Piccoli consigli utili (forse)
- Se l’utilizzo della sola panna è valutato troppo calorico, è possibile fare un 50/50 latte e crema. Il latte dovrebbe però essere intero.  C’è  poi chi usa solo il latte: certo, il gratin sarà meno cremoso o “fondente” , come si usa dire in Francia. Ma il sapore sarà comunque ottimo.
- La cottura: evidentemente due ore e mezza e anche più possono porre qualche problema. Allora è possibile scottare le patate, già affettate, nel latte, quindi scolarle delicatamente con un mestolo forato e aggiustarle nella teglia, ricoprendole con il latte di cottura e aggiungendo panna fresca. Poi procedere con la cottura in forno alzando la temperatura (max 160/180°C) e riducendo così i tempi.
- L’aglio sarebbe indispensabile ma, nel caso un commensale non lo tollerasse, abolitelo senza pietà…
- Come al solito, tanto per aggiungere un tocco di colore,  guarnire con prezzemolo tritato o erba cipollina o coriandolo fresco.

Potage Parmentier e ......... (segue)


Omaggio a Antoine-Augustin Parmentier a duecento anni dalla scomparsa
Nato in Francia, a Montdidier, il 17 agosto 1737 morì a Parigi il 17 dicembre 1813

Potage Parmentier

(senza glutine)

Dosi per 4 persone


  • 750 gr di patate a pasta bianca
  • 4 porri di media dimensione
  • 1½ lt di acqua
  • 80 g burro chiarificato
  • 200 gr di crema di latte (panna fresca liquida)
  • sale e pepe
  • coriandolo fresco o prezzemolo




Lavare accuratamente i porri  e affettarli. In una  casseruola a bordi alti sciogliere il burro, mettervi i porri, lasciar stufare, mescolando, affinché perdano l’acqua di vegetazione.  Versare  poi  sui porri tutta l’acqua di rubinetto e portare a bollore. Aggiungere un  pizzico di sale grosso.  Dopo un quarto d’ora, unire  le patate sbucciate e tagliate a dadi. Lasciar cuocere 40 minuti, controllando il livello del liquido. Eventualmente aggiungere ancora acqua (questa volta calda per non bloccare la cottura) oppure, se a disposizione, qualche mestolo di brodo di carne leggero.
Togliere dal fuoco e  mixare  con un mixer a immersione poi passare al colino cinese” . Aggiustare di sale e pepe. Mantenere in caldo,  eventualmente a bagno -maria. Prima di servire aggiungere la panna, mescolando delicatamente. Decorare con qualche filo di erba cipollina tagliata a pezzettini oppure con prezzemolo tritato grosso. Portare in tavola con fette di pane rustico grigliate o crostini.


Piccoli consigli utili (forse)
- Alcune ricette usano solo brodo invece che acqua, altre un mix. Io credo che usando solo brodo di carne,  questo trasformi, soverchiandolo,  il sapore di porri e patate.  Preferisco la versione che utilizza l’acqua o il mix (eventualmente aggiungere un mezzo dado.)
- La pulizia dei porri è delicata perché quest’ortaggio, per la sua forma allungata, con le foglie serrate l’una all’altra, trattiene la terra di coltivazione. Dunque, o si affetta e poi si lava, oppure si taglia lateralmente e si mette sotto acqua corrente. Secondo me, questo secondo metodo disperde meno il tipico aroma.
-  Le patate devono essere sbucciate e sciacquate rapidamente prima di procedere al taglio, affinché non disperdano l’amido.
- Il colino cinese è un passino di forma conica, non è in maglia ma è bucherellato su tutta la superficie.  Serve soprattutto per minestre e zuppe. L’ideale è in acciaio inossidabile.
 - Attenzione! La ricetta è senza glutine ma, nel caso venisse usato il dado, controllare che sia tra le marche consentite.




domenica 15 dicembre 2013

Hachis Parmentier e... (segue)

Omaggio a Antoine-Augustin Parmentier a duecento anni dalla scomparsa
Nato in Francia, a Montdidier, il 17 agosto 1737 morì a Parigi il 17 dicembre 1813

 Hachis Parmentier

Dosi per 4/6 persone

  • 1 kg patate  a pasta bianca
  • 600 g carne di manzo (restante da bollito anche misto)
  • 1 cipolla
  • 80 g di burro
  • 10/20 g di crema di latte (panna fresca)
  • noce moscata
  • sale e pepe


Passare la carne  al macina-carne utilizzando un disco a fori larghi oppure tritare finemente con coltello o mezzaluna.  In un tegame far appassire con  una parte di burro la cipolla affettata sottile e, prima che diventi dorata, aggiungere la carne, mescolando.  Dopo pochi minuti bagnare con del buon brodo e lasciar stufare per almeno una ventina di minuti: di fatto è una sorta di ri-cottura  della carne che ne esalta il sapore. Intanto lavare con grande cura le patate e cuocerle  mettendole con la buccia in acqua fredda,  leggermente salata.  Questa operazione prende dai venti ai trenta minuti a seconda della qualità e della grossezza delle patate.  Una volta pronte, devono essere spellate e passate ancora calde nel passapatate a fori, lasciandole cadere in una terrina dove sia stato messo il burro a tocchetti (ne verrà tenuta da parte solo la quantità necessaria per imburrare la tortiera o le cocottes). Mescolare bene e con vigore, aggiungendo la crema di latte.  Controllare la consistenza del puré, che deve essere morbido ma abbastanza compatto. Aggiustare di sale e aggiungere una grattata di noce moscata. 


Imburrare la teglia e passarvi un leggero velo di pane grattugiato. Stendere sul fondo uno strato  di purée (3/4 cm circa) e, dopo aver aggiustato la carne di sale e pepe, ripartirla  nella teglia.  Completare l’operazione con il restante puré, livellandolo leggermente con una spatola e “rigandolo” con i rebbi di una forchetta. Porre in forno a 180°c  per una mezz’ora o comunque fin quando la superficie sia ben dorata.

Piccoli consigli utili (forse)

- La carne: questo è uno splendido modo di recuperare gli avanzi, preferibilmente di bollito ma anche di arrosti. Ottimo il  manzo ma si possono usare anche altri tipi di carne.  Nel caso non ne aveste, acquistate del macinato (possibilmente non troppo magro) e cuocetelo  a ragù, controllandone la morbidezza. Vietato il pomodoro, tollerate a malincuore  carota e/o sedano, indispensabile la cipolla.
- Questione formaggio: nella ricetta originale  (cioè  nella versione più antica) non c’è traccia di formaggio grattugiato, che si trova, invece, nelle ricette più recenti.  Personalmente scelgo sempre la tradizione: all’assenza o presenza di alcuni ingredienti, c’era sempre un perché. E però, come si sa, la cucina è l’arte del possibile….
- Se non disponete dello passapatate a fori, schiacciate le patate stesse con la forchetta: non usate il passaverdure a rotazione perché fa diventare il puré colloso e quindi poco gradevole. Inoltre  è caratteristica dell’Hachis Parmentier quella di mantenere una certa ruvidezza.
- Potete mettere al forno una sola teglia per più porzioni o usare singole cocottes.





Si fa presto a dire "patata".....

Omaggio a Antoine-Augustin Parmentier a duecento anni dalla scomparsa
Nato in Francia, a Montdidier, il 17 agosto 1737 morì a Parigi il 17 dicembre 1813





Era il “cibo delle streghe”. Il “frutto del diavolo”. Fu accusata di portare infezioni e malattie, considerata  “cibo da bestie”. Ma arrivò il principe azzurro, la portò a corte e lei divenne la regina della tavola in tutto il mondo.
Questa è la storia della patata e del suo “principe”: Antoine-Augustin Parmentier. E queste righe vogliono essere l’omaggio a un uomo di scienza, di grande intelligenza, acume, competenza, perseveranza, abilità politica, a duecento anni dalla scomparsa.
La sua fu una vita di ricerca e di successi, conquistati anche con la tenacia e l’astuzia. Farmacista nell’esercito durante la guerra dei Sette anni contro l’Inghilterra e la Prussia fu anche agronomo, igienista, nutrizionista. Fatto prigioniero più volte, durante una detenzione in Germania scoprì le qualità nutritive della patata.
Divenne celebre quando, nel 1771- farmacista presso l’ Hôpital des Invalides a Parigi  - avviò le ricerche sulle culture vegetali per alimentazione, sulla chimica alimentare e, in particolare, sulla composizione chimica della patata. Poi, mettendo in campo le sue profonde conoscenze  in materia, partecipò a un concorso lanciato dall’Accademia di Besancon, illustrando sotto il profilo scientifico le molte virtù dello semi-sconosciuto tubero e proponendone la coltura estensiva  come metodo di lotta alla carestia.
La patata, originaria delle Ande – Lago Titicaca, Perù – era coltivata dagli Incas già 1000 anni avanti Cristo ed era arrivata in Europa verso il 1570 portata dai “conquistadores” spagnoli. Si diffuse con una sorta di passa-parola. Infatti, dalla Spagna il re Filippo II ne offrì degli esemplari a Papa Pio IV, il Papa ne fece partecipe il Governatore di  Mons (Belgio) che a sua volta la fece conoscere in Austria. Da lì la patata si propagò in Germania, Svizzera e Francia.  Quanto all’Italia, la storia narra che fu il Padre carmelitano, Nicolò Doria, a portare la patata dalla Spagna a Genova nel  1584.
Ma non era amato questo tubero che nasceva sotto terra, era bitorzoluto,  sporco. Quindi dannoso per la salute. Metteva in sospetto.
Parmentier, che invece ne aveva individuato tutte le potenzialità – ivi compresa la possibilità di migliorare la qualità del pane con l’aggiunta proprio della patata -  riuscì a conquistare il re, Louis XVI , offrendogli  dei rametti fioriti di solanum tuberosum.  Questi sfidò tutte le diffidenze  apponendone uno all’occhiello della sua giacca e ponendone  un altro fra i capelli (cioè la parrucca ) di Marie-Antoinette, la Regina. Il gesto, ovviamente, non passò inosservato e la Francia cominciò ad abbandonare l’atteggiamento repulsivo nei confronti dl tubero. Bisogna ricordare che lì, dal 1748, era in vigore una legge che bollava la patata come portatrice di  infezioni. 

Il re andò più in  là e concesse a Parmentier un appezzamento di terreno per la coltivazione delle patate: un campo di circa due ettari, fin’allora usato per manovre militari, nei pressi di Parigi, à Neuilly-sur-Seine. Parmentier ovviamente l’utilizzò . Ma il farmacista-agronomo-chimico-nutrizionista non si fermò al Re, doveva conquistare la popolazione. Così chiese e ottenne di far presidiare dai soldati l’appezzamento di terreno coltivato a patate: ma solo di giorno. Di notte i soldati se ne andavano. Il popolo si diceva: se è presidiato il terreno, qualcosa di valore deve esserci. E di notte  si consumavano i furti di patate, previsti e auspicati.
Il successo della patata - in Francia inizialmente chiamata “parmentière” - fu sancito con piatti cucinati per la Corte. Fra tutti, il più celebre resta ancora oggi l’Hachis Parmentier.
Il primo libro di ricette completamente dedicate alle patate fu stampato in Francia nel 1794, un anno dopo la decapitazione di Luigi XVI.  Titolo: “La cuoca repubblicana, che insegna la maniera semplice per preparare le patate, con qualche consiglio su come conservarle”.
Intanto tutt’Europa ne celebrava l’importanza, diffondendone la cultura.  Ma la vera diffusione avvenne con la carestia del 1789.
Quasi cento anni dopo, nel 1885, Vincent Van Gogh dipinge “I mangiatori di patate”.

 


Settemila varietà....

Se verso la fine del Settecento Parmentier aveva catalogato 12 varietà di patate, nel 1882 il botanico Vilmorin ne descriveva già 630.
Nel Duemila si parla di circa 7mila varietà coltivate nel mondo, su una superficie  che si attesta intorno ai 20 milioni di ettari.  Varietà sviluppate per resistere meglio alle malattie e ottenere rese sempre più consistenti, oltre a consentire utilizzi diversificati.


...ma che patata per che piatto?

L’Italia, purtroppo, non si è distinta per ricerca e diffusione di proprie varietà, lasciando fare la parte del leone, in Europa, a Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda.
I cultivar sono dunque moltissimi, ma le  patate, ai fini dell’utilizzo in cucina si scelgono in base a queste caratteristiche: patata bianca, patate gialla, patata rossa, patata novella, patata americana, patata al selenio. Meno comune la patata violetta.



Patata a pasta bianca:  farinosa, perché molto ricca di amido, ideale per gnocchi, purée, minestre, crocchette, sformati.
Patata a pasta gialla:  compatta, soda, poco farinosa consigliata per friggere, lessare,   cuocere in forno e in umido.
Patata rossa: polpa soda e compatta, sopporta ottimamente lunghe cotture quindi sono perfette per le insalate ma anche al forno o fritte.
Patatina novella:  buccia sottile, polpa tenera, sapore delicato, si trovano nel periodo primaverile.  Sono al meglio cucinate e servite con la loro buccia, sia bollite (meglio a vapore) sia al forno. Sono ideali per diete ipocaloriche.

.... e poi.... 

Patata Violetta: più correttamente dovrebbe essere chiamata Vitelotte. E' originaria del Perù ed è stata riscoperta abbastanza recentemente da alcuni chefs stellati. Di polpa farinosa, ha profumo di nocciola e sapore dolce che si avvicina a quello della castagna. E' molto digeribile e ha proprietà antiossidanti. 
 Patata al selenio: coltivata in Emilia-Romagna, è arricchita di sali minerali, in particolare potassio e selenio, che contrastano i danni provocati dal processo ossidativo.
 Patata americana: è una patata dolce, che, come tale, piace molto ai bambini.  E’ ricca di betacarotene e migliora, tra l’altro, la risposta immunitaria. Può essere cotta arrosto oppure lessata e condita con burro crudo, zucchero semolato e cannella.


 Ricette in arrivo!


giovedì 12 dicembre 2013

Santa Lucia....luce e cuccìa


Il grande popolo dei bambini in dicembre si spacca in due, con sottocategorie: un primo gruppo aspetta Santa Lucia, che porta i doni; un secondo gruppo aspetta Natale, e questo secondo gruppo conta due sottocategorie: una è composta da chi aspetta Gesù bambino, che porta i doni; l’altra da chi aspetta Babbo Natale, che porta i doni…..
Sono momenti di attesa, di gioia, da festeggiare. E in famiglia qualcuno “deve”  incaricarsi di fare almeno i  dolcetti, tipo biscotti allo zenzero, piccoli pani allo zafferano e uvetta, cuccìa.
Il 13 dicembre è Santa Lucia, che  rappresenta l’attesa della luce per i Paesi del Nord Europa – dalla Svezia alla Norvegia alla Finlandia – e, invece,  rappresenta ( per meglio dire ricorda) la salvezza per altri, segnatamente la Sicilia.
Siamo nel Seicento, in un anno di carestia e l’Isola è in ginocchio.  Ma nella notte tra il 12 e il 13 dicembre delle navi senza equipaggio approdano nel porto di Siracusa: sono cariche di grano. E quel grano, semplicemente bollito, salvò la popolazione allentando la morsa della fame. Un miracolo attribuito a Santa Lucia, già venerata,  morta proprio il 13 dicembre  di trecento anni prima. 
Ecco perché la ricorrenza è festeggiata con una zuppa e un dolce - oltre che con dolcetti -,  che hanno come ingrediente-base proprio il grano: si chiamano entrambi cuccìa (attenzione all'accento sulla "i"). Nome curioso che deriva dal verbo “cucciare", il quale indica “sgranare” “sgranellare”, “piluccare”.

La ricetta dolce

Cuccìa                                                                              

Dose 4-6 persone

200 g di grano da ammollare  (400 già cotto)

200 grammi di ricotta (possibilmente di pecora)

2 cucchiai da minestra di zucchero

frutti canditi a pezzettini  (quantità a piacere)

cioccolato fondente grattugiato (quantità a piacere)



Mettere il grano a bagno per almeno 12 ore.  Scolare, sciacquare e  cuocere a fuoco moderato per circa tre ore, aggiungendo un poco di sale solo verso fine cottura. Battere la ricotta con lo zucchero fino a ottenere una crema molto fine e aerata. Aggiungere i canditi e il grano, mescolando bene, dal basso verso l’alto , per mantenerne la spumosità. Riempire le ciotoline o i bicchieri, alternando la crema con le scaglie di cioccolato fondente. Decorare a piacere, concludendo comunque con il cioccolato.




La ricetta salata

Dose per 4/6 persone                                                    

200 g di grano

80 g di ceci

2 foglie di alloro

3 cucchiai di olio extra vergine di oliva

sale e pepe

Lasciare grano e ceci a bagno in acqua fredda per 12 ore. Scolare, sciacquare con cura, unire le foglie di alloro e cuocere il tutto  in abbondante acqua, a fuoco moderato.  La cottura durerà almeno due ore o fino a quando i chicchi di grano non si saranno “aperti” e l’acqua di cottura non avrà assunto un colore biancastro (dovuto al rilascio dell’amido da parte del frumento). Salare solo verso fine cottura. Trasferire in una capiente terrina la cuccìa, condire con l’olio, aggiustare di sale, aggiungere una bella macinata di pepe e mescolare con cura prima di servire.

La zuppa trova un ottimo “accompagno” in un vino bianco tipo Inzolìa o Orvieto classico.

Piccoli consigli utili (forse)

-  Tutti i cereali dovrebbero essere salati solo verso fine cottura, per evitare che la buccia si indurisca. E’ anche utile mettere nell’acqua di ammollo un mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio: aiuta l’ammorbidimento.
- E quanto segue è da provare! Mettere i cereali secchi in una pentola con abbondante acqua, portare a bollore ma spegnere il fuoco non appena il bollore si evidenzia. Coprire e lasciar raffreddare i cereali nell’acqua stessa. Una volta fredda (o appena tiepida), scolarli e procedere con la cottura come indicato nella  ricetta. Questo procedimento funziona benissimo con i fagioli e potrebbe essere valido anche per i ceci e il grano. Sui fagioli l’ho già provato io, per ceci e grano non ancora. Caso mai, fatemi sapere…. Attenzione! Evitate  di fare la prova proprio il giorno in cui li dovete cucinare…




martedì 10 dicembre 2013

Giovedì gnocchi. Con il ragù di nonna Ninna.


…venerdì baccalà, sabato trippa... usi e costumi che affondano le radici in là, talvolta molto in là, nel tempo. E capita che sia davvero difficile scoprire perché, dove, come e quando. Così è successo a me per gli gnocchi (nella fattispecie di patate) dei quali non riuscivo a rintracciare l’origine: le mie ricerche si perdevano sostanzialmente nel nulla. Ma il nulla non esiste, per fortuna.  E infatti ho trovato un testo molto interessante da cui traggo alcune delle notizie che seguono.
Tanto per cominciare, gli gnocchi  venivano compresi nel grande capitolo dei “macheroni o “maccheroni”.  Ne scrive Teofilo Folengo, scrittore e poeta rinascimentale d’origine mantovana,  forse il principale esponente di quel movimento  letterario che diede vita al “latino maccheronico”. E maccheronico deriva proprio da maccherone, considerato cibo grossolano.   Ma se il maccherone era cibo grossolano, gli gnocchi furono definiti “pasta la più vile tra le nobili”, essendo le “nobili” rappresentate dalla pasta secca, di origine araba, che trovò fortuna nelle  famiglie di rango a partire dal XIII secolo “anche per la presenza di servitù esotica”.
Si è però trovata traccia degli gnocchi già in età arcaica, con un rinvenimento archeologico del 1965  nella Valle di Ledro – in Trentino, a pochi chilometri dal Lago di Garda -  “dove sono stati portati alla luce una decina di “gnocchetti” o “bocconi”  impastati con farina di cereali macinati con macine di pietra”.
Le patate faranno la loro comparsa come ingrediente per gli gnocchi verso la metà dell’Ottocento.  Scrive Giacomo Basso, famoso cuoco rodigino dell’epoca: “P. formare Macheroni – Prendete Pattate l’a quantità che credete allessatele, e poi pestatte in mortale e poi un poco pane grattato, e biscottini con buttiro e pignolli on. 3 circa, e si forma un pastone, e formaglio crattato una pocha canella, e si pone in cassarolla con poco buttiro, e si forma una polentina e poi si cucina bene e si voda sopra un tavolo e si forma macheroni”.  Gran cuoco, Giacomo Basso, ma, certo, non grande scrittore….

E grande cuoca anche la nostra amica Alba, anzi la sua mamma, in questo caso. Perché Alba ricorda che,  nel giovedì degli gnocchi, l’aroma del ragù s’infiltrava sotto la porta di casa per diffondersi sul pianerottolo e più in su e più in giù sulle scale…. Ce ne regala la ricetta con questo commento: “Se i vostri vicini di casa vi suoneranno il campanello auto-invitandosi, vorrà dire che avrete cucinato il ragù di mia madre".  Cioé di nonna Ninna.

La ricetta

Gli gnocchi                                                                  

Dosi per 4 persone                      

1 kg di patate a pasta soda  
200 g ca farina bianca 00
1 uovo
sale
farina di grano duro quanto basta
                                                                                                 


Lavare le patate, metterle in casseruola con la buccia, coprirle di acqua fredda, salare, incoperchiare e porre il recipiente sul fuoco. A cottura avvenuta, scolarle, pelarle e passarle subito con lo schiacciapatate, facendo cadere il passato direttamente sulla spianatoia. Fare un piccolo cratere al centro della montagnola, aggiungere poco per volta la farina di grano tenero,  impastando,  e , se si nota che l’impasto tende a non essere ben compatto, aggiungere un uovo intero. Tutta la lavorazione deve essere breve.

Tenendo la spianatoia spolverata con la farina di grano duro, staccare man mano dall’impasto dei “blocchetti” grandi più o meno come una  mela e, facendoli rotolare con i polpastrelli o il palmo delle mani, dare la forma di un grissino, con un diametro di  circa 2 cm. Tagliarli poi a pezzetti di circa 2 cm di lunghezza. Ora prendere un pezzetto di pasta alla volta e, premendolo delicatamente con il pollice, farlo scivolare sul retro di una grattugia, oppure sui rebbi di una forchetta, oppure ancora sull'apposito asse scanalato, per dare  la caratteristica forma a conchiglia. Questa forma non è solo un fatto estetico: lo gnocco, leggermente incavato, cuoce più uniformemente. 
                                                           
                                                        



Il ragù di nonna Ninna

Dosi per 4/6 persone

300 g carne trita di manzo
200/250 g salsiccia

20 g funghi porcini secchi

20 g di burro

3 tre cucchiai di olio extravergine di oliva

1 bicchiere di vino rosso

1 scatola di  pomidoro pelati da 400 g
1 cucchiaino di concentrato di pomodoro

1 carota piccola

1 costa di sedano (lunga quanto la carota)

1 cipolla media

1 rametto di rosmarino, 3 foglie di erba salvia

1 foglia di alloro, 2 chiodi di garofano

1 pezzetto di cannella (ca. 2 cm)

1 grattatina di noce moscata

Sale e pepe.

                                                                  

Mettere  i funghi  in una tazza e coprirli con acqua calda. Tritare finemente le verdure e le erbe aromatiche. Metterle in una casseruola di media grandezza con burro e olio, soffriggerle e quando la cipolla sarà dorata aggiungere la carne e la salsiccia sbriciolata. Far rosolare con attenzione, rimestando spesso per evitare che il tutto si attacchi al fondo, aggiungere le spezie e quindi sfumare con il vino.

Quando il vino si sarà ridotto, salare, pepare e aggiungere i pelati tritati finissimi e il concentrato di pomodoro sciolto precedentemente in un poco d’acqua. Mescolare, abbassare la fiamma e mettere il coperchio alla casseruola. Rimestare di tanto in tanto. Quando l’acqua dei pelati sarà consumata aggiungere i funghi tritati e l’acqua di ammollo filtrata per trattenere l’eventuale terriccio che si è depositato sul fondo della tazza. Lasciare cuocere, con coperchio e a fiamma bassa, fintanto che l’acqua sia evaporata. Il ragù, a questo punto, dovrebbe avere una consistenza morbida e un colore rosso-bruno.

Aggiustare di sale e pepe. Spegnere il fuoco e lasciar riposare il sugo, coperto, almeno un paio d’ore, prima di utilizzarlo. Ricordarsi di togliere la cannella, la foglia di alloro e i chiodi di garofano prima di condire gli gnocchi.




Cottura e assemblaggio

In una pentola, più larga che alta, portare abbondante acqua a bollore, salare e calare pochi gnocchi per volta. Toglierli rapidamente con un mestolo forato non appena vengono a galla e passarli in una zuppiera (che sarà stata tenuta in caldo) nella quale sarà stato messo un primo strato di ragù (anche questo caldissimo). Mescolare delicatamente, procedere con gli altri gnocchi fino ad esaurimento, sempre irrorandoli con il sugo.   In alternativa si può usare una padella, nel qual caso si fanno satare rapidamente gli gnocchi.  In tavola una formaggera con parmigiano reggiano grattugiato.



Piccoli commenti utili (forse)

- L’utilizzo della farina di grano duro per spolverare la spianatoia è presto spiegato: la farina di grano duro, essendo più  assorbente della  farina di grano tenero, trattiene meglio l’umidità degli impasti e così impedisce che la pasta si attacchi alla spianatoia e che gli gnocchi si appiccichino tra loro. Questo vale anche nel caso di pasta fresca o ripiena tipo ravioli, tortellini e via discorrendo.

- La carne trita usata per il ragù deve essere piuttosto mista, cioè contenere anche delle parti di grasso. Se magra, infatti, tende a indurirsi con la cottura.

- I funghi secchi possono anche essere ammorbiditi buttandoli in acqua bollente e lasciandoli bollire esattamente per  5 minuti e non di più. Una volta spento il fuoco, devono essere tolti dal liquido con un mestolo  forato e sciacquati rapidamente con acqua corrente calda. Il liquido di cottura sarà filtrato prima dell’utilizzo, come si fa normalmente.
- I rametti di rosmarino dovrebbero essere teneri. Nel caso , invece, questi fossero legnosetti,   tritare solo gli aghi, che saranno stati sfilati “contropelo”.  Idem si dica per la salvia.

Fonte per le notizie storiche: www.alberghieroadria.it. - firma Paolo Rigoni