Ricette

giovedì 9 gennaio 2014

Un libro, uno zabaione, un incantesimo e.. una rosa



“Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò in Milano alla testa del giovane esercito che aveva passato il ponte di Lodi e mostrato al mondo come dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avessero un successore. I miracoli di audacia e genialità che l’Italia vide compiersi in pochi mesi risvegliarono un popolo addormentato; solo otto giorni prima dell’arrivo dei francesi, i milanesi li credevano un’accozzaglia di briganti sempre pronti a scappare davanti alle truppe di Sua Maestà Imperiale e Reale; così almeno andava ripetendo un giornalino grande come un palmo di mano, stampato su carta sporca.” (omissis) ...
“Subito sorsero abitudini nuove e appassionate. Un popolo intero si accorse, il 15 maggio 1796, che tutto quanto aveva finora rispettato era assolutamente ridicolo e talvolta odioso. La partenza dell’ultimo reggimento austriaco segnò il crollo delle vecchie idee: rischiare la vita divenne di moda; ci si rese conto che per essere felici, dopo secoli di sensazioni fiacche, bisognava amare la patria di amore vero e andare in cerca di azioni eroiche……” 
 



Stendhal, La Chartreuse de Parme
 
Stendhal, pseudonimo di Henri-Marie Beyle,  scrisse questo grande romanzo  di battaglie, d'intrighi, di fughe, d’amore,  verso la conclusione della propria vita:  fra il 4 novembre e il 26 dicembre 1838, fu recluso-volontario nel suo studio parigino al numero 8 di rue de Caumartin, a due passi dall’Opéra.  In soli 52 giorni scrisse un'unica storia - racchiude tante storie ed è divisa in due libri -  ambientata a Milano, Bologna e Parma. 


 Stendhal, nato a Grenoble il 23 gennaio 1783 da una famiglia dell'alta borghesia, morirà a Parigi il 23 marzo 1842. Visse a lungo in Italia, che amò intensamente, come pochi altri: sulla sua tomba, nel cimitero di Montmartre volle la scritta: “Arrigo Beyle milanese”.  Perché Milano fu la sua “patria” elettiva.
L’origine di questo romanzo, un gioiello della letteratura europea ottocentesca, sarebbe un manoscritto, italiano, intitolato “La grandezza di casa Farnese” in cui si narrano le vicende di Alessandro Farnese, vissuto nel XVI secolo, futuro papa Paolo III, che diventa pontefice grazie all’aiuto della zia Vannozza e alla relazione di quest’ultima con il cardinale Rodrigo Borgia. Di qui la somiglianza con i personaggi della Chartreuse: Alessandro Franese e Fabrizio Del Dongo, la zia Vannozza e la duchessa Sanseverina, il cardinale Borgia e il conte Mosca. Nella vita del cardinale Farnese ci fu anche una ceta Creria, nobildonna con cui strinse una relazione segreta e dalla quale ebbe quattro figli, che Stendhal inserirà nel romanzo con il nome di Clelia Conti.



Mentre leggiamo, godiamoci un ottimo zabaione. Non a caso.
“Questa novella è stata scritta nell’inverno del 1830 e a trecento leghe da Parigi; dunque nessuna allusione ai fatti del 1839.
Molti anni prima, al tempo che i nostri eserciti traversavano l’Europa, il caso mi offrì un biglietto d’alloggio per la casa di un canonico: ero a Padova, una deliziosa città italiana; il soggiorno si prolungò e diventammo amici.
Ripassando da Padova verso la fine del 1830, corsi alla casa del buon canonico: non c’era più, lo sapevo, ma volevo rivedere il salotto dove avevo passato tante ore piacevoli , e così spesso rimpiante dopo. Trovai un suo nipote e la moglie, che mi accolsero come un vecchio amico. Arrivarono altre persone e ci separammo solo molto tardi; il nipote fece venire dal Caffè Pedrocchi un ottimo zabaione. ….”. Da “Avvertenza”, testo scritto da Stendhal, che precede l’inizio del romanzo.
Il caffè Pedrocchi, ancor oggi una perla fra i caffè italiani, di questo zabaione si fa, giustamente, gran vanto. E proprio perciò ne tiene segretissima la ricetta.
Così noi dobbiamo aggirare l’ostacolo e lo facciamo offrendovi  la ricetta classica di Mantova: perché proprio nella città dei Gonzaga si rintraccia la più antica ricetta dello zabaione, che si deve a un anonimo cuoco di corte. Così questi scrisse: “Per far uno zambalione: Si pigliarà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra una e mezza, vino bianco oncie sei, il tutto si batterà insieme , e poi si pigliarà un tegame di pietra vitrato a portione della detta composizione, si mettarà due once di butirro a disfar nel tegame, quando sarà disfato si butterà la composizione dandogli fuoco sotto e sopra. Se si vorrà mettere nella composizione cannella pista se ne metterà un quarto, se si vorrà ammuschiar conforme il grusto, avertendo però alla cottura che non si intontisca troppo.”

Puoi fare ancora il zambalione in questa maniera: pigliarai oncie due di pistacchi mondi, pellati e poi piustati nel mortaio e stemprali con il vino, che va fatto iul zambalione, e questo zambalione serve assai per i cacciatori, perché alla matina, avanti vadino alla caccia, pigliano questo; se per sorte perdessero il bagaglio possono star così sino alla sera; se può fare con il latte di pignoli, come di sopra, e per convalescenti, che non possono pigliar forza, si fa col seme di melone”
Come si rispetta per tutte le tradizioni, anche il nome risulta avere più origini. Ci limitiamo a una: zabajone deriverebbe da “zabaja”, bevanda dolce consumata in passato a Venezia e proveniente dalla costa illirica.

La ricetta moderna

Ingredienti

1 tuorlo d’uovo - 1 cucchiaio di zucchero per uovo  
2 mezzi gusci  di vino bianco profumato per uovo  (esempio: malvasia, marsala)

Montare i tuorli con lo zucchero fino a quando il tutto sarà liscio, omogeneo, spumoso e quasi bianco.  Stemperare con il vino e mettere sul fuoco a fiamma molto bassa o, meglio, lavorare a bagno-maria, mescolando ininterrottamete con una frusta o un cucchiaio di legno: il momento giusto in cui sospendere la cottura si riconosce dal profumo della crema, che diventa improvvisamente più intenso, e dalla densità che aumenta rapidamente.
Servire lo zabaione, caldo o freddo, con biscottini tipo lingua di gatto o savoiardi morbidi. 
 

  L’incantesimo


Vi è mai capitato di guardare un'opera d'arte - un quadro, un affresco, una scultura, la navata di una chiesa -  e di sentirvi improvvisamete sopraffatti, con un senso d'ansia, il cuore che batte forte, le vertigini e la voglia di fuggire, dove non sapete ma lontano, via da quel luogo? Questo è l'incantesimo che il Bello è capace di operare.
L’incantesimo è in realtà una sindrome, ben conosciuta, che si chiama proprio Sindrome di Stendhal.  Fu lo scrittore, infatti, a descrivere nell’opera “Roma, Napoli e Firenze”, gli effetti di questa patologia psicosomatica, sperimentata in prima persona. Racconta Stendhal che, durante una visita alla basilica di Santa Croce, a Firenze, fu colto da strane sensazioni: polso accelerato, difficoltà respiratoria e perdita di equilibrio. Un malessere diffuso, prepotente, che si era sviluppato al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza. E che lo costrinse a guadagnare velocemente l’uscita.
Questo disturbo psicosomatico è stato codificato e descritto da una psichiatra italiana, Graziella Margherini, responsabile del servizio per la salute mentale dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Firenze, che nel 1979 scrisse “La sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte”.  Si trattava di un’indagine che aveva preso il via curando turisti che, usciti dagli Uffizi e in preda a singolari malori, si recavano nel vicino ospedale fiorentino.
La Sindrome di Stendhal non lascia alcuna conseguenza. Resta il ricordo.

Ma che c’entra la rosa?     

C’entra perché c’è una rosa bellissima il cui nome è proprio “Chartreuse de Parme”.  E’ stata creata dai vivai francesi Delbard e fa parte della collezione “Souvenirs d’amour”, “Ricordi d’amore”.
E’ una rosa che ho sul mio terrazzo e che mi dà una gioia straordinaria: ha un fiore grande e doppio, un colore intenso, purpureo, che si può collocare  fra il rosso magenta e il viola, un profumo altrettanto intenso  di mandarino, citronella, giacinto, lillà e mango e litchi.
La pianta è robusta, spinosa, cresce fino ai 120 cm con una larghezza di 50/60 cm. La fioritura è generosa, da maggio a ottobre: il fiore delle foto è sbocciato in novembre.
Con Chartreuse de Parme vorrei parlare, finalmente, di fiori, di piante, del giardinaggio, ruspante ma appassionato. E condividere l’amore che è un po’ in ognuno di noi, per balconi, terrazzi e scampoli di terra da curare.
Ora, nel mese di gennaio, perché, al di là delle temperature, le stagioni fanno il loro corso, la natura sta preparando la primavera. Ed è proprio quando fa freddo che bisogna intervenire con trattamenti – bio, possibilmente, consigliati in particolare dove circolino bambini e animali - per arginare, controllare o almeno ridurre gli attacchi fungini e di parassiti che tendono a presentarsi con l’arrivo dei tepori.

Un mio “maestro” in fatto di piante mi ha sempre ripetuto che a partire da dicembre bisogna fare almeno tre/quattro trattamenti a distanza di una decina di giorni l’uno dall’altro:  olio bianco, per parassiti e cocciniglia; polvere di caffaro per  malattie fungine.  Ricordando che per avere efficacia il trattamento deve poter agire come minimo per 24 ore: questo significa che bisogna farlo con il meteo sott’occhio. Piogge? No grazie! Quindi, si lavora tra una pioggia e l’altra.
Terminato il gelo  (dove gela) o la stagione aspra, si parte con le potature. Ma per questo ci diamo un prossimo appuntamento.

Fonti: Wikipedia, Mantova Notizie, Prann'Pronn (blog di cucina e buone maniere) e.. il libro
Dell'opera di Stendhal sono state fatte nel tempo, più di venti traduzioni ed esistono numerose edizioni di editori diversi

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